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Il Vangelo per il Giubileo introdotto dal card. Ravasi e illustrato da Sartini

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I quattro Vangeli, nella traduzione ufficiale della Cei, arricchiti da 36 originali opere del ritrattista Ulisse Sartini  definito dalla critica “Il pittore dei Papi” in  una opera unica nel suo genere dal titolo “Il Vangelo per il Giubileo 2025” pubblicato dalle edizioni “Archivium” fondato da Gabriella Lo Castro. Il volume – che “vuole essere un piccolo memoriale e una occasione per pregare con l’arte nell’anno del Signore” come scrive don Antonio Tarzia, già direttore delle edizioni San Paolo – ha la prefazione del critico d’arte Vittorio Sgarbi ed è introdotto dal card. Gianfranco Ravasi, già prefetto del Pontificio Consiglio per la Cultura. In passato molti erano convinti che i simboli della Bibbia – scrive il porporato nel testo – “fossero una nebbia da dissolvere, prodotta da menti primitive, così da far balenare il cielo cristallino del pensiero e della speculazione teologica. In realtà simbolo e messaggio sono compatti e insieme devono essere accolti e compresi”. Le Sacre Scritture stesse sono “la matrice e la giustificazione dell’arte da esse scaturita nei secoli” e l’autore delle illustrazioni di questo volume ha “imboccato questa via espressiva e ha voluto testimoniare in modo personale quella sfida che già Paolo VI, nella cornice emozionante della Sistina, il 7 maggio 1964, aveva così formulato: l’artista cerca di ‘carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità’”. La presenza delle figure degli evangelisti vuole ricordarci che è “solo attraverso i quattro Vangeli da loro composti che si può costruire una vera ‘biografia’ di Gesù, la cui persona intreccia in sé – come canterà lo splendido inno-prologo di Giovanni – il Lógos, il Verbo divino e trascendente e la sarx, la carne dell’esistenza umana e della storia”. La scelta dell’artista nel rappresentare “l’arco della vicenda terrena di Cristo è – sottolinea il card. Ravasi – affidata soprattutto a due poli estremi.



Da un lato, dopo l’annunciazione e la nascita, il solenne manifestarsi nel battesimo al Giordano, che è l’esordio del ministero pubblico di Gesù fatto di parole e opere, di discorsi come quello intessuto con la Samaritana, e di miracoli, come l’emozionante trionfo sulla morte nella risurrezione di Lazzaro. D’altro lato, a dominare è l’altro estremo, quello delle ultime ore terrene del Maestro, aperte dalla scena sempre amata dagli artisti di tutti i tempi, dell’ultima Cena, segno della costante presenza di Cristo sotto i segni del pane e del vino, nel flusso dei secoli. È da lì che inizia quel racconto già in sé visivo che gli evangelisti intessono sulla Passione, con la drammatica esperienza del Getsemani, il tradimento degli amici, la tortura da parte dei soldati romani, fino all’apice supremo della crocifissione, col silenzio del Padre e con la successiva deposizione del corpo esanime di Gesù tra le braccia di Maria. La Madre addolorata diventa, agli occhi di Sartini, un simbolo – da lui reiterato a più riprese – della sofferenza umana che attende il riscatto della liberazione. Una redenzione che si compie con la risurrezione: colui che era stato nostro fratello nella morte, depone infatti nella nostra creaturalità caduca un seme di eternità che per lui fiorisce subito, nella risurrezione dell’alba di Pasqua, e che per noi sarà il destino ultimo alla fine dei tempi”. Ravasi sottolinea come uno dei primi cantori del “valore spirituale” delle icone e, quindi, dell’arte sacra, san Giovanni Damasceno (VII-VIII sec.), invitava “il non credente desideroso di conoscere la fede cristiana non a un dibattito teologico, bensì a entrare in una chiesa bella e a contemplare i dipinti e le statue là presenti: ‘Se un pagano viene e ti dice: “Mostrami la tua fede!”, tu portalo in chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri’”.

 

 

 

 

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