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Attualità

Nuova proposta salva-politici: “Niente carcere ai colletti bianchi se incensurati”

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L’Odg Costa

Nuova proposta salva-politici: “Niente carcere ai colletti bianchi se incensurati”

Ok da Lega e FI, FdI ci pensa – Verrà votato oggi alla Camera e riguarda la possibilità di valutare la misura cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti di incensurati solo in caso di “reati di grave allarme sociale e di reati che compromettano la sicurezza pubblica o privata o l’incolumità delle persone”

Di Valeria Pacelli e Giacomo Salvini 

7 Agosto 2024

Dopo la legge sulla presunzione di innocenza (la norma che, tra le altre cose, impone ai procuratori di parlare con la stampa solo tramite comunicati ufficiali con tanto di conseguenze per il diritto dei cittadini a essere informati), il deputato di Azione, Enrico Costa, prova a riscrivere anche le norme sulla custodia cautelare. E lo fa con un Ordine del giorno al decreto Carceri. Verrà votato oggi alla Camera e riguarda la possibilità di valutare la misura cautelare per pericolo di reiterazione nei confronti di incensurati solo in caso di “reati di grave allarme sociale e di reati che compromettano la sicurezza pubblica o privata o l’incolumità delle persone”. Questo vuol dire che un incensurato rischia di finire dentro solo se accusato di reati come – per citarne alcuni – mafia, reati sessuali, terrorismo, omicidio o anche furti in abitazione. Non sembrano contemplati però i pur odiosi reati di corruzione e tutti quei delitti commessi dai colletti bianchi. Secondo quanto risulta al Fatto, questo Ordine del giorno troverà terreno fertile tra le file di Forza Italia e Lega. Un po’ indecisi i deputati di Fratelli d’Italia, anche se molti sono pronti votare a favore.
L’Odg arriva dopo uno dei casi di cui più si è occupata la stampa e la politica: quello del governatore ligure Giovanni Toti, finito l’8 maggio ai domiciliari per l’accusa di corruzione: è stato scarcerato alcuni giorni fa dopo le dimissioni da presidente della giunta regionale.

Con questa nuova proposta, dunque, Costa vuole incidere sulla lettera C dell’articolo 274 del codice di procedura penale che norma proprio le esigenze cautelari disposte in caso di pericolo di reiterazione del reato, chiedendo un alleggerimento per gli incensurati. Scrive il deputato nel proprio Ordine del giorno: “L’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale prevede una prognosi di reiterazione del reato che solo la misura del carcere o dei domiciliari può scongiurare. Tale esigenza cautelare deve tuttavia conciliarsi con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza, che assume maggior forza laddove ci si trovi ad operare la prognosi su un soggetto incensurato”. “In altre parole – continua l’Odg – qualcuno la cui responsabilità non è ancora stata accertata, che sia dunque sospetto ma goda della presunzione di non colpevolezza e non abbia mai subito condanne, subisce una misura cautelare sulla previsione che possa reiterare un reato non ancora accertato. Un sospetto basato su un sospetto”. Per questo il deputato di Azione chiede al governo di “valutare un intervento normativo finalizzato a una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare (…) finalizzato a un puntuale bilanciamento tra presunzione di innocenza e garanzie di sicurezza”.

Una proposta che potrebbe trovare l’appoggio di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Partito che solo qualche tempo fa, tramite il suo capogruppo in Commissione giustizia alla Camera, Tommaso Calderone, aveva presentato una proposta di legge (che firma Calderone da solo, senza altri esponenti forzisti) il cui obiettivo era quello di far rivalutare al giudice il rischio di reiterazione di reato, dopo due mesi dall’ordinanza di misura cautelare, che sia in carcere o ai domiciliari. Nell’idea di Calderone: se non sopraggiungono esigenze nuove e diverse da quelle che hanno portato inizialmente ad emettere la misura, tutti fuori. Anche in questo caso la norma non riguarderebbe mafia, reati sessuali, omicidi, terrorismo e così via. Ma – anche in questo caso – invece può essere applicata ai casi di corruzione e delitti dei colletti bianchi. Un ulteriore balzo rispetto a quanto stabilito dalla riforma Nordio che ha passato la decisione dell’emissione di misura cautelare non più a un singolo giudice ma a un collegio di tre, con tutto ciò che ne consegue in termini di tempo e di capacità (inteso come numero di giudici applicati nei Tribunali).
Adesso l’Ordine del giorno di Costa: pronto a essere appoggiato dalla maggioranza.

Marco TravaglioDirettore del
Fatto Quotidiano
Cambia data

Immunità di gregge

7 Agosto 2024

Da giorni Salvini, dopo essersi calato qualche mojito (almeno si spera), calava la maschera strologando di strane forme di impunità per i presidenti di Regione a fine mandato o sino a fine mandato (non lo capiva bene neanche lui). Poi ieri l’ha raggiunto a Roma il suo idolo Toti, fresco di manette e rinvio a giudizio per corruzione, e ha tradotto l’ideona in italiano: “Le immunità della politica sono calate oltre ogni limite seguendo un certo populismo e giustizialismo. Vanno allargate dai parlamentari ai ministri. E anche governatori e sindaci devono avere una protezione, non per Toti, ma per il mandato popolare che gli è stato affidato”. Quindi immunità parlamentare, ma anche ministeriale, regionale, provinciale, comunale, circoscrizionale, rionale e pure extralarge, mai vista neppure nella Costituzione originaria. Che non s’è mai sognata di vietare o rinviare i processi agli eletti: richiedeva solo l’autorizzazione a procedere del Parlamento per indagarli. Poi, visto l’abuso che ne faceva, nel 1993 lo stesso Parlamento la riformò a furor di popolo, limitandola ad arresti, perquisizioni e intercettazioni (che fra l’altro sono atti a sorpresa ed è assurdo avvisarne in anticipo i destinatari).
Ora Toti vuole l’autorizzazione a delinquere. Ma nessuno l’ha informato – è un giornalista e certe cose mica può saperle – che i “giustizialisti populisti” che imposero il taglio delle immunità erano proprio i suoi alleati: i futuri forzisti e Fratelli d’Italia (all’epoca nel Msi) e la Lega (Salvini che aveva solo 20 anni e, per fortuna di Bossi, stava a Il pranzo è servito). Si era in piena Tangentopoli e, dopo un solo anno di legislatura, le due Camere avevano ricevuto ben 540 richieste di autorizzazione a procedere per quasi altrettanti eletti (oltre metà del totale): record mondiale di tutti i tempi. Un sondaggio Fininvest di Gianni Pilo svelò che solo il 2% degli italiani aveva fiducia nei partiti. I leghisti Bossi, Maroni e Castelli chiesero a gran voce la fine all’“inaccettabile degenerazione nell’applicazione della immunità… trasformata in immotivato e ingiustificato privilegio” con “conseguenze aberranti”. E così i missini Fini, Gasparri (ora FI) e La Russa (ora FdI): “L’uso e soprattutto l’abuso del diniego di autorizzazione a procedere sono visti dai cittadini e dall’autorità giudiziaria come strumenti per sottrarsi al corso necessario della giustizia”. Il relatore della riforma era Carlo Casini (un Dc pro life poi passato ai centristi con Lupi): “Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. L’istanza di eguaglianza deve riguardare in primo luogo gli autori delle leggi”. La Camera approvò con 525 sì, 5 no (fra cui Sgarbi) e 1 astenuto; il Senato con 224 sì, zero no e 7 astenuti. Almeno i ladri di allora erano furbi. Oggi sono pure fessi.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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