LE PAROLE DI OGGI ARSENALE E PANURGO
Arsenale
ar-se-nà-le
SIGNIFICATO Cantiere navale; stabilimento per costruzioni militari; deposito di armi o di oggetti eterogenei
ETIMOLOGIA dall’arabo dar as-sinna’a letteralmente ‘casa della costruzione’.
- «Non ti preoccupare, ho un arsenale di spezie.»
Panurgo
pa-nùr-go
SIGNIFICATO Furfante, imbroglione, briccone
ETIMOLOGIA dal nome di Panurge, personaggio della serie di romanzi ‘Gargantua e Pantagruel”’ di François Rabelais, costruito adattando il greco panôurgos ‘scaltro’, ma alla lettera ‘capace di tutto’, composto di pan- ‘tutto’ e érgon ‘opera’.
- «Questo panurgo, durante l’incarico, si è arricchito in maniera misteriosa.»
Probabilmente abbiamo idea che alcune opere del passato siano state particolarmente fertili di parole, polirematiche, locuzioni, che lì sono comparse e sono poi entrate nell’uso comune e nel vocabolario. Possono essere recuperate o inventate da chi scrive, ma possono anche essere antonomasie — nel caso più semplice, nomi propri di personaggi che nella lingua si sono astratti a indicarne i caratteri e le qualità, che sono diventati nomi comuni (come dongiovanni e vanesio, per intenderci). Devono essere opere che abbiano avuto una diffusione ampia, che siano state considerate, e che siano state in grado (per proposito o incidente) di attingere alla vena universale dell’archetipo, con concetti, personaggi e situazioni che riconosciamo nella nostra vita. E ovviamente il nome deve funzionare.
In italiano spicca l’Orlando furioso, ad esempio (da gradasso a sacripante, da zerbino a rodomonte). Ma pensiamo a quanto ci viene dai poemi omerici. Il fatto curioso è che le parole e le espressioni che ne vengono fuori poi se ne vanno per il mondo per i fatti loro, senza che sia necessaria la conoscenza della fonte, e questo è particolarmente smaccato se parliamo delle parole che vengono dalle opere di François Rabelais.
È probabile che la letteratura francese del Cinquecento non sia esattamente il campo che ci trova con la ferratura migliore. E però parole come gargantuesco e pantagruelico — come il panurgo di oggi — scaturiscono da una delle opere più famose della letteratura francese di quel periodo e anzi d’ogni tempo, la serie dei romanzi Gargantua e Pantagruel.
Sono romanzi lunghi e fantasmagorici, che hanno avuto un grande successo e che hanno continuato ad essere un vasto bcino d’ispirazione. Di qui certi caratteri personali e certi eventi sono stati in grado di entrare nella lingua viva — con maggiore o minore disinvoltura. Peraltro Rabelais amava congegnare i nomi dei suoi personaggi in maniera particolarmente evocativa, con attenzione al fonosimbolismo onomatopeico e non disdegnando prestiti dal greco.
Il nostro Panurgo è uno, alla lettera, ‘capace di tutto’ — curioso come questa espressione indichi lo scaltro senza troppi scrupoli (o peggio), piuttosto che la zia che fa il pane in casa, salda le ringhiere e suona la fisarmonica cantando canzoni spagnole e polacche. Comunque. L’antonomasia quindi ci presenta il profilo di un furfante particolarmente furbo e briccone, anche con una certa abilità di togliersi dai guai.
Ora, una delle motivazioni che spinge Panurgo nelle sue peripezie (e che lo porterà in primo piano nel terzo romanzo della serie) è la ricerca del matrimonio, ma è fin quasi dal principio un caro amico del gigante Pantagruel, e si distingue un ingegno versatile (fra l’altro è un grande poliglotta) e per tiri particolarmente mancini. Facciamo un esempio?
Durante una traversata in mare, Panurgo viene ingiuriato dal mercante Dindenault, che ha con sé sulla nave i suoi montoni. Al che Panurgo acquista da Dindenault un montone, lo lancia fuori bordo, e tutti gli altri montoni lo seguono, facendo una fine tremenda e rovinando il mercante. Questo è un caso non solo esemplificativo del tipo di furbizia gaglioffa di Panurgo, ma anche proverbiale in sé: se si parla dei ‘montoni di Panurgo’ o delle ‘pecore di Panurgo’ (in francese esiste anche il panurgisme) si parla di una mentalità pecoresca e autodistruttiva da gregge.
