Sanità. Al Ssn servono 15 miliardi in più. Carenza di personale, equità a rischio, famiglie sempre più povere
Quindici miliardi di euro in più. È quanto servirebbe al nostro Servizio sanitario nazionale per non perdere ulteriore terreno rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, anche se questa cifra non sarebbe sufficiente per colmare il gap. Il livello della spesa sanitaria italiana è infatti distante dalla media Ue del 32%. Lo rivela il 19° Rapporto Sanità del Crea (Centro ricerca economica applicata alla sanità), intitolato Il futuro (incerto) del Ssn, fra compatibilità macro-economiche e urgenze di riprogrammazione, presentato il 24 gennaio a Roma, nella sede del Cnel.
Pil e spesa sanitaria. Nel 2023 la nostra spesa pubblica per la sanità è stata il 6,7% del Pil e le previsioni la danno in discesa nei prossimi anni. La sanità “si comporta come un bene di lusso e quindi la sua quota sui consumi delle famiglie aumenta al crescere del reddito disponibile”, si legge nel Rapporto. Sulla base di questa relazione, considerando il Pil “netto” (degli interessi), il punto di “neutralità” per la spesa sanitaria si può stimare intorno ai 3.150 euro pro-capite, cioè il +8,2% in più di quella attuale; in termini di incidenza sul Pil, tale livello di spesa risulterebbe pari al 10,0% (contro l’11,5% medio dei Paesi Ue originari) e, quindi, “assumendo (cosa discutibile) che la spesa sanitaria privata sia una variabile indipendente e rimanga pari ai livelli sul Pil attuali, ovvero che non si riduca al crescere di quella pubblica”, secondo i curatori del Rapporto Crea,
“la spesa sanitaria pubblica dovrebbe aumentare sino a raggiungere il 7,2% del Pil”.
Out of pocket. Dal Rapporto emerge inoltre che la spesa sanitaria privata (out of pocket) nel 2022 ha raggiunto 40,1 miliardi di euro, in crescita dello 0,6% medio annuo nell’ultimo quinquennio, con un incremento nell’ultimo anno di circa il 5%. Trentino-Alto Adige (21,0%) e Lombardia (19,7%) sono le Regioni con la quota più alta di spesa privata intermediata. La Sicilia, quella con la quota minore (1,0%). Il 75,9% delle famiglie italiane sostiene spese per consumi sanitari: la quota è aumentata dell’1,7% nell’ultimo anno. Tra le famiglie più abbienti, quelle che ricorrono a spese sanitarie private, superano l’80%; tra quelle meno abbienti non si raggiunge il 60%.
Equità e disagio economico. Ma i “consumi sanitari” fanno aumentare il disagio economico delle famiglie (somma dell’impoverimento dovuto alle spese sanitarie e delle “rinunce” a curarsi per motivi economici). Nel 2021
il disagio economico affligge il 6,1% dei nuclei (1,58 milioni di famiglie): +0,9 punti percentuali rispetto al 2020 e +1,5 rispetto al 2019.
L’incidenza è superiore (e in crescita di 0,1%) nel Sud (8,2%); segue il Nord-Ovest con il 5,9% delle famiglie; il Centro (5,0%) e il Nord-Est con il 4,0%.
I casi di disagio economico sono più frequenti (18,1%) tra le famiglie del 20% più “povero” della popolazione, e meno in quelle più ricche (1,6%). Definendo “catastrofiche” le spese sanitarie che superano il 40% della “Capacity To Pay” dei nuclei familiari (a sua volta pari ai consumi totali della famiglia al netto delle spese di sussistenza), si registra un aumento dei casi che interessa il 2,8% delle famiglie residenti (731.489 nuclei), 0,4% rispetto al 2019. Il Mezzogiorno continua a essere il più colpito con il 4,7% delle famiglie; segue il Nord-Est con il 2,4%; il Nord-Ovest con l’1,9% e il Centro con l’1,5%. I casi sono più frequenti nei nuclei meno abbienti (13,5%), mentre si fermano all’1,8% in quelli più abbienti. Più esposte al rischio di spese “catastrofiche” le famiglie degli over 75 (soli o in coppia) e le coppie con tre o più figli minori: queste ultime, in particolare, a causa delle cure odontoiatriche.
Personale. Tra il 2003 e il 2021, il numero di medici per 1.000 abitanti over 75 è passato da 42,3 a 34,6 (corrispondente a un gap di 54.018 unità), e il numero di infermieri da 61,0 a 52,3 (corrispondente ad un gap di 60.950 unità). I professionisti escono dal sistema soprattutto per andare all’estero o in pensione, mentre le possibilità di ricambio sono condizionate dal numero di posti messi a bando negli atenei.
Medici. Per i medici il Rapporto presenta una survey originale realizzata in collaborazione con la Fnomceo, da cui emerge che la professione ha una forte carica vocazionale, “appesantita” però dalla percezione di lavorare in un contesto non favorevole: oltre il 40% non è soddisfatto della propria situazione professionale. Pesa lo stress legato alla carenza di organico. Le aspettative vanno verso una richiesta di aumento della retribuzione del 20-40 %.
Infermieri. Il Crea segnala inoltre una mancanza di attrazione della professione infermieristica. Agli oltre 60mila infermieri che già mancano, se ne aggiungeranno circa 100mila, portati fuori dal sistema dei pensionamenti nel giro di dieci anni. Senza contare le “fughe” all’estero per ottenere condizioni economiche e lavorative migliori.
Proposte per l’adeguamento del Ssn. Il Ssn, nato nel 1978, deve superare un approccio concentrato sulla mera organizzazione dell’offerta clinica, mirando piuttosto a ripensarla in termini di integrazione con la presa in carico dei nuovi bisogni sociali. E’ la prima delle proposte del Crea per un adeguamento del Ssn alle nuove esigenze della società italiana. Occorre inoltre “potenziare i processi di comunicazione e collaborazione all’interno del Ssn a partire dalla prevenzione” per “una convinta adesione della popolazione” a “stili di vita salutari”. Per il Crea, “una vision” lungimirante deve iniziare ad occuparsi anche dei “futuri cronici” (non solo anziani), ripensando le modalità della medicina e adattandola ai bisogni e ai comportamenti dei millenials. E ancora: “evitare l’aumento dell’iniquità e la crescita dei casi di impoverimento e rinuncia alle cure per le famiglie meno abbienti”, tra le cui cause rientra anche “la totale non integrazione del circuito privato con quello pubblico”. Occorre inoltre rivedere i criteri di Riparto del fondo sanitario. Infine le risorse umane, l’aspetto più critico: per i medici, si tratta di “un tema di incentivi per la copertura delle posizioni meno appetite e non è più procrastinabile l’adeguamento delle retribuzioni”; retribuzioni da adeguare anche per gli infermieri.
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