Ruviano. ‘La Scapèce campana’: lo storico Michele Russo ci svela una deliziosa ricetta antichissima
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Oggi vi delizio con una pietanza tipica delle nostre zone il cui uso, come dimostro, si perde nella notte dei tempi.
Mi riferisco alla Scapèce con cui si condivano le zucchine ma anche i pesci fritti.
L’etimo è mutato dallo spagnolo, “escabeche” che significa «salsa all’aceto», ma è un’alterazione di una voce araba.
In Campania, in particolare nella tradizione culinaria napoletana, le zucchine alla scapèce sono una ricetta tipica realizzata con la frittura di zucchine tagliate a fette tonde e successivamente marinate in un intingolo di aceto, aglio e menta fresca.
Ma andiamo a vedere quanto sia antica questa ricetta.
Il cuoco Marco Gavio Apicio, vissuto tra il I secolo a. C. e il I secolo d. C., nel trattato “De re coquinaria” tramanda la prima ricetta con le modalità di conservazione sotto aceto, che darà vita alle zucchine alla scapèce.
In età medievale il “Tacuinum Sanitatis” , del XI secolo riporta la ricetta del pesce fritto alla scapèce.
De scapeta piscium
“ad scabetiam, recipe piscem bene lotum,sicut decet, et cum oleo habundanti frige. Postmodum infrigidatur. Deinde, cepas incisas per transversum frige in oleo remanenti. Postea, habeasu uvas siccas, et frige cum cepis predictis simul, et oleum superfluum tollatur. Accipe ettiam electas species et safranum : tere bene simul cum amigdalis mondatis et distempera cum vino et aceto moderato posito, ne sit
nimis acrum. Tunc misce simul cum aliis. Postea, pone
super ignem quousque bulliat et statim depone. Et cum piscis in cissorio
concauo ordinatus fuerit, saporem predictam sparge desuper. Quod si volueris
ipsum acrum dulce facere, ponas mustum coctum vel zucaram competenter”.
Si infarinano i pesciolini e si friggono in olio bollente. Si scolano e si si passano su carta assorbente per togliere l’unto in eccesso. Intanto si soffrigge in poco olio la cipolla a fette sottili, uvetta e mandorle. Si stempera con aceto e vino bianco e si fa bollire per qualche minuto. Si spegne il fuoco e si aggiungono le spezie; si versa la salsa sui pesciolini fritti e si lascia raffreddare completamente.
Ideali mangiati il giorno dopo. Per “addolcire” il tutto e rendere acrum dolcem (agro-dolce), unire una cucchiaiata di zucchero.
Alla corte angioina di Napoli, sotto il regno di Carlo II d’Angiò, vissuto alla fine del XIII secolo, venne composto da un autore misterioso e sconosciuto uno dei più antichi trattati gastronomici dell’occidente cristiano: il “Liber de coquinaria” .
In esso è presente il primo testo napoletano a noi pervenuto che riporta la ricetta della scapèce.
“tali modo: accipitur salvia et petrosillum et minutim inciditur; et in aceto bene salso ponitur vel in mortario bene teritur et cum aceto distemperatur, in quo iam pisces predicti preservantur.”
È questa la più antica fonte scritta della scapèce a Napoli, che pare piacesse molto già a Federico II di Svevia, ma la Scapèce era già usata, come dimostrato, dai romani sin dall’antichita’ classica.
In tutta Italia essa è oggi utilizzata con delle varianti e nomi locali.
Per esaltare l”agro dolce oltre all’aceto, la menta e l’uvetta, io uso anche lo scalogno, i pinoli, l’aglio, il prezzemolo e i chiodi di garofano. È una variante ma la ricetta originale va comunque sempre bene.
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