Caiazzo. Teatro Jovinelli: divulgato il programma della nuova stagione, che va dall’8 novembre all’11 aprile
Partirà l’8 novembre 2024 per concludersi l’11 Aprile 2025 la stagione teatrale 2024/2025 del Teatro Jovinelli di Caiazzo, come si evince dal calendario, di seguito riportato come ricevuto:
Programma della 7° stagione teatrale al Teatro Jovinelli, Palazzo Mazziotti, Caiazzo:
8 novembre, ore 20, “2 mariti per fortuna” di M. Brancaccio
Mario Brancaccio, Lello Giulivo, Simona Esposito, Rosario Russo e Raffaella Russo.
Costumi di Annalisa Ciaramella. Scene di Tonino Di Ronza. Regia di Mario BRANCACCIO
Si tratta di una esilarante commedia che Mario Brancaccio ha rielaborato liberamente dal romanzo di Jorge Amado “Dona Flor e i suoi due mariti”.
La bella e affermata cuoca Fortuna Sardella, sposa in seconde nozze, il farmacista caprese Teodoro Patella, uomo meticoloso e flemmatico. I due arrivano nella loro casa di Capri il giorno delle nozze pronti a trascorrere la prima notte. Tutto sembra svolgersi secondo le previsioni, quando una infausta seduta spiritica del fratello di Teodoro, tale zi’ Alfonso ‘o Sarracino, noto mago di Capri, fa tornare dall’aldilà il primo marito di Fortuna, Tony Guarracino, uomo passionale e canaglia, morto fatalmente il primo giorno di nozze con Fortuna. Il fantasma, visibile solo a lei, è tornato per compiere un suo intimo desiderio: giacersi con la moglie almeno una volta! La trama si dipana tra situazioni comiche e paradossali con un finale tutto dedicato ai sogni talvolta impossibili delle donne.
29 novembre, “Faccere” di M. Andrei
con Titti Nuzzolese, Roberta Misticone, regia di Peppe Miale
La bellezza esteriore non è più che l’incanto di un istante. L’aspetto del corpo non è sempre il riflesso dell’anima. (George Sand) Novellista, giornalista, femminista ante litteram, in ogni caso straordinario precursore dell’emancipazione femminile, George Sand nel lontanissimo ottocento così si esprimeva sulla bellezza e le sue possibili declinazioni. È il tema, o se non altro lo strumentale epicentro delle azioni e dei pensieri di Valentina e Rosaria, protagoniste di Faccere di Massimo Andrei. L’autore, in un brillante caleidoscopio di colori tinteggiati con battute freddure risate aneddoti oserei dire parole scappate ad una qualunque forma di riflessione, racconta di una possibile giornata di lavoro in un beauty center: le due protagoniste si interfacciano con clienti quotidianamente e disperatamente alla ricerca della lozione della crema del trattamento che possa iterare nel tempo la bellezza esteriore che sfiorisce, metafora fin troppo evidente di un tempo che sfugge e non potrà essere più vissuto. Quando poi dalla porta di ingresso al negozio si rarefano gli ingressi e le uscite, è inevitabile che le due condividano momenti di vita con un confronto tra loro che diviene sempre più vivido. Confronto che si sospende in una apparente ferrea amicizia come è naturale che si stabilisca tra tutti coloro che trascorrono vicini gran parte della propria vita. Quante ore oggi lavoriamo? Le otto ore canoniche di una volta sono enormemente aumentate ed è naturale che chi forzatamente si frequenta diventa ben più di un collega di lavoro, che questo si possa desiderarlo o meno. Lo spazio per la verità si restringe, e laddove lo spazio fisico dà la possibilità di interrompere la contiguità tra le due (una telefonata, un impegno da assolvere nel magazzino attiguo alla sala di ricevimento delle clienti, un messaggio da inviare nel retrobottega), ecco che ognuna di loro si disvela fino in fondo nella propria accezione sincera, ecco che Valentina o Rosaria dicono e affermano diversamente da ciò che hanno detto e affermato qualche istante prima. Ecco le “faccere”, l’altra faccia delle nostre due protagoniste. Protagoniste che vendono ciò in cui non credono, che vivono rapporti con