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Il vescovo del Myanmar sfollato tra gli sfollati: “Abbiamo bisogno di aiuto ma non sappiamo dove e a chi chiedere”

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La siccità durante la stagione secca e l’emergenza di ripari sicuri durante la stagione delle piogge. Il trauma di aver perso tutto, anche i propri familiari. E poi la scarsità di cibo e la totale assenza di medicine e centri ospedalieri. La vita degli sfollati interni in Myanmar è così. A raccontarla è mons. Celso Ba Shwe, vescovo di Loikaw (Stato di Kayah). Anche lui è “uno sfollato”. Il 26 novembre scorso, l’esercito della giunta militare ha sparato più volte sul Centro pastorale di Loikaw dove il vescovo viveva e per motivi di sicurezza, è dovuto fuggire e trovare rifugio in una remota parrocchia di Demoso, una zona piena di persone sfollate. Con lui, anche molti sacerdoti e religiosi sono sfollati e continuano a fornire alla gente assistenza pastorale. “Abbiamo sempre più bisogno di aiuti, sanità, educazione e sostegno pastorale. Non sappiamo dove e a chi chiedere. Aiutaci per favore!”, è il grido del vescovo.

Loikaw (Myanmar), emergenza acqua per gli sfollati (foto mons. Shwe)

“In realtà, la diocesi non gestisce alcun campo per sfollati interni”, spiega mons. Shwe, “ma cerchiamo di raggiungere quasi tutti i campi della diocesi, indipendentemente dalla razza e dalla religione”. Il vescovo racconta che la maggior parte degli sfollati interni sono cattolici ed è naturale per loro rivolgersi alla diocesi per trovare aiuto, non solo umanitario ma anche accompagnamento pastorale e sostegno psico-sociale. A causa dei continui conflitti armati, dei blocchi stradali e degli alti prezzi dei beni di prima necessità, le ong e gli organismi locali di solidarietà non riescono fare molto. La diocesi di Loikaw cerca di fare il suo meglio, attraverso i suoi due rami “sociali”: la Kmss (Caritas Loikaw) e Dert (Diocesan Emergency Response Team).

Myanmar, sfollati interni a causa del colpo di Stato (foto mons. Shwe)

“Quando nel novembre 2023, abbiamo dovuto lasciare il centro pastorale, per noi è diventato tutto più difficile”, confida il vescovo. “C’è un grande bisogno di cibo e medicine. Durante la stagione secca (febbraio-maggio) il problema principale è la scarsità d’acqua. Gli sfollati interni devono comprare l’acqua ma non hanno soldi per farlo. Nella stagione delle piogge (giugno-ottobre), invece, c’è bisogno di acquistare teloni e lamiere di zinco per i rifugi”. Ai bisogni materiali si aggiungono le fragilità psicologiche. “Molte donne e anziani soffrono il trauma di essersi spostati forzatamente da un luogo all’altro. Hanno perso le loro case, le loro proprietà e persino i loro familiari”. Molti campi per sfollati interni si trovano soprattutto nella parte occidentale dello Stato di Kayah (comuni di West Dimoso e Hpruso). “Non possono tornare indietro e lavorare nei propri campi vicino ai villaggi di origine. Molti di loro erano dipendenti governativi e ora sono membri del CDM (il Civil Disobedience Movement). Non hanno lavoro né reddito. La popolazione tutta sta soffrendo molto per la crisi causata dal conflitto ”.

Ambulatorio gestito dalle religiose (foto mons. Shwe)

Due le emergenze che preoccupano la chiesa locale: l’assistenza sanitaria e l’educazione. “Nessun ospedale pubblico è funzionante nello Stato di Kayah” – come nel resto del Paese – , fa sapere il vescovo. La diocesi sta sostenendo alcuni ambulatori comunitari gestiti dai comitati dei campi e dalle religiose. “Forniamo anche cliniche mobili ma non abbiamo abbastanza medicine”. Il trasporto poi dei malati gravi verso gli ospedali “più vicini” è praticamente impossibile in quanto “tutte le strade principali in entrata e in uscita dallo Stato di Kayah sono bloccate da entrambi i gruppi armati a causa dei combattimenti”. Ma a soffrire di più sono i giovani e i bambini e gli anziani. La maggior parte dei campi tenta di aprire scuole comunitarie, ma non ci sono abbastanza insegnanti né abbastanza fondi per pagare gli stipendi. Molte scuole, ospedali e cliniche sono costretti a chiudere per paura di bombardamenti inattesi e attacchi di artiglieria. Ospedali e cliniche diventano possibili bersagli.

Scuole comunitarie nei campi degli sfollati (foto mons. Shwe)

Attraverso la Caritas Loikaw e il Dert, la diocesi si è impegnata a stare a fianco delle persone. Il Diocesan Emergency Response Team è formato da parroci, comunità religiose e volontari laici. “Si cerca così di rispondere a chi ha urgente bisogno di cibo, alloggi e assistenza sanitaria. Forniamo cura pastorale e accompagnamento; e ovviamente supporto psico-sociale. Supportiamo anche quelle scuole che nessuna organizzazione aiuta, fornendo cancelleria, materiali per l’edilizia scolastica e compensi per gli insegnanti volontari. Il bisogno della gente è enorme ma il sostegno è molto limitato”.

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