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Ucraina. Donatella Rafanelli: “Il futuro di questo Paese sarà possibile anche grazie al coraggio delle donne”

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Mykolaiv, donne in fila per la distribuzione degli aiuti umanitari (foto Biagioni/Sir)

Le donne in Ucraina hanno un nome, un volto, una storia. Si chiamano Irjna, Olga, Tanja, Masha. Hanno età ed esperienze diverse ma “sono tutte donne coraggiose, che lottano, che non perdono la speranza, che vanno avanti nonostante tutto. Spesso si trovano da sole perché il marito è in guerra a difendere il proprio Paese, ma non si arrendono. Non si può quindi generalizzare, per questo vorrei parlarti di donne concrete che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente”. Donatella Rafanelli è italiana ma vive in Ucraina dal 2019. È una focolarina e di mestiere insegna italiano. Abita tra Kiev e Mukachevo. Ha vissuto anche lei in prima persona il “grande esodo” dalla capitale quando la città fu presa a ferro e fuoco dalle forze russe, il 24 febbraio di due anni fa. Ma ha deciso di non abbandonare questo popolo per condividerne prove e dolore ma anche forza e resistenza. L’abbiamo raggiunta al telefono per chiederle, in occasione della festa dell’8 marzo, chi sono le “donne ucraine”. Il suo racconto comincia a popolarsi di nomi, storie e situazioni.

“Mi viene in mente Irjna”, inizia Donatella. “Una donna come tantissime qui in Ucraina, che hanno il marito al fronte. Combatte nel Donbass. Non hanno avuto figli e Irjna è sola. Ha una fede molto profonda. Con il marito si sentono spesso. Lui le racconta cose molto crude, difficili pure da riportare ma le racconta anche della solidarietà tra i soldati. Il coraggio, la speranza, la forza incrollabile di andare avanti. Lei cerca di aiutarlo in tutti i modi, con la preghiera prima di tutto ma anche inviando aiuti concreti. Il marito dice di non riconoscersi in nessuna fede religiosa ma “ha cominciato a pregare anche lui. Al fronte – dice – i lontani da Dio non esistono. Ci sono momenti in cui pregano tutti”.

C’è Marina, una ragazza giovanissima che ora studia all’Università a Leopoli. Viene da una città che si trova a 70 chilometri da Kiev. Aveva 17 anni quando è iniziata l’invasione russa su vasta scala e sua madre è immediatamente partita per il fronte come infermiera volontaria, lasciandola da sola dai nonni. Ora si trova impiegata come paramedico tra le forze nel Donbass ed è tra i soldati l’unica donna. “Marina ha vissuto con noi un mese e colpisce il modo con cui parla di sua madre e dei soldati. Dobbiamo sostenerli in tutti i modi – afferma – perché loro combattono per la nostra libertà e indipendenza”. C’è Olga, 38 anni, un’imprenditrice ucraina che attualmente lavora in Svizzera. Ha seguito un progetto per accogliere nel Paese elvetico un gruppo di bambini orfani, dai 3 mesi ai due anni. Il gruppo era accompagnato da una signora che ha fatto da tramite. Hanno viaggiato 4 giorni. Hanno preso autobus, macchine e treno. Non hanno mai dormito. Erano arrivati in Svizzera stanchissimi. Ma il giorno dopo, la signora si è presentata in ambasciata perfettamente in forma. Sembrava un’altra persona. Truccata, ben vestita, curata. “Una caratteristica delle donne ucraine – osserva Donatella – è la femminilità. È nel loro sangue, fa parte della loro cultura.  Spesso la bellezza e la femminilità sono sinonimo di debolezza, ma qui no. È al contrario segno del desiderio di vivere. Segno che anche se c’è la guerra, la vita va avanti. Dietro a tanta bellezza, ci sono donne che non si arrendono mai”.

Operatrici sanitarie a Odessa (Foto Biagioni/Sir)

Gli ucraini hanno dovuto lottare sempre. Prima lottavano per uno stipendio, per l’assicurazione, per la salute, per dare un’educazione di qualità ai figli. Ora lottano – dicono – “per la libertà del nostro Paese”. E lo fanno con grandissima dignità e coraggio, pronti a dare la vita. “Una signora mi ha raccontato che da 5 mesi non sa più nulla del cugino preso in ostaggio. Anja invece ha tutti e due i genitori impegnati come militari al fronte. La mamma è ancora lì ma il papà è prigioniero in Russia. È arrivato un video dove si vedeva che era ancora vivo. Ma si tratta di un video di mesi fa. E lei va avanti, studia con questo dolore immenso dentro”. Tanja è scappata con le due figlie di 10 e 12 anni da una città occupata. Le aveva nascoste in macchina, tra le valigie. In fila al posto di blocco, una persona davanti a loro è scesa, gli hanno sparato ed è morta sul colpo. Lei era terrorizzata ma in quel momento pensava solo a come spingere sull’acceleratore della macchina, nel caso in cui fosse stata colpita anche lei, per portare in salvo le sue bambine. C’è infine la storia di Masha. Era sposata con un uomo russo che dopo lo scoppio della guerra si è arruolato nell’esercito russo. Quando però ha visto cosa succedeva a Bucha e poi a Mariupol, non ce l’ha fatta ed è morto per un infarto. Masha è riuscita a condividere a fatica la sua storia in un momento di incontro e condivisione. “Di fronte a questi dolori – confessa Donatella – mi sento così piccola, che nessuna parola ha senso. Ascolto e non posso fare altro”.

Kiev, memoriale dei morti in guerra (Foto Biagioni/SIR)

“Io penso che la donna abbia un ruolo fondamentale”, dice Donatella, anche perché qui in Ucraina la popolazione è donna. “La maggior parte degli uomini o sono al fronte o si nascondono, per cui si vedono molto poco. Chi porta avanti tutto, sono le donne. È la donna a stare con i figli, a educarli, a preparare il futuro della nazione. Qui le donne si sono rimboccate le maniche. L’hanno sempre fatto. Ma ora con la guerra ancora di più. Perché quando tornerà la pace, comincerà anche il tempo della ricostruzione. Torneranno gli uomini ma avranno traumi profondissimi. Saranno le donne ad accoglierli, a sanare le ferite del corpo e della mente. Ma lo faranno con un amore diverso, perché in questi due anni sono diventate più forti e coraggiose”.

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