La Fondazione Campania dei Festival è in fiera al Salone del Libro di Torino (in programma dal 9 al 13 maggio, negli spazi di Lingotto Fiere) presso lo stand U137-T138 – REGIONE CAMPANIA.
Il Salone, che giunge quest’anno alla sua XXXVI edizione – la prima con la direzione di Annalena Benini – ospita nell’Oval un allestimento di circa 300 mq e, al suo interno, un’arena dedicata a 40 incontri con interventi di numerosi ospiti, autori e artisti per promuovere l’editoria e la cultura regionale.
Il progetto porta 50 editori campani in fiera e una selezione di oltre 3000 titoli a conferma dell’impegno profuso dalla Regione Campania nelle prime due edizioni di Campania Libri Festival, la fiera dell’editoria a Palazzo Reale di Napoli.
Tre autori casertani sono presenti: il giornalista Ferdinando Terlizzi, con “Delitti in bianco e Nero a Caserta e, “Vittime assassini processi”; Augusto La Torre (ex boss, ora collaboratore di giustizia e plurilaureato) con “Il Camorfista” e “Cosa Nostra in Terra di Lavoro” – Antonella D’Agostino, con “La Casalese” – Grazie all’editore Antonio Baiano che ha curato le pubblicazioni e le ristampe.
L’opera di Augusto La Torre è un viaggio avvincente e inaspettato di chi, dall’odissea delle carceri e dal buio della camorra, rinasce magistralmente dalle proprie ceneri con l’arma della cultura e ci accompagna in un exursus profondo ed esaustivo della nascita ed evoluzione della criminalità organizzata, un viaggio narrato da chi l’ha vissuta sulla propria pelle ma con la ferma volontà di chiudere con il proprio passato bevendo al calice della sapienza. Il lettore scoprirà la “buona notizia”, a partire dal male commesso dall’autore. Non si tratta di persone di serie B, ma di un uomo che pur essendosi macchiato di crimini più o meno gravi, ha vissuto sofferenze e difficoltà ed adesso chiede alla società e al lettore
ascolto e comprensione per potersi rialzare e reinserire nelle normali relazioni
sociali.
Dalla civiltà etrusca, per le stradine sassose dell’antica Italia sempre più romanizzata e insanguinata, in un evolversi brutale fatto di piccole realtà locali di devianza sociale e di violenza embrionale, fino alla più romantica età borbonica dove regna quel brigantaggio dal sapore di cappa e spada in una Napoli dei gendarmi a cavallo tra piazze e mercati,
tra musica e voci quale sfondo di fuorilegge che han fatto la storia di leggende e proverbi nel tesoro immortale del folklore popolare, si giunge
poi alla figura avvincente e antica del guappo, qual sceriffo di quartiere nonché capo temuto e indiscusso, che popola tuttora la canzone e il teatro partenopeo, un camorrista elegante e un eroe sfrontato, un giustiziere classico e un rubacuori conteso dalle donne più belle che delinea meglio le gerarchie criminali gettando le basi a quella che poi sarà la malavita organizzata di Raffaele Cutolo, il professore del celebre caffè di De Andrè, che ha fatto della camorra un’istituzione con regole ben precise,
ruoli definiti e gerarchia solida, un camorrista e un intellettuale che ancora oggi divide l’opinione pubblica e incuriosisce cantautori, sceneggiatori
e criminologi di tutto il mondo, un uomo e una mente alla quale bastava uno sguardo e una stretta di mano perché di parola ne aveva una
sola.
Infine il viaggio si conclude con Cosa Nostra, quell’Onorata Società nata con la coppola e la lupara ma che ha saputo evolversi con menti
sopraffine volte al male, fino ad uscire dai confini nazionali e toccare le coste americane, e la camorra casertana, i temuti casalesi sui quali si scrivono fiumi d’inchiostro tra inchieste e sceneggiature, romanzi e musica
drill, i capi che hanno fatto del riciclaggio e della Terra dei Fuochi un triste marchio di fabbrica, l’autore si sofferma in particolar modo sulle figure di Mario Iovine e Antonio Bardellino, due boss della cosiddetta camorra “mafizzata”, quella realtà criminale costruita sul gioco di squadra, sulle alleanze giuste, sugli affiliati più spietati, una struttura piramidale e orizzontale che si è fatta spazio tra meritocrazia sanguinaria e strategie belliche, tra ambizione violenta e dominio del territorio, tra
processi storici ed omicidi efferati, riciclaggio e industrializzazione, due boss e due menti, due mondi e due storie intrecciate, due capi alla pari a cui tutto e tutti facevano riferimento ed ogni azione di natura criminosa o economica era eseguita senza fiatare, due uomini al comando tra ammirazione degli affiliati e timore dei clan avversari, due boss che hanno fatto della cosiddetta famiglia la propria roccaforte territoriale sulla quale costruire le proprie vittorie tinteggiate di sanguigno. Una camorra
casalese che ha ucciso don Giuseppe Diana, una camorra che spesso in quelle zone non è stata l’Antistato, ma era dentro lo Stato e le Istituzioni.
====================================
|