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Crescere nella decrescita

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A voler cercare una notizia buona – angosciati da guerre a cui non si trova soluzione di pace e dal cambiamento climatico di cui peniamo gli effetti senza attivare davvero in massa percorsi virtuosi capaci di invertire la rotta – possiamo almeno in parte cercarla in campo economico, dove del buono c’è ma – va detto subito – è sub conditione.
Partiamo dal dato certo: qualche giorno fa il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, dalla sua autorevole posizione ha rivelato che l’Italia cresce più degli altri paesi dell’eurozona e che: “Non siamo condannati alla stagnazione”. Una luce, ma non priva di velature.
Cominciamo dalla luce: secondo le stime Eurostat, il Pil pro-capite italiano nel 2023 è cresciuto del 4,9% rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019, cosa da primato se è vero che il Pil per abitante in Francia e in Spagna è cresciuto dello 0,1%, mentre in Germania è retrocesso al -1%. Delle quattro grandi economie della moneta unica, l’Italia è quindi la sola ad aver riportato nel 2023 i consumi per abitante al di sopra dei livelli del 2019 (+1,7%); mentre negli altri paesi questo non è avvenuto (Francia -0,7%; Spagna -2,1%; Germania -3,3%). Va comunque ricordato che si tratta di un dato nazionale medio, che funziona come il pollo di Trilussa: se le regioni del nord gongolano di cosce e petto, il sud si accontenta di mezza aletta. Detto con i numeri: fatto 100 il dato medio europeo, il Pil pro capite in Lombardia sale a 129, Bolzano a 130, ma in Calabria scende a 57,3 (metà della media europea). E questa è già una prima ombra che offusca la luce.
Una seconda arriva dal contesto globale. Espandendo lo sguardo a quel mercato globale che è il mondo, si scopre che la zona euro è quella in cui, sempre secondo quanto riportato dal governatore, si può stare meno tranquilli. Pandemie e guerre mettono le economie in allarme e aumentano la tendenza al protezionismo, cosa che l’Europa e l’Italia hanno da temere. Da una parte perché l’export italiano è una voce fondamentale per i nostri bilanci (nel periodo 2019-2022, le esportazioni italiane sono aumentate del 5,5%) e la chiusura o protezione dei mercati non è mai una buona notizia per il paese; dall’altra perché tutta l’economia dell’eurozona va perdendo peso rispetto all’economia mondiale (è scesa dal 26 al 18%), mentre quella degli Usa mantiene le sue posizioni (invariate al 26%), e quella della Cina è quadruplicata (17%).
Altro punto dolente: il debito pubblico italiano abbisogna di grandi risorse, ma tante ne stanno richiedendo passi ormai imprescindibili come le transizioni climatica e quella digitale, per le quali la Commissione Ue ha fatto una stima di investimenti, pubblici e privati, di circa 800 miliardi l’anno fino al 2034. Per avere risorse, quanto il pubblico che il privato, devono avere il sostegno di economie rampanti e bilanci in attivo.
Altre due nubi offuscano il sole del Pil in crescita. Una è data dall’invecchiamento della popolazione italiana, per il quale non c’è un turn over data la decrescita demografica che da tempo ci contraddistingue. Tanto che, secondo l’Istat, da qui al 2040 il numero delle persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni. Questa perdita di forza lavoro, se non rimpiazzata da forze nuove, si concretizzerebbe in un calo di produttività e il Pil potrebbe registrare perdite fino al -13%. Drammatico per il nostro stile di vita e il nostro paese: è quindi urgente rifare il punto su quante persone immigrate sono necessarie come nuovi lavoratori. Ma, e questa è la seconda ombra, una maggior presenza di migranti integrati è – stando ai numeri attuali – un passo indispensabile quanto non sufficiente, o meglio non immediatamente risolutivo, perché la demografia ha tempi lunghi. Va pure ricordato che il mercato stesso del lavoro va cambiando velocemente: la diffusione dell’intelligenza artificiale andrà cambiando molte situazioni, richiedendo ai lavoratori istruzione precisa e formazione continua, alle aziende l’innalzamento del livello tecnologico.
Tra le tante criticità Panetta ha rimarcato in modo particolare quella del debito che ha definito “una zavorra”. Per questo ha parlato di un piano che sia credibile e che scorra su due binari: uno che stimoli la produttività (altro neo del lavoro italiano), l’altro che miri alla costante traiettoria discendente del debito; cosa che si può ottenere – ha dichiarato – solo coniugando “prudenza fiscale e crescita” e insistendo sulla necessità di scelte attente alla voce “spesa”.
Guardando allora al quadro economico completo non si può tanto dire che c’è una luce in fondo al tunnel, quanto che la luce sta al suo ingresso. Se vogliamo continuare a camminare, dobbiamo accenderne altre.

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