Aree interne. Mons. Accrocca: “La pastorale non può essere fatta su un modello unico”
Le aree interne “hanno la forza di essere comunità, luoghi dove i legami si rinsaldano e ci si ritrova”. Ed “è necessario partire dalle ‘periferie’, espressione felice di Papa Francesco, per capire anche tutto il resto. Il centro, infatti, si capisce dalle periferie”. Lo ha detto il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, intervenendo nei giorni scorsi all’incontro dei vescovi delle aree interne, riuniti a Benevento, il 16 e il 17 luglio. Sottolineando che “tutte le comunità sono importanti, anche quelle più piccole”, il porporato ha evidenziato che “le aree interne non sono il passato. Sono il presente e ci indicano il futuro”. L’incontro ha avuto al centro la riflessione di mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, che ha focalizzato la sua attenzione sulla “sinfonia dei ministeri battesimali e laicali nel quadro dei ministeri della Chiesa” e lanciato tre proposte pastorali per la “forma ecclesiae” nelle aree interne: l’équipe pastorale – con una distinzione tra “piccole comunità” (“chiese sussidiarie”) e “comunità decanale” (o “chiesa di unità pastorale”) da ricercare nelle azioni pastorali che si possono realizzare nell’uno e nell’altro spazio -, il servizio della cura – una vera task force della carità, che deve essere spirituale e materiale insieme – e il centro educativo, dove collocare i percorsi di iniziazione cristiana, di animazione dei ragazzi (oratorio, centro sportivo, Grest) e di pastorale giovanile (adolescenti e giovani) che si snodano lungo l’anno pastorale. Un invito a “elaborare una nuova riflessione, assumendo le priorità emerse nel corso dei vari appuntamenti annuali” è venuto da mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, al termine dell’incontro dei vescovi delle “aree interne”. Sulla scia dei documenti elaborati dalla Cei sul mondo rurale, per il presule “sarebbe interessante declinare tutto il patrimonio di questi anni in un testo, che deriverebbe dall’esperienza vissuta di alcuni vescovi, da consegnare a tutti”. Alla conclusione dell’incontro abbiamo parlato con mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento e ideatore degli incontri dei vescovi delle aree interne.
Eccellenza, che bilancio può fare della due giorni?
L’incontro è riuscito molto bene sia per la partecipazione numerica e variegata dell’episcopato, che copriva quasi il 70% delle Regioni italiane, sia perché è stata un’esperienza di vera fraternità tra di noi, serena: questo fa la differenza, non un incontro paludato, formale, ma un incontro molto schietto, spontaneo, fraterno, familiare, questo è stato un valore aggiunto.
Durante l’incontro su cosa avete riflettuto?
Ci siamo soffermati principalmente sulla relazione di mons. Brambilla, che ci ha presentato proposte molto concrete, su cui abbiamo registrato un feedback immediato e corale, per muoverci poi in un confronto partendo da situazioni diverse, da territori diversi, da forze diverse, che necessitano di conseguenza risposte diverse.
Non possono esserci risposte che vanno bene per tutti. In ogni caso, sono state proposte che ci dicono l’urgenza di guardare a modelli nuovi, non può essere più valido il vecchio modello in cui ogni parrocchia faceva tutto.
Sono modelli non più sostenibili. Ma quando si parla di modelli nuovi, di ottiche nuove, a volte bisogna superare le resistenze, il “campanile”. Tante volte ci si sposta per qualsiasi esigenza anche per 15 chilometri, ma, se si dice di concentrare in una chiesa la messa di tre parrocchie, che sono a distanza di 2 chilometri l’una dall’altra, sembra impossibile. Quante volte ci siano trovati con queste difficoltà. Non possiamo, però, continuare a mettere vino nuovo in otri vecchi, altrimenti perdiamo tutto.
Mons. Brambilla ha lanciato l’idea dell’équipe pastorale…
L’équipe pastorale dovrebbe avere un ruolo centrale, ma è difficile dare anche qui una risposta univoca perché tante volte la difficoltà è, intanto, trovare proprio le energie, le risorse umane per fare un’équipe e molte volte, dove le risorse pure ci sono, si fa fatica a lavorare in rete, ripetendo vecchi modelli, ognuno ha il suo piccolo appezzamento che diventa una specie di “hortus conclusus”, la difficoltà è superare questo vecchio modello.In particolare, mons. Brambilla ipotizzava un modello in una valle che ha un comune un po’ più grande e una chiesa parrocchiale con più strutture, che diventerebbe il centro dove possiamo pensare l’Eucaristia tutte le domeniche e feriali, in altre parrocchie si possono ipotizzare altri tipi di attività, con l’Eucaristia più saltuaria. Chiaramente sono ipotesi, poi bisogna calare le proposte nella realtà concreta. A volte le frazioncine sono vicine le une alle altre e quindi è più facile, in altri casi i paesi sono distanti 30 minuti di auto l’uno dall’altro e la situazione può diventare più complessa.
Mons. Brambilla ha parlato anche di servizio della cura e di centro educativo per giovani…
Nelle aree interne vive una grande quantità di anziani, c’è tutto un mondo in cui è necessario rendere più umana la vita e accompagnare verso i processi. Al di là della proposta di mons. Brambilla, io penso a queste due realtà: giovani e anziani. Penso al volontariato dei giovani verso gli anziani, così come c’è un volontariato degli anziani non dico verso i giovani, ma verso i bambini, perché molti anziani custodiscono i luoghi dove i bambini giocano, hanno una cura e fanno una sorveglianza dei piccoli, si potrebbe pensare a un volontariato dei giovani a vantaggio del mondo degli anziani, con azioni concrete: visitare, fare la spesa. Questa sarebbe una scuola educativa per i giovani, un investimento sui giovani, di cui trarrebbero benefici anche gli anziani.
Oltre alle proposte concrete di mons. Brambilla nella sua relazione avete, affrontato altri temi?
Sì, ci sono stati flash su vari temi, ma che non si possono approfondire in così poco tempo; certamente, abbiamo enucleato l’esigenza di un’accoglienza per le aree interne, per dare un futuro a queste zone e anche a tutto il Paese. Magari anche la Conferenza episcopale italiana, approfittando del percorso fatto, potrà intervenire più globalmente con un intervento sulla questione.
Il presidente della Cei invitava, sulla scorta del Papa, a partire dalla periferia…
Bisogna partire dalla periferia, altrimenti se si parte dai centri verso la periferia si resta a metà strada e le periferie restano marginalizzate e deprivate di cose essenziali. Invece, se si parte dalla periferia non si può non arrivare al punto e tutti sono serviti.
Nella nota finale dell’incontro avete sottolineato che “terreno fecondo per il futuro potrà essere anche una nuova pastorale rurale, capace di valorizzare il mondo dei lavoratori della terra”…
È stato un accenno, ma è chiaro che l’ambiente rurale spesso caratterizza le nostre aree interne e quindi va rivitalizzato. Tutto ci porta a dire quello che sosteniamo da anni:
la pastorale non può essere fatta su un modello unico o progetti pastorali pensati per realtà urbane, non c’è solo quello, anzi non c’è principalmente quello.
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