Ohibò una parola al giorno a cura del prof. Innocenzo Orlando
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Ohibò
ohi-bò
Significato Espressione di sdegno, sprezzo, disapprovazione, con una connotazione di sorpresa
Etimologia voce onomatopeica composta da ohi e bo.
- «Ohibò, non ci avevo pensato!»
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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Per mostrare disapprovazione e stupore insieme, ci piace usare parole crude. Accidenti! Caspita! Con varianti senza copertura di eufemismo che non stiamo a riportare. Ed è chiaro perché: lo sdegno a sorpresa è una reazione dura. Il disappunto — che ama il sussiego, e quindi lo star seduto — qui viene colpito senz’avviso, sobbalza, ed è doppiamente contrariato. Ma proprio perché è una reazione dura, la lingua, nella sua saggezza estrema, oltre agli eufemismi (dal caspita stesso al cavolo, dal perdinci all’accipicchia) ci apparecchia delle esclamazioni innocue e gonfie, dalla pregiatissima carica ironica.
È la terra meravigliosa dei poffare, dei perbacco, dei poffarbacco, e appunto degli ohibò, o oibò, come andava di più un tempo.
L’ohibò ha una schiettezza formidabile, perché è in effetti un’onomatopea composta da due elementi fonosimbolici: il dispetto contrariato dell’ohi (che ha patenti di nobiltà da fare invidia, lo troviamo anche in greco) e l’incertezza stupita del bo. Così traghetta la sua stupita disapprovazione su lidi più o meno seri — con grande successo fin dalla sua invenzione nel Cinquecento.
Tocca a me portar fuori la spazzatura Ohibò, non ci penso nemmeno! Spero possa pagare tu perché ho lasciato il portafogli a casa, ohibò. Hai già avuto modo di sbirciare che cosa c’è a mensa oggi? Ohibò, le zucchine.
E se, quando annunciamo chi si aggiunge all’ultimo alla cena, l’amica proferisce un laconico «ohibò», sappiamo che ci sono dei retroscena da scoprire.
Certo l’ohibò ha un sapore desueto, rétro, ma questo è parte del gioco — la simpatia di questo genere di termini è composta anche dal loro essere insoliti, e dall’avere un odore un po’ libresco. È una caratteristica che ci aiuta a tirare fuori dalla realtà quella reazione scontenta e sconcertata, a renderla più astratta, e quindi meno preoccupante.
Quando sbottiamo imprecando con parole dure nel flusso di uno sprezzo sorpreso, allora ci siamo dentro con le scarpe, anche perché rappresentiamo il nostro sentimento in un modo che gli dà forza ulteriore; mentre l’ohibò ha il pregio di distanziare emotivamente l’espressione della reazione.
Così una scelta lessicale che sembra tutta guidata da affettazione di gusto topolinesco (o meglio, di squisito gusto topolinesco), può avere anche uno speciale pragmatismo d’ironia, che scherzando sulla nausea, sul biasimo e sul rincrescimento riesce nel compito erculeo di non prendersi troppo sul serio.