AMADEUS VIA DALLA RAI E ARRIVA GRILLO PER FAR RIDERE TUTTI
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Mario Sensini Amadeus di Carmelo Caruso Il Foglio
Come Didone a Cartagine. Una tragedia, un pianto, il dolore Rai: “Amadeus se ne va, Amadeus ci lascia, Amadeus ha parlato con l’ad Roberto Sergio. Ha già firmato con Nove”. Li abbandona. L’ultimo “volto” della tv pubblica, il direttore artistico di cinque Festival di Sanremo, l’unico pacco che in Rai non è un pacco, va a Discovery. Dal settimo piano di Viale Mazzini: “Cosa possiamo dire? Amadeus rifiuta le nostre offerte. Trattiamo ma senza speranza”. Dai tempi di Virgilio non si era più cantato uno strazio eguale. Chiamiamo Amadeus, scriviamo ad Amadeus. Lui non risponde. Fiorello, a Viva Radio Due, l’edicola nazionale, come Marzio Breda, il quirinalista del Corriere, anticipa la fatal decisione: “Non sono autorizzato a dire niente, ma vi dico solo che Amadeus è salito al Colle a dare comunicazioni su qualcosa”. Immaginate il Pd senza Dario Franceschini, l’Adelphi senza Simenon in catalogo, Meloni senza Fazzolari, la Rai senza Amadeus. Impossibile. Più che altro, una sciagura. Economica. Ci sono gli ascolti che si traducono in pubblicità e stipendi pagati. Gli Affari Tuoi di Amadeus sono dei gran belli affari Rai ed equivalgono a oltre cinque milioni e mezzo di spettatori a sera, quasi il trenta per cento di share (si pensa di affidarlo ad Alessia Marcuzzi o a Stefano De Martino; Sanremo a Carlo Conti). A Discovery, i dirigenti che sono più abili dei corsari di Elisabetta I, vi rispondono: “Ma noi sapevamo che pure Mediaset era interessata ad Amadeus”. A Mediaset dicono: “Non vi fate prendere per il naso. Amadeus raggiungerà Fazio. Detto tra noi, se la Rai fosse quotata in Borsa, già dopo l’addio di Fazio, avrebbe perso il dieci per cento del patrimonio”. Ma perché Amadeus lascia Bisognerebbe riscrivere i classici. Didone amava Enea, ma sappiamo noi quanto potessero essere seccanti gli amici di Didone, i cognati, i cugini della regina In Rai, Amadeus, che era sofferente, chiedeva di sperimentare. La Rai: “Ma caro, proponi, certo”. Lui, Amadeus: “Avrei un’idea, un format. Vorrei andare alla ricerca di talenti”. Che succede? Succede che il format di Amadeus, prodotto da Banijay, viene bocciato per dare spazio all’Acchiappatalenti di Milly Carlucci, che aveva “acchiappato” la stessa idea di Amadeus, ma con Freemantle. Come spesso avviene, il malessere di un artista si trasforma in una battaglia tra case di produzione. Ultimamente in Rai, come racconta la vecchia talpa Rai di destra (sognava l’agiatezza ed è finita a fare gli straordinari mal pagati) “Freemantle ha l’egemonia. C’è poi Angelo Mellone, il predestinato a tutto, il piccolo Buddha. Credetemi, meglio gli esercizi spirituali con il leghista Rai, Ciannamea”. L’artista, Amadeus, soffriva. Loro, i dirigenti Rai, pensavano: “È solo un momento. È lo stress, l’ansia, il tormento del genio”. Amadeus, che non ha mai voluto prendere casa a Roma, ma che ha casa a Milano (nella capitale vive in hotel, al Parco dei Principi) provava a spiegarlo, “sapete, io vorrei andare via, inventarmi qualcosa di nuovo”. È la ragione ufficiale che la Rai offre: “Sulla sua decisione pesa la voglia di tornare a Milano”. Il prossimo ad Rai, Giampaolo Rossi, attuale dg, gli avrebbe detto, con tenerezza: “Se è una questione di denaro, parliamone”. Il problema è che non era una questione di denaro (le offerte sono alla pari) ma qualcosa di più intimo. Lo spiega un monaco che tiene per mano questi artisti, che conosce i capricci, le loro debolezze: “Quando cominci a dire ‘perché no?’, è in quel momento che salta tutto. Lasciare la Rai, perché no? Nove? Perché no? Quando la Rai ha lasciato partire Fazio non ha capito che con Fazio finiva il vecchio mondo. Un tempo, la Rai lanciava un talento, Mediaset lo strappava alla Rai. Era il ciclo della vita. Fazio ha mostrato che si possono fare ascolti, oltrepassando le tv generaliste. I volti sono pochi, i pochi sono pregiati. Oggi l’addio di Amadeus è per