Posso parlare di come sia difficile collaborare con un panurgo che ha già dato grandi problemi in un altro ramo, posso parlare di come l’amica panurga, viaggiando, si sia più volte messa seriamente nei guai e ne sia più volte uscita, posso parlare delle pecore di Panurgo che hanno sostenuto una scelta disastrosa dell’amministrazione.
È una parola che ha molti onorevoli sinonimi, e che pur venendo dalla stessa pianta è più rara rispetto al pantagruelico e al gargantuesco: la sua ricercatezza da un lato rende più difficile spenderla, dall’altro le conserva lo speciale carisma delle parole impervie di alta cultura.
FONTE:
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
Una delle squadre di calcio più famose del mondo è di sicuro l’Arsenal Football Club, col suo bello stemma rosso e blu ornato da un cannone dorato. Nacque come Dial Square, fu poi ribattezzato anche Royal Arsenal e Woolwich Arsenal fino al nome odierno. Il perché di questa denominazione è presto detto: la squadra in origine era formata dagli operai di una delle officine che operavano nel complesso del Royal Arsenal, cioè l’arsenale reale, il luogo di fabbricazione del materiale bellico britannico.
Tuttavia, prima ancora di essere la fucina di produzione delle macchine da guerra (e per estensione una grande quantità di armi), gli arsenali avevano una funzione più neutra. Erano cioè dei cantieri navali — fabbriche che servivano per costruire, smontare, riparare, rimontare e armare bastimenti, e furono la cifra della grandezza delle potenze marittime più note della storia, prima fra tutte Venezia.
I cantieri dell’arsenale occupavano una parte notevole dell’isola di Venezia, sul lato orientale. Erano dei gioielli di organizzazione del lavoro e di produzione industriale in un’epoca preindustriale: nei sette secoli della loro attività furono la cifra della grandezza marittima della Serenissima, e vantarono innumerevoli tentativi di imitazione. Ad esempio si racconta che quando il re di Francia Enrico III, nel 1574, venne in visita a Venezia, nella stretta agenda del suo soggiorno ci sia stata anche l’esibizione della costruzione di un’intera nave all’arsenale nel tempo di un banchetto — un’idea per stupirlo e convincerlo a un’alleanza. Dopotutto, ancora oggi è un luogo di esibizioni: vi si svolge la Biennale, un evento d’importanza internazionale. E non c’è testimonianza più vivida di un fatto storico e linguistico di grande rilievo: Venezia è stata uno dei punti privilegiatissimi di contatto della nostra penisola con l’oriente.
Questa parola così indispensabile per una potenza marinara e ancora così tipica delle nostre città (anche nella variante della ‘darsena’) ha un pedigree arabo. Viene infatti dalla locuzione dar as-sinna’a, cioè ‘casa della costruzione’. Dar, nei suoi diversi significati, può essere casa, edificio, residenza, territorio, regione. Sinna’a, invece, derivato dal verbo sana’a, ci parla di lavorare, costruire, fabbricare, manifattura, confezione, industria. Ovvio che, in tempi di guerre marittime, dispute per la supremazia e l’espansione dei commerci, forse nessuna opera costruttiva era più importante di una bella nave — e l’arsenale era un luogo dal carisma eccezionale. Tanto che già Dante, quando nel XXI dell’Inferno ci racconta della pece bollente che ribolle nella bolgia, in cui sono cacciati i barattieri (chi si è macchiato in senso lato di peculato — ma è una categoria di reato che poi è tramontata, non è tanto nei nostri schemi di pensiero) ricorre all’immagine dell’arsenale di Venezia — e per com’è citato il paragone, nello spazio di quattro intere terzine si direbbe quasi che Dante l’abbia visto. «Quale ne l’arzanà de’ Viniziani / bolle l’inverno la tenace pece / a rimpalmare i legni lor non sani…»
Come anticipavamo, l’idea di cantiere che crea ed equipaggia di tutto il necessario è passata anche nel lessico non marittimo, indicando genericamente industrie e luoghi di raccolta e di riorganizzazione militare. E da qui passiamo ai significati successivi, quale deposito bellico. Ma magari anche al deposito o all’insieme ripulito da ogni sfumatura militare, fornitissimo e variegatissimo, con un certo tono di caos: una sala da tè che è un arsenale di infusi, un artista che è un arsenale di idee, una biblioteca che è un arsenale di sapere.