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Europa: settimana in salita. Eppure non c’è tempo da perdere

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Avrebbe dovuto essere la settimana del confronto, seppur a distanza, tra opposte visioni sull’Europa: invece, a causa delle tragiche alluvioni che hanno colpito l’Europa centro-orientale, il premier ungherese non ha potuto essere in questi giorni a Strasburgo per portare la sua idea di integrazione comunitaria. Sarebbe stato il contraltare dell’europeismo impersonato dall’ex presidente della Bce e del Consiglio italiano. Ma, appunto, il botta-e-risposta tra Viktor Orban e Mario Draghi non ha potuto svolgersi.
C’era grande attesa a Strasburgo per questo doppio dibattito in emiciclo. Draghi era chiamato a ripetere al Parlamento europeo i concetti-chiavi della sua Relazione sul futuro della competitività, già illustrata la settimana precedente alla stampa accreditata a Bruxelles. Niente di più distante, almeno nei riferimenti di fondo, e nella ferma volontà di rafforzare il processo verso l’unità europea, dalle posizioni da anni assunte dal governo Orban, più volte chiamato a rispondere – queste le accuse – di non rispettare i principi di democrazia e stato di diritto su cui si fonda la stessa Ue. Non a caso una delle primissime mosse di Orban, assunta la presidenza semestrale di turno del Consiglio Ue, è stata la visita a Vladimir Putin, che l’Ue27 considera nemico da quando ha dato l’assalto alla sovranità ucraina, sterminando la popolazione e radendo al suolo intere regioni del Paese.

Più volte Orban si è espresso contro una maggiore integrazione Ue:

ci si chiede, quindi, se giunto alla guida del Consiglio Ue, continuerà a tenere questo atteggiamento o se il ruolo lo porterà a più miti consigli.
Ma la settimana europea, che ha visto riunirsi a Strasburgo l’Europarlamento per la sessione plenaria, assieme a rappresentanti della Commissione e dello stesso Consiglio, ha registrato altri intoppi. Il più eclatante dei quali è ruotato, lunedì 16 settembre, attorno alle inattese dimissioni da commissario designato (sarebbe stata una conferma) del francese Thierry Breton, il quale ha accusato la von der Leyen di aver fatto pressioni su Parigi perché Macron ritirasse il suo nome. Nei mesi scorsi lo scontro tra la presidente della Commissione e il commissario Breton aveva raggiunto toni imbarazzanti. Ora che von der Leyen si è liberata di un possibile ostacolo alla sua presidenza dovrà dimostrare equilibrio nella guida dell’esecutivo (anche su questo tema si erano registrate pesanti critiche nei mesi precedenti le elezioni dell’Eurocamera).

Si tratta, in tutti questi casi di segnali che non fanno bene alla politica europea.

Le sfide in atto sono urgenti e gigantesche: la guerra in Ucraina non cessa; le instabilità e i conflitti internazionali si moltiplicano; la Cina prosegue la sua marcia economica e neocolonialista in ampie regioni del mondo; dietro l’angolo ci sono le elezioni presidenziali negli Usa… Da Strasburgo e Bruxelles servirebbero segnali di coesione, progetti per il futuro, volontà politica di procedere insieme. Tempo da perdere non ce n’è.

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