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“La Repubblica è una”: la Consulta fa a pezzi la secessione dei ricchi

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Autonomia

“La Repubblica è una”: la Consulta fa a pezzi la secessione dei ricchi

Nuovo flop della destra – Cosa succede ora. Il Parlamento potrà riscrivere le parti cancellate. A dicembre la Cassazione decide sui quesiti referendari

Di Antonella Mascali 

15 Novembre 2024

La Corte costituzionale ha bocciato pezzi fondamentali della legge sull’Autonomia differenziata, come le norme sui livelli essenziali dei servizi e il Parlamento dovrà riscriverle seguendo le indicazioni dei giudici a cui si erano rivolti le regioni Toscana, Campania, Puglia e Sardegna. Ritenuta “non fondata”, invece, la questione di costituzionalità dell’intera legge. La sentenza demolisce, di fatto, la legge che è sempre stato il cavallo di battaglia della Lega, a cui hanno ceduto FdI e FI. Secondo la Corte, l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – quello sull’attribuzione di alcune competenze esclusive alle regioni ordinarie – non va bene alla luce della Autonomia differenziata perché non tiene conto che siamo una Repubblica unitaria: “Deve essere interpretato – si legge – nel contesto della forma di Stato italiana. Esso riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”. Tradotto: no a italiani di serie A e italiani di serie B.

La Corte ritiene che “la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. I giudici spiegano come debba essere pensata l’autonomia differenziata alla luce della Costituzione: “Deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”. Ed ecco nel dettaglio i profili della legge dichiarati incostituzionali: “La possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà”. Quanto alla gestione dei servizi essenziali, non va bene perché “il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (Lep) priva di idonei criteri direttivi” ha come conseguenza che decide il governo, “limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”.

Bocciata anche, tra l’altro, “la previsione che sia” un decreto “a determinare l’aggiornamento dei Lep… sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi”. C’è poi una incostituzionalità in tema di tasse: “La possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse – non sono in grado di assicurare” le funzioni. Bocciata pure “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”.

La Corte poi ha “salvato” le altre parti della legge, fornendo quella che si chiama una interpretazione “costituzionalmente orientata” e scrive che “l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al governo; la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (‘prendere o lasciare’) ma implica il potere di emendamento delle Camere…”. Per quanto riguarda i profili incostituzionali, la Corte rimarca che “spetterà ora al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti… in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”. Invece, la Corte “resterà competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione” se vi saranno ricorsi delle Regioni. La pronuncia della Corte costituzionale non “stoppa” l’udienza della Cassazione a dicembre, durante la quale deve pronunciarsi, comunque, sull’ammissibilità dei referendum abrogativi.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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