Medicina narrativa. Sconosciuta al 97% dei pazienti e al 57% dei medici, ma strategica per l’umanizzazione e la personalizzazione delle cure
Medicina narrativa, questa sconosciuta. Uno spazio nel quale i malati possono esprimere e condividere esperienze ed emozioni. Eppure, la quasi totalità dei pazienti (97%) non sa che cosa sia la medicina narrativa, così come un medico su due (57%). E’ quanto emerge da un’indagine condotta da Dnm (Digital Narrative Medicine) nella community della sanità digitale MioDottore su 224 medici e 2.281 pazienti, presentata oggi a Roma, all’Ara Pacis, nel corso del convegno “Prevenzione, salute e medicina narrativa in Italia: quali scenari”. Non solo sottoutilizzata: la medicina narrativa è praticamente sconosciuta tra i pazienti e in oltre la metà dei medici. Per il 72% di questi ultimi – si legge ancora nell’indagine – manca una formazione specifica, per il 49% è anche una questione di mancanza di tempo; per i pazienti, invece, la mancanza di tempo è al primo posto e solo per il 30% è una questione di formazione. Eppure
l’Italia è uno dei paesi pionieri della medicina narrativa,
primo in Europa ad aver messo a punto linee di indirizzo ufficiali sull’argomento, promosse dall’Istituto superiore di sanità (Iss) che ha inoltre avviato il progetto di ricerca specifico Limenar per mapparne l’utilizzo, oltre a riunire centinaia di esperti in una società scientifica dedicata, la Simen.
“Nei percorsi di presa in carico dei pazienti, la condivisione delle esperienze tra il personale medico, il paziente e il suo caregiver rappresenta un tassello importante nella prevenzione delle malattie, e segna un cambio di paradigma nella definizione dei percorsi di cura, in un’ottica di umanizzazione”, sostiene Ugo Cappellacci, presidente XII Commissione Affari Sociali della Camera, intervenendo all’incontro. La politica deve allora “orientare i servizi socio-sanitari e l’assistenza alla cronicità verso forme di sanità sempre più avanzate, partendo dalle opportunità offerte dalla tecnologia, che permette di accorciare le distanze, favorire il dialogo, e rappresenta un valido supporto nella definizione di una vera medicina di precisione”. Importante “programmare e implementare su larga scala programmi di tele-assistenza, tele-consulto e tele-riabilitazione, favorendo un ecosistema interconnesso ed omogeneo su tutto il territorio nazionale”.
La medicina narrativa “è una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa – afferma Amalia Egle Gentile, responsabile Laboratorio di Health Humanities del Centro nazionale malattie rare dell’Iss-. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura, come descritto nelle Linee di indirizzo che abbiamo pubblicato nel 2015”. Obiettivo del progetto Limenar, spiega, è “comprendere se e come queste Linee di indirizzo siano state recepite dalle comunità scientifica e associativa, ampliando lo sguardo all’utilizzo delle arti e delle nuove tecnologie e considerando ‘la relazione al centro’, come elemento base della cura”.
Per Cristina Cenci, antropologa e fondatrice di Dnm, “medici e pazienti hanno una visione condivisa di quanto siano importanti nella cura la qualità della relazione e della comunicazione”. “La Legge sul consenso informato e sulle Dat (disposizioni anticipate di trattamento) – sottolinea– stabilisce che
il tempo della comunicazione è tempo di cura
e su questo i risultati della ricerca ci dicono che c’è totale convergenza tra medici e pazienti. Occorre quindi lavorare meglio sui modelli organizzativi e favorire la formazione”. Un altro dato su cui riflettere riguarda le opportunità offerte dalla digitalizzazione. Secondo l’indagine, prosegue Cenci, il 60% dei medici e il 58% dei pazienti ritiene la telemedicina, e in generale le tecnologie digitali, “strumenti in grado di facilitare la diffusione della medicina narrativa in Italia” per favorire “la relazione medico-paziente e la personalizzazione delle cure”.
La medicina narrativa, spiega Stefania Polvani, presidente Società italiana di medicina narrativa, favorisce “l’aderenza alle terapie e alla prevenzione, e riduce la conflittualità con l’operatore sanitario che, a sua volta, ha la possibilità di elaborare al meglio il carico emotivo della sua professione, riducendo il rischio burnout”. Per Luca Puccioni CEO di MioDottore “segna un cambio di paradigma fondamentale, valorizzando l’importanza di una personalizzazione della cura non solo clinica, ma anche psico-sociale, basata su esigenze, bisogni e aspettative di ogni persona”. “La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte”. Insomma,
“la valorizzazione delle storie dei pazienti e del punto di vista di tutti gli attori può diventare parte integrante di una sanità più equa e sostenibile”.
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