La grande fuga dei venezuelani dal loro Paese: già perso il 25% della popolazione
La fuga continua. I venezuelani continuano a lasciare il loro Paese. Lo hanno fatto e lo stanno facendo anche nelle prime settimane del 2024. Secondo i dati della piattaforma R4V, tra la fine del 2023 e il 2024 i migranti sono cresciuti dell’8,3%, circa 402.354 persone hanno lasciato il loro Paese. Un esodo che pare senza fine, e che ha già provocato la perdita del 25% della popolazione e di gran parte dei giovani. Gli ultimi dati ufficiali forniti dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), aggiornati a settembre 2023, sono eloquenti; 7,7 milioni di venezuelani hanno lasciato il Paese in seguito alla crisi economica, sociale e politica esplosa nella seconda metà dello scorso decennio; di questi, 6,6 milioni hanno trovato accoglienza in Paesi di America Latina e Caraibi, più di un milione ha fatto richiesta dello status di rifugiato, e 230mila lo hanno ottenuto.
Si può, dunque, supporre, che l’impressionante cifra di 8 milione di persone stia per essere superata, o lo sia già stata. E non si può che constatare che la fuga è proseguita anche di fronte a un rallentamento della crisi economica e ai tentativi, peraltro falliti, di giungere a un accordo politico che garantisca elezioni regolari. Al tempo stesso, le dinamiche migratorie stanno cambiando, e investono anche non pochi di quei venezuelani che stanno trovando un clima sempre più ostile nei Paesi che li avevano accolti, in particolare in Perù e in Cile; perciò, tornano a mettersi in cammino, stavolta verso nord, con destinazione Stati Uniti.
Un Paese senza giovani. “Oggi, il Venezuela si presenta come un Paese privo di giovani – spiega al Sir Ronal Rodríguez, portavoce e ricercatore dell’Osservatorio sul Venezuela dell’Università del Rosario, con sede a Bogotá, capitale della Colombia –. Si tratta della Nazione al mondo con il maggior impoverimento demografico del ventunesimo secolo. Anche se la crisi economica ha avuto una frenata, la gente sta percependo che il presidente Nicolás Maduro non ha alcuna intenzione di lasciare il potere, concedendo libere elezioni. Probabilmente, continuerà a governare, vengono meno le speranze di chi aspira a un cambiamento. Soprattutto, in Venezuela non esiste praticamente più un sistema educativo, la scuola è allo sbando, manca un grande numero di insegnanti. Se un giovane vuole studiare per costruirsi un futuro, non può che farlo all’estero”.
La fuga verso nord. Chi lascia il Venezuela trova uno scenario molto cambiato rispetto a un paio di anni fa. Diminuisce l’attrattività dei Paesi bolivariani e andini, che in questi anni hanno “assorbito” la maggior parte dei migranti venezuelani: quelli regolarizzati in Colombia sono oltre 2 milioni, in Perù si supera il milione, di poco più basse sono le cifre di Cile ed Ecuador. “Il Cile era molto appetibile, per il suo bisogno di manodopera qualificata. Purtroppo, nel Paese, così come in Perù, si è affermato un atteggiamento xenofobo verso i venezuelani. In Perù, in particolare, la loro presenza di nota molto, perché sono in gran parte concentrati nella zona metropolitana di Lima. La stessa presidente della Repubblica, Dina Boluarte, ha usato espressioni pesanti contro i migranti. Risalendo verso nord, l’Ecuador è oggi un Paese molto insicuro, con un alto tasso di violenza. Infine, i venezuelani percepiscono la stessa Colombia come meno ben disposta verso di loro dopo l’elezione a presidente del progressista Gustavo Petro, che verso il Governo di Caracas ha una posizione di dialogo, contrariamente a quanto avveniva con il suo predecessore Iván Duque. Di conseguenza, soprattutto chi ha lasciato il Paese per motivi politici, si sente meno tutelato”.
Nasce da questa situazione lo spostamento dell’emigrazione venezuelana verso nord, cioè verso gli Stati Uniti. Un cammino lunghissimo, che passa, nella maggior parte dei casi, per il pericolosissimo Tapón del Darien.
Dal 1° gennaio al 5 febbraio 2024, 40.739 migranti sono entrati in Panama in modo irregolare, attraverso la pericolosissima giungla che è un passaggio obbligato per entrare nel Paese per chi proviene dalla Colombia. I dati sono forniti dall’Ufficio panamense per le migrazioni e fotografano numeri in salita rispetto al 2023, che già è stato un anno record. Lo scorso anno, infatti, 520.000 migranti irregolari hanno attraversato la giungla del Darién, dopo averne registrati 248.284 nel 2022 e 133.726 nel 2021.
Di fronte a questa situazione, come informa l’agenzia informativa del Consiglio episcopale latinoamericano, Adn-Celam, gli episcopati di Colombia, Costa Rica e Panama si riuniranno dal 19 al 22 marzo nella casa di ritiro Monte Alverna, a Panama. L’incontro multilaterale è stato convocato dal Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale del Vaticano e vedrà la partecipazione anche dei presidenti della Commissione per la pastorale sociale – Caritas e della Mobilità umana.
Tra xenofobia e criminalità. Il “lunghissimo serpentone” di migranti venezuelani che parte dalla Colombia e giunge alla frontiera con gli Stati Uniti è, dunque, composto sia da venezuelani che lasciano il loro Paese, sia da connazionali che cercano una sistemazione migliore rispetto a quella trovata finora, e se ne vanno dalla Colombia o da altri Paesi del Sudamerica. “Ci sono leader dell’opposizione a Maduro, come Julio Borges, che in Colombia non si sentivano tranquilli. Borges, in particolare, ora vive in Spagna”, aggiunge Rodríguez. È dell’inizio di marzo l’inquietante ritrovamento del corpo senza vita, in una valigia sepolta un metro e mezzo sottoterra, del tenente dell’esercito venezuelano in congedo, Ronald Ojeda Moreno, che viveva in Cile come rifugiato politico. L’oppositore del regime venezuelano era stato rapito una decina di giorni prima, forse dall’organizzazione criminale Tren de Aragua, che dal Venezuela si è diffusa in tutto il Sudamerica.
Secondo il docente, il disagio dei venezuelani nei Paesi sudamericani deriva comunque, in primo luogo, “da atteggiamenti di xenofobia che sono stati diffusi anche da politici e governanti”. Questo non toglie che la diaspora venezuelana abbia provocato una diffusione a macchia d’olio di organizzazioni e traffici criminali: “In Venezuela sono molto calati gli omicidi, gli stessi criminali sono espatriati. È poi vero che, specialmente in Colombia, gruppi venezuelani vengono accusati di fatti criminosi che sono invece ‘tipici’ di organizzazioni paramilitari colombiane. Il Tren de Aragua, ora è comunque presente in tutti i Paesi, ed è dedito a tutti i traffici illeciti, e in particolare alla tratta di persona. Servirebbe coordinamento tra i Paesi, che però manca, anche per situazioni di incomunicabilità e cattivi rapporti, come accade, per esempio, tra Colombia e Perù”.
(*) giornalista de “La vita del popolo”
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