Giornata mondiale dell’acqua, ancora tante le sfide per poter garantire a tutti l’accesso
Acqua di pace e non di guerra. Acqua per tutti e non per pochi. Risorsa preziosa – anche nell’epoca della digitalizzazione e della tecnologia sempre più spinte –, l’acqua di cui oggi, 22 marzo, si celebra la Giornata mondiale continua invece ad essere motivo di divisioni e scontri. Una realtà che si tocca con mano a livello sia locale sia mondiale. E che deve far pensare quanta strada di civiltà l’umanità debba ancora percorrere.
Per capire basta partire da un solo dato: l’obiettivo 6 dell’Agenda 2030 – garantire a tutti l’accesso a un’acqua senza rischi – è lontanissimo perché sono ancora circa 2,2 miliardi le persone che non hanno ogni giorno l’acqua da bere. Questione cruciale che tocca un po’ tutte le aree e tuti gli ambienti: dalle città alle campagne, dall’Europa all’Africa. Legambiente, tra tutti, per questo parla di “crisi idrica globale” come diretta conseguenza della crisi climatica (che si manifesta con l’intensificarsi di eventi meteorologici estremi, come siccità, alluvioni e tempeste) e della gestione insostenibile delle risorse idriche. Una crisi che è una “minaccia per il Pianeta ma anche per la pace”. Proprio dall’acqua, quindi dal suo controllo e dalla sua gestione, passano, dice ancora Legambiente, “tensioni e conflitti nelle aree più vulnerabili del mondo con impatti violenti sul futuro delle popolazioni, costrette a fuggire, talvolta verso insediamenti o campi esposti a gravi rischi climatici e dove è sempre più difficile fornire servizi idrici e igienico-sanitari”.
Secondo il rapporto Groundswell della Banca mondiale, si prevede che entro il 2050 circa 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa degli impatti climatici, tra cui lo stress idrico. Tra le parti del mondo più colpite il Corno d’Africa: solo in Somalia nel 2023, secondo le stime dell’Unhcr, la più grande siccità degli ultimi 40 anni e le inondazioni, combinandosi con situazioni di conflitto e insicurezza, hanno causato quasi 3 milioni di nuovi spostamenti forzati all’interno del Paese.
Poi ci sono le situazioni più locali. Coldiretti sottolinea, su dati dell’Osservatorio europeo sulla siccità, che per esempio il 15% dell’intero territorio dell’Unione europea è in allerta arancione per la siccità e per un altro 1% siamo all’allarme rosso. In Italia, poi, è possibile disegnare una vera “mappa della sete”. La situazione è difficile nel Sud, dove negli invasi pugliesi mancano 107 milioni di metri cubi d’acqua rispetto all’anno scorso, secondo i dati dell’Osservatorio Anbi sulle riserve idriche. Ma ciclicamente vanno ormai in crisi le aree agricole più ricche dello Stivale come quelle della pianura Padana assetate dal prosciugamento dei bacini montani e dalla scomparsa dei ghiacciai.
Colpa del clima che cambia, si dice. Ma non è solo questo. Certo, anche l’Italia ha sperimentato il cambiamento climatico con, nel 2023, un incremento del 22% degli eventi meteorologici estremi rispetto all’anno precedente. Ma il tema vero è la gestione dell’acqua. Anche in questo caso basta poco per capire. Stando ad una analisi dell’Associazione dei consorzi di bonifica e irrigazione (Anbi), l’Italia potrebbe disporre in poco tempo di quasi 549 milioni di metri cubi di acqua in più: una quantità di risorse idriche superiore al volume che può fornire il lago di Garda e cioè il più grande lago italiano. Si tratterà di acqua risparmiata, perché raccolta e distribuita con più efficienza e razionalità, meglio di quanto accade oggi. Perché il problema sta, ad esempio, nelle perdite di acqua lungo le migliaia di chilometri di tubazioni vecchie; oppure nella scarsità di bacini di raccolta dell’acqua che piove dal cielo in modo sempre più imprevedibile. Tutto senza dire poi della concorrenza di usi diversi di una risorsa che diventa sempre più scarsa.
Ma il tema dell’acqua non è certamente solo nazionale.
Urge, da questo punto di vista, una cooperazione internazionale nella gestione sostenibile delle risorse idriche.
Quanto strada occorra davvero compiere lo si capisce subito da un dato Onu: da una parte circa 3 miliardi di persone nel mondo dipendono dall’acqua che attraversa i confini nazionali, dall’altra solo 24 Paesi su 153 dichiarano di avere accordi di cooperazione per l’acqua condivisa. Certo, il mondo fa già moltissimo. Basti pensare, in tema di accesso all’acqua potabile ai rifugiati e agli sfollati, a quanto realizzato nel 2022 da Unhcr e finanziato dal Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, per l’estensione dell’acquedotto ad Agadez (Niger) che ha collegato il centro umanitario locale – che ospita circa 2.800 persone provenienti principalmente da Sudan, Sud Sudan, Camerun e altri Paesi del Corno d’Africa – all’acquedotto pubblico. Così come importanti sono i programmi Wash (Water, Sanitation and Hygiene) dell’Unhcr attualmente presenti in 29 Paesi che ospitano oltre 4,7 milioni di rifugiati e persone sfollate. Molti altri, poi, sono i progetti a livello locale e continentale. Ma non basta ancora. Accesso all’acqua, salubrità dell’acqua, risparmio e buon uso dell’acqua: a ben vedere la sfida dell’umanità passa anche e soprattutto da qui.
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