uomini che non amano, che financo vorrebbero essere altro da ciò che sono, ma che inconsciamente forse già detestano ciò che desidererebbero diventare. E allora, pur nella risolutezza che propongono quando affermano la forza delle loro idee o la concretezza delle azioni che presto sicuramente metteranno in atto, le rispettive fragilità si intravedono anche quando lo sguardo è tronfio e la schiena è dritta. È la malinconia che si impossessa di Vale e Rosy, quella malinconia che solo può avere chi ogni giorno, nel proprio piccolo tempio dedicato alla dea bellezza, osserva il tempo che scorre. Ma chissà, il tempo della malinconia è da sempre foriero del tempo della riflessione e delle scelte. E da qualche parte, nel loro cuore e nella loro anima, tutte e due potrebbero avere imparato che, se la bellezza esteriore è casuale, la bellezza interiore è sempre una scelta. E che, per chiosare ancora con George Sand, “C’è un’unica felicità nella vita: amare ed essere amati”. Magari non da tuo marito, non dal tuo fidanzato, non dal tuo amante, non dai tuoi parenti più vicini, ma chissà, dalla tua collega di lavoro… Speriamo
13 dicembre, “Boomer” di P. Caiazzo, N. Pavese, D. Ciniglio
Con Paolo Caiazzo, Nicola Pavese, Daniele Ciniglio, Gioia Miale, Regia di Paolo Caiazzo
La storia si snoda sulle vicende di un giovane, Daniele, che chiede alla sua famiglia di provincia di trasferirsi a Napoli per frequentare e concentrarsi sugli studi universitari. Papà Paolo, avvocato sfigato – si legge nelle note dell’autore – non batte ciglio e per vedere il figlio realizzato lo iscrive a giurisprudenza e gli prende in fitto un bilocale nel cuore del centro storico. Attratto e distratto dalla movida il ragazzo si arretra con gli esami e con la paghetta fornita dai genitori. Decide così di subaffittare un letto a Nicola, coetaneo che vive di piccoli lavoretti e che ha lasciato da tempo casa per allontanarsi dai continui litigi dei suoi. La loro convivenza è scandita da continui battibecchi causati dalle loro differenze: Daniele pignolo ed attento alla pulizia della casa e l’altro disordinato incallito. Nonostante tutto, però, la loro convivenza sembra raggiungere un discreto equilibrio e la complicità della loro età li aiuta a superare le divergenze fino a quando Paolo viene messo alla porta dalla moglie e chiede ospitalità al figlio… in casa sua. Non ci sono letti ma si arrangerà sul sofà! Tuttavia, quella che doveva essere una sola notte di emergenza diventa una convivenza a tre a tutti gli effetti generando scontri ed incontri generazionali. Il boomer, dopo un primo momento di sconforto, decide di reagire e chiede ai ragazzi di aiutarlo a recuperare, almeno in parte, il tempo perduto. I due giovani, pur di liberarsi del vecchio, le proveranno tutte per aiutarlo a trovare una nuova compagna: da escort a siti d’incontro ma alla fine Paolo mostra un certo interesse per la madre di Nicola che sporadicamente frequenta la casa. C’è a portata di mano l’opportunità di creare una nuova famiglia 2.0.
10 Gennaio, “Gli uomini pero’ sanno percheggiare”, scritto, diretto e interpretato da Maria Bolignano
con The Animespers Band
Due donne di due generazioni diverse si confrontano su un tema scottante: meglio la comicità classica o la stand up comedy?
Accompagnata dai maestri Manù Squillante alla tastiera, Cristian Rago alla batteria e Claudio Turner alla chitarra elettrica (che Maria ha ribattezzato The Animespers Band) vincitori del PREMIO FABRIZIO DE ANDRE’ 2024, Maria sfiderà la sua “pseudo-valletta” Irene in una gara all’ultima risata.
Riuscirà, alla fine, a diventare una stand up comedian o dovrà accontentarsi di essere solo comedian? Chissà? Alla fine, quello che importa è il risultato: ridere di gusto, ma soprattutto “con” gusto, della difficile ma meravigliosa vita di chi ha fatto della risata la sua MISSION: POSSIBLE.
