LA PAROLA DI OGGI E’ Prosaico/ Materiale, volgare, meschino. “Esteticamente scadente, banale, sciatto. “stile p.” ARCAICO Prosastico.
Prosaico
pro-sài-co
SIGNIFICATO Privo di poeticità, spiritualità, idealità, legato agli aspetti pratici e necessari della vita
ETIMOLOGIA voce dotta recuperata dal latino tardo prosaicus, derivato dal latino prosa (oràtio) ‘discorso scritto in linea retta’, femminile sostantivato dell’aggettivo prorsus ‘diritto’, da un ipoteco pro-versus ‘che va avanti’.
- «Le sue sono state osservazioni un po’ prosaiche.»
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C’è forse un’immagine originaria che ci può aiutare a capire, una figura fondamentale di tempi ancestrali che separi la prosa dal verso e che ci aiuti a capire il prosaico? Sì, e manco a dirlo è un’immagine di profondissima poesia.
Stiamo parlando di una separazione antica e radicale, che prende le mosse da un rilievo di semplicità estrema che vedremo: è una contrapposizione fra due modi di espressione e di scrittura. Uno riservato all’alto, uno al basso. Il primo adatto a portare storie e significati da cantare, adatto alle celebrazioni, alle rivelazioni e alle divinazioni, il secondo adatto ad andare a un certo punto senza ambage.
Se sei poeta di migliaia e migliaia di anni fa, c’è un’immagine di scrittura, di composizione che ti si imprime sul fondo degli occhi. Un’immagine paesaggistica, che in un lampo rappresenta l’andare e il tornare della creazione alta, in cui le parole si legano costantemente per ritmo forma e senso alle precedenti, ripassandoci vicine in un presente che si ripete — senza filare dritte prive di premure a un obiettivo di trasmissione. Il verso in cui si sostanzia la poesia è alla lettera rivoltato (vèrtere è ‘rivoltare, girare’), e si fa linea di scrittura, e quindi linea di poesia, seguendo il giro, la curva fatta dall’aratro. Alla fine del campo torna indietro — nell’andamento bustrofedico della prima scrittura, da sinistra a destra e poi sotto da destra a sinistra e poi ancora da sinistra a destra.
Invece la prosa è in origine un bell’aggettivo sostantivato che potremmo leggere come ‘la dritta’. Essenziale, non ha bisogno di immaginarsi in righe che si susseguono così come non ci sono righe nei nostri discorsi diretti: arriva dove deve con piccolo cabotaggio. Questa idea è maturata in un tempo andato, in cui tutto l’importante era poesia e la poesia era invasamento e vaticinio — un tempo in cui non si accatastavano biblioteche sterminate di prosa che si muove in righe liquide, al quasi solo scopo di risparmiare tutto lo spazio possibile. La prosa nasce dritta e perciò senza l’ornamento del verso che procede e torna battendo il piede, recuperando lettere e parole, rinnovandosi e cancellandosi. La prosa va avanti.
È così che il prosaico si afferma come privo di idealità, tutto intento alle necessità pratiche della vita, senza afflati spirituali — potremmo dire senza poesia, se non finisse per essere una tautologia. E possiamo parlare della critica prosaica mossa all’opera alata, dei sentimenti prosaici che vengono espressi davanti allo spettacolo ispirante, delle persone prosaiche che ci ritroviamo a frequentare e con cui tutto il bello si fa più opaco.
Certo, oggi questa bipartizione può avere una forza quasi caricaturale, ma è radicata in un modo che non si può trascurare e che ha ancora a molto da dire, alle orecchie che sanno ascoltare alle immaginazioni che sanno concepire lo scarto fra prosa e poesia.
All’inizio del secondo atto del Cyrano de Bergerac di Rostand c’è una splendida scena nella pasticceria di Raguenau. Lui è un ingenuo pasticcere appassionatissimo di poesia che, con grave contrarietà della moglie, accetta in pagamento per le sue paste anche versi, sfamando gratuitamente le insaziabili pance dei poetastri spiantati di mezza Parigi. La moglie Lise, irritatissima per questo eterno vagheggiare di Raguenau che mina sempre più i loro affari, strappa i libri di poesia dei suoi amici e con le pagine fa cartoccini per le paste. Quando Raguenau si accorge di quel che lei sta facendo, mettendosi le mani nei capelli, le grida: