Giubilo la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
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Giubilo
giù-bi-lo
Significato Sentimento di gioia festosa
Etimologia dal latino iubilum, da iubilare ‘lanciare grida di gioia’, di origine onomatopeica.
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«Il giubilo per la vittoria è stato travolgente.»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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L’impressione è che le parole prosperino nella mezz’ombra e in terreni acidi, come le camelie e le azalee. Quando si impegnano a esprimere sentimenti piuttosto scuri e acri, pieni di risvolti di pericolo e di spiacevolezza, fioriscono in maniera lussureggiante — quante sfumature abbiamo per rendere paura, rabbia, tristezza! La gioia, invece, piantata com’è a picco sotto un sole sfolgorante, butta solo qualche boccio stecchito dal caldo.
Che parole abbiamo per indicare un sentimento intensamente gioioso, provato e manifestato? Il gaudio, il tripudio? Ma per piacere, sono parole non meno che libresche. Se ci spostiamo su gaiezza e letizia siamo già un tono d’intensità sotto, e pure sono piuttosto rigide. C’è forse l’esultanza, splendida rappresentazione del saltello, che però ha un tratto abbastanza puntuale e isolato e comunque dotto.
Abbiamo parole raffinatissime e di precisione da lasciare sgomenti, parole per indicare lo struggimento per la lontananza da casa, per una tristezza contenta e riflessiva, per il turbamento che proviamo nel fare qualcosa di sconveniente, per la paura per uno scenario futuro incerto, per una rabbia infantile e ingiustificata, per un astio irrancidito dal tempo, ma come diavolo si fa a dire con una parola una banale gioia grossa?
Eppure la proviamo. Non tutti i giorni, ma le gioie grosse, quelle in cui si urla (non si sa nemmeno bene che cosa), in cui si salta e ci si scalmana con le mani al cielo, quelle in cui si brinda e poi si canta e ci si abbraccia e si balla spontaneamente, per puro e semplice traboccare del cuore, le proviamo, non sono roba aliena. La realtà è che lì, in quel momento, la guardia e la messa a fuoco sono al minimo. Non ce ne importa niente di dare un nome a quel sentimento lì, non lo viviamo come una realtà da individuare e circoscrivere — è un momento in cui il pensiero, bontà sua, mette il giornale sotto al braccio, calca il cappello ed esce. E questo — eccoci arrivati, si legge fra le righe del giubilo.
Il giubilo dovrebbe essere questa cosa qui. Grida, canti di giubilo sono manifestazioni festose di gioia intensa. E però è una parola che spesso sentiamo un po’ troppo ricercata, un po’ troppo rigida. Significa sì questo sentimento che tracima ma lo fa in maniera fine e compassata, e questo — almeno col metro di oggi — non pare particolarmente consono; tant’è che è andato declinando. Ma a dispetto di quest’esito, che forse ha una ragione specifica, il giubilo è una trovata formidabile, quella che leggiamo nell’etimologia: il latino iubilare ha un’origine onomatopeica. Iu! Iu!
Non c’è altro di più icastico, anzi di più sensato da fare, in effetti, per trovare la parola giusta: modellarla su un’interiezione di gioia — quale era iu! ai tempi dei tempi. Oggi però se mi dici ‘interiezione di gioia’ non mi viene in mente iu!, e questo forse contribuisce al raffreddamento del giubilo — non mi riesce più ad echeggiare nell’orecchio come grido.
Questo da un lato ci suggerisce che un riferimento al tipo di schiamazzi che si levano dalla gente che giubila può essere un buon modo per rappresentarne il sentimento; dall’altro ci aiuta anche a ritrovare la brace sotto alla cenere del giubilo. Quando raccontiamo del giubilo per le strade, del giubilo che c’è in casa alla notizia insperata, del giubilo che ci sgorga segretamente dal cuore, sapere a che cosa tendere l’orecchio, sapere che quel giu è la radiazione di fondo di antiche esplosioni di gioia che così vibravano nell’aria, ci aiuta a ridare sangue al giubilo.
È giusto aver cura anche di questa pianticella in pieno sole.