31 Gennaio, “Piacere mio” scritto, diretto e interpretato da Piera Russo
Aiuto Regia: Sofia Damasco. Scenografie di Armando Alovisi. Costumi di Sandra Banco. Disegno luci di Gianluca Sacco. Supervisione disegno luci: Nadia Baldi
“Se l’uomo esterna il desiderio di un divertimento, la donna sia sempre pronta a soddisfarlo, anche se stanca o sofferente. Se poi lo stesso desiderio è in lei e non è condiviso dall’uomo, non insista e vi rinunzi serenamente.” Leggendo queste parole dal libro di economia domestica della madre, la piccola Simon, nata in Italia negli anni 90, si interroga per la prima volta su cosa significhi essere una donna. Inizia così il viaggio di scoperta nelle diverse fasi della sua vita. Ogni tappa è accompagnata da una parola chiave e dalla relativa etimologia, di cui Simon si serve come bussola per non perdersi nei luoghi comuni. Bambina, ragazza, giovane donna, compagna, madre, anziana sono gli abiti che indosserà nel corso della sua esistenza. Dimensioni, colori e stoffe cambiano, così come il tempo, i luoghi e i legami. Resta però, come un filo rosso impigliato in ogni veste, un unico grande conflitto: ricercare il suo autentico piacere o assecondare il bisogno di compiacere? Piacere mio è il monologo di Simon, una donna che, nata in Italia negli anni novanta, si chiede cos’è una donna. Lo spettacolo dai ritmi serrati e i toni tragicomici racconta Simon nelle diverse fasi della sua vita, interpretata come un viaggio. Ogni tappa è accompagnata da una parola chiave e dalla relativa etimologia, di cui Simon si serve come bussola per non perdersi nei luoghi comuni. Da bambina vivace e curiosa del mondo, Simon deduce dalle raccomandazioni della madre, appassionata di manuali di economia domestica, che essere femmine è molto meno divertente che essere maschi. Le sue azioni sono limitate da una serie di privazioni imposte dai genitori che inspiegabilmente per Simon non sono presenti nei confronti del fratellino. “Sono cose da maschi, tu fai cose da femminuccia” si sente dire e presto impara che non basta la diversità corporea, già di per sé complessa da comprendere, ma ci sono regole sociali da rispettare per appartenere a un genere piuttosto che ad un altro. Da adolescente nell’incontro con Filippo, avendo sommariamente e goffamente introiettato un’idea di donna giusta, inscena un copione noto dalle note ironiche in cui però il personaggio “donna” rappresentato da Simon è incontrasto con ciò che lei davvero sente e pensa e che confida al pubblico rompendo la quarta parete. È proprio in quell’incontro/scontro corporeo con l’alterità nuova, quella maschile, che emerge in lei il senso di vuoto, fisico ed emotivo, se mai le due sfere possano essere separate. Da trentenne, che temporalmente coincide con il contesto storico attuale, il personaggio “donna” sembra essere maggiormente codificato in lei, ma più Simon si avvicina allo stereotipo femminile contemporaneo più si allontana da sé stessa, intravedendo nell’ossessione del controllo in nome della perfezione estetica il principio di un baratro. Simon incappa poi in Antonio, si abbandona a lui e, tonda, cerca di entrare in un quadrato ovvero la casa reale, metafora della stabilità familiare, che per lei diventa però difesa dalla vita. Simon vive di riflesso, determina sé stessa in funzione del suo uomo. “Se lui mi ama, mi amo anche io” dice e nell’illusione di una fusione astratta con l’altro, spinta anche dalla pressione dell’aspettativa sociale, perde la sua identità in nome dell’idea di famiglia. È sempre in nome delle idee che il corpo precipita, fino ad arrivare a squarciare il velo patinato e a mostrare le cose nella loro realtà disastrosa e autentica: Simon non sa chi è. Non sarà neanche la funziona di madre, in cui amore e paura si mischiano conflittualmente, proprio come in sua madre, a risolvere il senso della sua ricerca. In un futuro in cui la tecnologia viene incorporata e allontana dai corpi, Simon ormai anziana, tra reminiscenze e lacune ritorna a interrogare il vuoto che si porta dentro. E in quel dialogo intimo e profondo che rompe la paura di essere controllata, arriva onestamente a zittire le voci di fuori, a liberare il suo segreto, a rinascere. Che cos’è una donna? Un mistero ontologico che non ha risposte, come la vita.
21 Febbraio, “Regina Madre” di M. Santanelli
con Domenico Palmiero, Tina Gesummaria, regia di Domenico Palmiero
Commedia a due personaggi ambientata ai nostri giorni, “Regina Madre” prende le mosse da un classico ‘ritorno a casa’.
Alfredo, segnato dal duplice fallimento di un matrimonio naufragato, che ancora lo coinvolge, e di un’attività giornalistica nella quale non è riuscito ad emergere, un giorno si presenta a casa della madre dichiarandosi deciso a rimanervi per poterla assistere
nella malattia. In realtà egli nutre il segreto intento di realizzare uno scoop da cronista senza scrupoli: raccontare gli ultimi mesi e la morte della vecchia signora.
Ma la signora, di nome Regina, seppure affetta da ogni specie di infermità, appartiene alla categoria delle matriarche indistruttibili. Tra i due personaggi in scena si instaura così un teso duello, condotto mediante uno scambio ininterrotto di ricatti e ritorsioni, di
menzogne e affabulazioni.