la Rai un problema industriale”. Ci sono poi altri problemi. Amadeus è stato per anni seguito da Lucio Presta, il suo potentissimo agente, uno dai modi spicci, uno che desidera l’amore totale. Si sono allontanati perché nel lavoro, come nel resto, è umano avere voglia di fare tardi con qualcun altro, sentire di voler restar per strada anziché tornare a casa, senza per questo dover temere la vendetta. Amadeus teme la rappresaglia di Presta. Oggi gli artisti Rai non si sentono difesi e tutelati dai nuovi direttori Rai, di destra. Al compleanno di Gian Marco Chiocci, sessant’anni, andavano da Stefano Coletta, ex direttore di Rai 1, quota Pd, a dirgli: “Tutta la vita un direttore come te!”. La vita, appunto. Per convincere Amadeus, Discovery, la bravissima Laura Carafoli, avrebbe offerto un programma su Real Time anche a Giovanna Civitillo, moglie di Amadeus. Tra un anno e mezzo, Nove potrebbe strappare anche un “volto” dell’approfondimento. In Rai uno che può lasciare è Sigfrido Ranucci. A La7, la tv di Urbano Cairo, almeno tre: Gruber, Floris, Formigli. Sono gli Enea della tv: “E intanto, confuso / non parto, non resto / ma provo il martire / che avrei nel partire/ che avrei nel restare”.
Carmelo Caruso Grillo di Mauro Lissia Il Fatto quotidiano
Deluso dalla politica («ho mandato affanculo tanta di quella gente… il risultato è che ora sono tutti al governo»), Beppe Grillo ritorna sulla scena con un titolo spiazzante: Io sono un altro.
Col nome di Vitangelo Moscarda si richiama a Uno, nessuno e centomila eppure ad ascoltarlo a Cagliari, in un teatro Massimo non proprio sold out («meglio così, io preferisco sold in») l’annunciata scomposizione pirandelliana dell’identità di Grillo si arrende al destino di comunicatore a registro variabile, con l’ironia che accende i temi cari da sempre al fondatore del M5S e il cinismo liberatorio che accompagna il suo racconto di una realtà costantemente proiettata sul futuro: «Non voglio divertire – avverte l’attore genovese – voglio che torniate a casa con qualcosa che rimane». E sì, che qualcosa rimane. Dal palco vuoto, con una bottiglia d’acqua appesa al soffitto («è un palco genovese») Grillo lancia l’invito a non arrendersi malgrado tutto perché forse un ordine superiore c’è: «Non credete a nessuno, neppure a me, anche se a qualcosa è necessario credere. Quest’universo così complesso, possibile che sia nato dall’esplosione di una galassia No, non è che se fai esplodere una tipografia viene fuori la Treccani».
La Chiesa però, che collega la vita terrena all’invisibile «dovrebbe parlare di politica, non fare politica». Mentre oggi il rapporto coi credenti va affievolendosi: «Come mai le chiese sono vuote nonostante questo Papa meraviglioso?». Il mondo sopravvive su schemi vecchi, l’Italia è un Paese avanti con gli anni: «Ho sentito la Vanoni, vorrebbe che al suo funerale suonasse Paolo Fresu. Ma non accadrà mai, accadrà il contrario». Ai personaggi della politica Beppe Grillo dedica poche parole, che bastano a scatenare risate e applausi: «Non sopporto il furto di parole, questa nana che ha chiamato il partito Fratelli d’Italia. È il nostro inno, non può essere un partito». Calenda è «il banalino di coda», Renzi «il penultimo dei Mohicani», ma «vorrebbe uccidere l’ultimo per prenderne il posto». Un pensiero alla Rai: «L’informazione ormai disinforma. Basterebbe una rete senza la pubblicità, che non deve rendere conto a nessuno». Sarà anche un altro, Beppe Grillo. Ma non rinuncia al vecchio rimedio contro i mali dell’esistenza: la perdita di sé, la depressione. Dice che «fa riflettere», lui stesso non ricorda i nomi delle persone e non ricorda di essere malato «che è una malattia a sua volta». Situazione ideale perché «la memoria è una cosa negativa» e guardando con orrore alla guerra si trova la conferma dell’idea: «Palestina e Israele, per convivere in pace, avrebbero bisogno di due territori separati, senza memoria».
Mauro Lissia
Università
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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