Caserta. Dalla mostra di ‘Agrorinasce’ allestita nella stazione al tema della legalità e beni confiscati
Da beni confiscati a “beni liberati”.
La mostra itinerante sui beni confiscati organizzata da Agrorinasce, che in questi giorni è esposta e visitabile nella stazione FF.SS. di Caserta, offre l’occasione di approfondire lo stato dell’arte su questi beni “liberati” dal dominio della criminalità organizzata nel territorio casertano.
Come si può apprendere dalle schede elaborate il consorzio Agrorinasce – una vera e propria agenzia per l’innovazione, lo sviluppo e la sicurezza (gestito con competenza dall’AD Gianni Allucci) è nato nel 1998 con capitale interamente pubblico.
Inizialmente era costituito da 6 comuni (Casal di Principe, Casapesenna, San Cipriano, S. Maria la Fossa, San Marcellino e Villa Literno.
Due anni fa il comune di Casal di Principe è fuoriuscito dal Consorzio (per motivi non ben comprensibili), ma nello stesso tempo vi è stato un altro ingresso di peso, quello della Regione Campania.
In questi giorni vi è stata l’adesione anche di un altro importante come Torre Annunziata, con la previsione a breve di altri comuni rilevanti come Castel Volturno e Mondragone.
Dalla documentazione fornita da Agrorinasce emerge che notevole è il numero di beni confiscati alla camorra (circa 150 finora) che sono interessati da azioni di recupero, di riuso sociale e produttivo, di cui 142 sono stati finanziati da vari enti pubblici, come la fondazione con il sud, il Ministero dell’ambiente e varie Fondazioni.
Nello specifico essi sono localizzati: 10 a Casapesenna – 10 a San Cipriano – 2 a San Marcellino – 4 a Villa Literno – 121 a Santa Maria la Fossa.
A questi si devono aggiungere 20 beni restituiti al comune di Casal di Principe, anch’essi valorizzati da Agrorinasce.
In base a questi dati si può ben dire che l’esperienza del consorzio Agrorinasce è diventata una buona pratica, un vero e proprio modello che viene studiato anche da altre realtà a livello nazionale ed europeo.
Grazie ad una ricerca e ad un aggiornamento del catalogo delle buone pratiche di riuso dei beni comuni e confiscati realizzato nel 2019 dal CSV Assovoce possiamo avere anche un quadro più completo della situazione a livello provinciale dove si registra un totale di 1518 beni immobili, di cui 840 sono destinati ed altri 678 sono già in gestione di vari enti ed associazioni.
Per chi vuole conoscere nei dettagli questi dati basta visitare l’albo pretorio dei comuni interessati, che in totale sono ben 48. Grazie ad una collaborazione virtuosa tra istituzioni, enti ed associazioni del terzo settore in alcune delle terre che venivano definite di Gomorra si sono realizzate alcune esperienze e buone pratiche che hanno visto quei beni “liberati” dal dominio dei clan, con la costruzione di nuove imprese (in particolare nel settore agro-alimentare), di nuovi servizi di accoglienza, di cura e di formazione dei soggetti più colpiti (come i bambini, le donne vittime di violenza ed i migranti).
In questo caso la situazione è ben diversa rispetto a quella di Agrorinasce sia per la quantità che per la qualità degli interventi finora analizzati. Infatti, oltre ad alcune esperienze positive ed emblematiche – come quelle di Terra Felix a Teverola, di Apeiron a Pignataro Maggiore, di Esperanto a Cancello Arnone, una delle esperienze storiche come la sartoria sociale, in cui sono protagoniste le donne immigrate, spesso vittime di violenza ed emarginazione.
In molte realtà si registrano ritardi e forte criticità. Basta vedere il caso del comune di Castel Volturno, dove si trova un alto numero di beni ed immobili sequestrati (circa 150 in totale), la maggior parte dei quali versano in condizioni di degrado e di abbandono, facendo emergere solo alcune esperienze di gestione e di riuso sociale e produttivo.
Ci troviamo in una fase di calo della tensione e dell’attenzione, anche dell’impegno civile intorno a questo tema.
Come emerge dalla ultima relazione della Agenzia Nazionale nella nostra provincia si registra un dato preoccupante: su 324 beni assegnati ai comuni solo 110 sono stati accettati, con una media di appena il 24% rispetto a quella regionale anch’essa bassa sul 36% del totale.
Va detto che in Terra di Lavoro si registra uno dei tassi più alti di beni sequestrati e confiscati, molti dei quali rimangono per decenni riutilizzati finiscono per essere vandalizzati dagli stessi soggetti a cui erano stato sottratti dopo lunghe ed accurate indagini, dopo vari processi e condanne.
Nella costiera domiziana, nonostante tutto, vi sono alcune buone pratiche di riuso di “beni liberati” dalla criminalità: come ad esempio la Coop sociale Esperanto (guidata da Alessandro Buffardi e Katia Bassolino), che opera con giovani divenuti bravi contadini con la produzione di frutta ed ortaggi di prima qualità.
Anche se tra mille difficoltà burocratiche stanno partendo altri 3 progetti significativi: due gestiti dall’Arci Gay e da Legambiente nel parco Faber, per realizzare due centri dedicati alla musica ed al cinema. La terza villetta è in fase di ristrutturazione nella zona di Baia Verde e dovrebbe essere destinata alla realizzazione di una cucina didattica e multietnica (sul modello della NCO uno dei simboli del riscatto di queste terre), anche per attività di formazione in collegamento con l’Istituto Alberghiero.
Infine, va ricordata la realtà consolidata del bene nei pressi di Villaggio Coppola sede del Comitato Antiracket e del FAI di Tano Grasso e quella divenuta oramai storica delle Terre di don Peppe Diana, con annesso allevamento di bufale e di produzione di mozzarella DOP, oramai affermate nell’ambito della rete distributiva del sistema lega Coop e Conad.
Infine, bisogna riprendere l’iniziativa sul piano culturale ed educativo, come ci insegna il volume scritto a più mani, curato da A.Colletti, e Goffredo Fofi (a cura) “Terra di Lavoro. Esperienze e riflessioni dei paesi di don Diana, Edizioni dell’Asino 2020.
Di fronte agli atti di violenza ed incendi, bisogna reagire, in quanto appare evidente che si tratta di una strategia mafiosa, vecchia quanto la mafia stessa: mostrare i muscoli per rinfrescare la memoria di quanti credono che il clan dei Casalesi non esista più” (scritto su Fanpage da R. Capacchione).
Di fronte a questa situazione come “Piazze del Sapere”, in collaborazione con il “FTS” casertano ed altre associazione impegnate sul fronte della legalità democratica, abbiamo deciso di organizzare delle iniziative volte a far crescere l’attenzione delle istituzioni locali su queste tematiche decisive per il futuro delle nostre comunità, per promuovere progetti e programmi di gestione dei beni e degli immobili ancora inutilizzati per trasformali da “beni criminali” a nuove risorse ed opportunità di riscatto civile e sociale, di sviluppo locale e di innovazione.
A tal fine diventa decisivo anche il coinvolgimento delle scuole, del mondo della formazione e delle competenze, a partire da quelle delle forse sociali e delle imprese, dell’università e della ricerca.
(Pasquale Iorio, Le Piazze del Sapere – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)