Fa da cornice alla vicenda un interno dall’aria domestica e rassicurante, che però, nell’offrire un perimetro ben preciso ai fantasmi mentali dei protagonisti, finisce per assumere i toni e le suggestioni di un realismo allucinato. In questo microcosmo dai confini continuamente invocati e negati, madre e figlio si inseguono, si cercano e si respingono saccheggiando presente, passato e futuro, in una incalzante altalena di emozioni che hanno nel grottesco la tonalità dominante.
A soccombere, alla fine, sarà il figlio. Ma, come sempre accade nelle coppie legate per la vita e per la morte, anche qui non sarà possibile, e neanche legittimo, distinguere il vincitore dal vinto.
21 Marzo, “Giallo di, ma non troppo” scritta e diretta da Vittoria Sinagoga
con Nicola D’Angelo, Valeria De Biasio, Fulvia Castellano, Giuseppe Di Donna, Paolo Nicolella
Scene e Costumi a cura della compagnia Actory Art
È un giallo pieno di humor. In un castello della campagna inglese viene assassinata l’ anziana contessa. Il detective, chiamato a svolgere le indagini, deve risolvere il delitto e smascherare l’assassino. I sospetti cadono sui singoli personaggi. La contessina figlia dell’anziana nobildonna assassinata, la devota infermiera, il nipote pazzo della contessa e il giovane marito della defunta. Un incidente però, sconvolge tutto. Uno degli attori improvvisamente ha un malore in scena e viene sostituito dal bibitaio di sala. A questo punto, le vicende della compagnia di attori si mescolano a quelle dei personaggi della commedia in un gioco metateatrale che coinvolge anche il pubblico.
11 Aprile, “Meraki” di Francesco Cossu
con Mattia Grillo, Emanuele Palumbo, Alfredo Cossu, regia di Claudio Insegno
Lo spettacolo racconta la storia di tre giovanissimi attori alle prese con il sogno di riuscire ad allestire uno spettacolo, mossi dal piacere di mettere in scena un testo. I tre protagonisti, infatti, si trovano all’interno di un piccolo, fatiscente teatro, come se fosse l’unico luogo dove sentirsi realmente a proprio agio.
La vicenda si snoda lungo l’inaspettata attesa di un produttore, per l’appunto Meraki, che li ha contattati, apprezzando la loro capacità professionale, per produrgli, finalmente, uno spettacolo tutto loro.
A causa di un inconveniente da scoprire, i tre ragazzi resteranno chiusi all’interno del teatro, senza poter uscire, senza poter comunicare con l’esterno, ma soprattutto non potendo avvisare il tanto atteso Meraki, che a breve arriverà.
I tre attori proveranno di tutto per uscire ed accogliere il misterioso impresario, unica possibilità che hanno per continuare questa professione, ma i loro tentativi paradossali non sortiranno successo alcuno.
Ma se Meraki non arrivasse mai? Se restassero sempre alla disperata ricerca di denaro per affrontare, quantomeno, le spese di un allestimento, avrebbe senso continuare a passare ore su un palcoscenico di un piccolissimo teatrino del sottoscala di un palazzo?
Senza dubbio sì. Perché il teatro si fa prima di tutto per passione ed è letteralmente impossibile, innaturale, impensabile stare lontano da un palcoscenico perché – come recita una battuta della commedia – “…qui dentro, in teatro, ci sto bene. Ma tanto“.
Chi è Meraki? Una sorta di apparente novello Godot? (il riferimento e l’omaggio a Beckett è voluto) Ognuno potrà vederci chi vuole. Per chi volesse, invece, attenersi all’idea ed al sottotesto della commedia, basterà sapere che in greco moderno il termine indica il fare qualcosa con l’anima, la creatività o l’amore – quando metti “tutto te stesso” in ciò che stai facendo, qualunque esso sia. Come il mestiere dell’attore.
Fuori cartellone
28 e 29 dicembre, “Pezzi di Natale”
con gli allievi del Laboratorio pratico di teatro, regia di Antonio Vitale
Dal 7 ottobre. inizio del Laboratorio pratico di teatro, direzione artistica Enzo Varone, organizzazione, segreteria e logistica APS Proloco Caiazzo.
Ingresso singolo spettacolo 15 Euro, abbonamento ad 8 spettacoli 80€, inizio ore 20.
Info: 0823 862761, 339 1401547 -328 3888100- teatrojovinelli@libero.it, caiazzoproloco@gmail.com –
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