Myanmar, tre anni dopo. Sabatucci (ambasciatore Ue): “Conflitto perverso”
Oltre undicimila morti, cinque milioni di minori a rischio umanitario e otto milioni di adolescenti privi di un’adeguata educazione. Dopo tre anni e mezzo dal colpo di Stato del febbraio 2021, in Myanmar continua l’incubo della guerra civile e i numeri, al netto delle stime ufficiali, potrebbero nascondere una realtà ben più grave. Dopo il golpe che ha deposto il governo di Aung San Suu Kyi per instaurare una dittatura militare, oggi il Paese del Sud-Est asiatico fa i conti con una grave crisi socio-economica che, però, nei media occidentali trova sempre meno spazio. Fra i più esposti ci sono i giovani, “vittime al quadrato” di un conflitto intestino in cui rischiano il diritto all’istruzione, ma anche le donne, la principale forza lavoro dell’industria tessile, il settore trainante. Su 55 milioni di abitanti, quasi un birmano su due versa in condizioni di disagio umanitario. Qui l’Unione europea è presente con diversi progetti di partenariato strategico focalizzati su tre specifici ambiti: promuovere il ritorno a un sistema democratico, sostenere il popolo birmano vittima del colpo di Stato e preservare lo spazio e la presenza di imprese e Ong europee necessarie al sostegno della popolazione.
Ranieri Sabatucci, ambasciatore Ue in Myanmar, bolla il conflitto come “l’espressione massima della perversione”. Il Sir lo ha intervistato in occasione della sua partecipazione al Meeting di Rimini, ospite del panel organizzato dall’associazione Avsi sull’emergenza nello Stato asiatico, dove gestisce 13 progetti che includono interventi nel campo dell’educazione, della salute e della nutrizione.
Ambasciatore, quello che all’inizio veniva definito l’“orrore del Myanmar” si è trasformato in una guerra dimenticata: a cosa è dovuto questo cambiamento?
Oggi si fa una gran fatica a raccontare il Myanmar. Certo, i due conflitti alle porte dell’Europa (in Ucraina e in Medio Oriente, ndr) risultano prioritari a livello sia politico sia informativo per l’impatto diretto che hanno sulla vita degli europei, ma bisognerebbe fare uno sforzo anche per non dimenticare gli altri. Nello specifico, il Myanmar ha stretto un’alleanza militare con la Russia ed è diventato uno dei più grandi produttori al mondo di oppio e metanfetamine: anche questa crisi ha il suo impatto internazionale.
Come ha risposto la popolazione allo scoppio della guerra
Il colpo di Stato in Myanmar è quasi un “unicum” perché fin dall’inizio era chiaro che il popolo fosse tutto schierato contro i militari, una situazione insostenibile per i golpisti. Uno degli aspetti che mi ha colpito di più è la caratteristica culturale di questo Paese: malgrado gli avvenimenti degli ultimi 65 anni, a fronte di una povertà estrema ulteriormente aggravata dal colpo di Stato, in Myanmar la solidarietà tra cittadini è enorme. Essere estremamente generosi pur non disponendo di grandi mezzi: è questa la cifra distintiva del popolo birmano ed è un peccato che la gente del posto sia assoggettata a una tale situazione. In attesa di una soluzione definitiva che lascia spazio a una crisi colma di sofferenza, il rischio è che vadano perduti anche i valori culturali.
L’emergenza umanitaria si accompagna, inevitabilmente, a una forte depressione economica, con la disoccupazione che sfiora il 40% e l’inflazione intorno al 25%. In che modo l’Europa lavora per arginare questa condizione di disagio?
Dall’inizio del conflitto l’Unione europea ha cercato di adottare approcci mirati a destabilizzare il potere militare favorendo, al contempo, il tessuto commerciale ed economico preesistente. Non è stato facile ma ci siamo battuti con grande vigore per salvaguardare l’economia della gente comune: sono loro le vere vittime del colpo di Stato. Il settore trainante dell’economia è rappresentato dall’industria tessile, nella quale però i militari non nutrono alcun tipo di interesse. Sembra paradossale ma è così, le due economie sono separate.
Cosa accadrebbe se il meccanismo si inceppasse?
Una riduzione dei posti di lavoro nel tessile, settore occupato quasi interamente dalle donne, esporrebbe le lavoratrici a destini orrendi legati per lo più al traffico di esseri umani e allo sfruttamento della prostituzione. Un taglio drastico dell’occupazione innescherebbe poi un aumento repentino delle persone che necessitano di sostegni finanziari e aiuti umanitari, ma i bisogni del Myanmar risultano sensibilmente sottofinanziati e a quel punto non basterebbero per tutti. Ecco perché sostengo l’impellenza di un imperativo etico e morale che tuteli condizioni di lavoro dignitose, che dev’essere la principale priorità dell’Unione europea.
Un altro dei temi nell’agenda Ue è l’istruzione, in cui è impegnata anche Avsi attraverso una serie di progetti dedicati a contrastare l’abbandono scolastico. Quale futuro attende i giovani birmani?
Il golpe ha interrotto bruscamente il processo di riforme iniziato nel 2012, comprese quelle nel campo dell’istruzione fortemente promosse anche dall’Unione europea. A questo si aggiunga che per molte persone l’opposizione al sistema educativo equivale a una resistenza politica. Dopo tre anni abbiamo generazioni di giovani che ricevono un’educazione assolutamente inadeguata e io stesso conosco famiglie che non mandano i propri figli a scuola dall’inizio delle tensioni. Il nostro impegno si concentra sull’offerta di soluzioni alternative ai circuiti statali che garantiscano però il diritto all’istruzione dei più giovani, per contrastare una crisi che è fra le principali conseguenze della guerra.
Sul Myanmar aleggiano le ombre di Cina e Russia.
Le leve occidentali ed europee in Myanmar purtroppo sono abbastanza ridotte per via dell’isolamento imposto dai militari oltre che per la distanza geografica. Pechino attua quella che potremmo definire una politica di empatia con il regime ma anche con alcuni gruppi etnici, confidando nella stabilizzazione di una regione sulla quale coltiva interessi strategici per via della presenza di gas naturale e altre importanti materie prime. Per la Russia invece il Myanmar è un prezioso alleato nel contesto di isolamento internazionale: mentre l’Europa ha imposto da tempo l’embargo sulle armi poiché consapevole dell’uso finale, Mosca è il principale fornitore per i militari birmani.
Insomma, una guerra in cui i piani sociali si intrecciano con gli interessi perseguiti.
Non solo. La guerra in Myanmar è del tutto particolare perché gli scontri non avvengono soltanto tra popolazioni avversarie, bensì all’interno dei propri gruppi etnici: è diventato uno scontro con la propria gente, tra fratelli e sorelle. Ogni conflitto è perverso per definizione, ma in Myanmar raggiungiamo il livello più estremo proprio per l’uso della violenza contro la propria famiglia.
La cooperazione internazionale è al centro del Meeting di Rimini: quale ruolo attende l’Unione europea nel prossimo futuro?
La cooperazione oggi si basa sui partenariati, con l’obiettivo di comprendere sempre meglio i bisogni dei Paesi partner in modo da instaurare valide interdipendenze. Individuare interessi comuni è fondamentale e assume anche una valenza morale, perché in questo modo tutti gli interpreti ottengono pari importanza e dignità. Come occidentali, dobbiamo sforzarci di accettare che certi problemi possano avere delle soluzioni che non condividiamo, per puntare poi con decisione sugli aspetti in comune anziché scontrarsi sulle eventuali divergenze. Solo creando un’atmosfera positiva saremo in grado di affrontare i grandi temi, compresi quelli su cui siamo in disaccordo.
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