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Chi sono i senza dimora a Roma Persone come tutti, colpite da eventi che possono toccare molti

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Tutte le aree urbane del mondo, sviluppate e no, sono sempre più caratterizzate dalla presenza di senza dimora. Per molti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, lo stato di indigenza deriva da situazioni che prescindono dalla storia del singolo individuo: si nasce poveri, magari in strada, nelle favelas, nelle bidonville. In alcuni paesi soprattutto nel Sud del mondo, ma anche nei paesi dell’Est europeo, sempre più consistente è il problema dei bambini spinti sulla strada dall’estrema povertà.
In altri casi lo stato di povertà e stenti fa seguito a eventi tragici come calamità naturali, guerre, eventi delittuosi.
Vi è poi la situazione dei paesi più ricchi, tra i quali ci siamo anche noi. Chi sono a Roma le persone senza dimora Chiariamo subito che il valore più importante da cui partire è che si tratta di persone, ognuna delle quali ha un valore inestimabile agli occhi di Dio padre. Un valore che ognuno di noi dovrebbe salvaguardare e custodire gelosamente.

È un mondo complesso, non uniforme composto di persone di età, itinerari e situazioni molto diverse. Sempre più spesso i motivi che portano alla condizione di senza dimora non sono riconducibili ad eventi eccezionali o a storie di particolare emarginazione. Al contrario si tratta di avvenimenti che possono toccare molti: uno sfratto in una città in cui ve ne sono 18 ogni giorno, una tensione familiare che non si risolve, la perdita del lavoro, una malattia possono trasformare, laddove manca il sostegno necessario, persone che fino a quel momento conducevano una vita “normale” in persone sprovviste di tutto. Per questo si possono incontrare famiglie che hanno lasciato la casa in affitto per morosità “incolpevole”, adulti che dopo una separazione coniugale perdono ogni punto di riferimento, oppure giovani che hanno perso il lavoro.

“Un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte” è quanto ci ricorda papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri che abbiamo celebrato lo scorso 19 novembre.

Vedendo i dati ufficiali dell’Istat, in Italia ci sono 5,6 milioni di persone, il 9,7% della popolazione, in povertà assoluta. Basti pensare che quindici anni fa la povertà assoluta riguardava il 3,6% della popolazione italiana.
Conseguenza di questo impoverimento è stato l’aumento delle persone che vivono in strada: nel 2022 l’Istat ha censito oltre 96.000 persone “senza tetto e senza fissa dimora” in Italia; 23.420 solo nell’Area metropolitana di Roma, la maggior parte nella Capitale.

Purtroppo con la crescita del fenomeno non sono seguite strategie di intervento capaci di affrontare gli aspetti multidimensionali della povertà ma, al contrario, catalizzando riduttivamente le risposte in azioni di emergenza durante alcune stagioni dell’anno, tipiche sono le politiche per di “emergenza freddo” che rischiano però di produrre oblio nei periodi considerati meno critici e di perpetuare – e con il tempo accentuare – problematiche, tensioni e conflitti, depotenziando anche alcuni fattori di coesione sociale.
La criticità più evidente è l’assenza di politiche che sappiano mettere al centro i differenti bisogni delle persone in povertà estrema, prevedendo, oltre interventi per l’alloggio, anche azioni in ambito lavorativo, formativo, di riqualificazione professionale, di tutoraggio nella relazione con le istituzioni, di mediazione territoriale e di educativa di strada.
Accanto a questi investimenti straordinari, dei quali soprattutto a Roma ci sarebbe sempre più e immediata necessità, servirebbero interventi mirati per superare la solitudine e l’emarginazione.

A volte basterebbe poco per fa sentire chi vive in strada come parte della comunità: in più città si è sperimentato che l’abbonamento gratuito ai mezzi pubblici aiuterebbe l’integrazione e l’emancipazione di chi, altrimenti, sarebbe costretto a bivaccare nelle stazioni e sotto i portici.
Offrire la residenza, anche se “fittizia”, favorirebbe l’inclusione sanitaria, la prevenzione e anche la cura personale. Sappiamo tutti che senza residenza, in realtà si diventa un “invisibile” e ti è preclusa la possibilità di accesso ai servizi pubblici fondamentali.
Occorre inoltre prendere coscienza che vivere in strada, contrariamente a quanto molti pensano, non è mai una scelta. La vita in strada infatti è una vita durissima e pericolosa; è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Chi è senza casa vive una condizione di grande vulnerabilità perché è costretto a dipendere da tutti anche solo per i bisogni più elementari, ed è esposto alle aggressioni, al freddo, all’umiliazione di essere cacciato perché indesiderato. La strada rischia facilmente di abbattere il proprio livello di autostima, una condizione che, ad ogni età, è indispensabile per guardare al futuro coltivando la speranza e la capacità di cogliere elementi di gioia, pur nelle difficoltà o nelle emergenze in cui ci si può ritrovare.

La presenza di così tanti senza dimora, dovrebbe farci aprire gli occhi pure sull’urgenza di rinnovare i tradizionali servizi sociali dalle pubbliche amministrazioni. Di assistenti sociali e funzionari bravi e generosi abbiamo tanti esempi, pure a Roma. È da rivedere però il loro ambiente operativo che dovrebbe essere sempre di più costituito da strade; piazze; i dintorni di giardini, monumenti, chiese e centri commerciali, cioè i luoghi dove vivono, molto spesso senza averlo scelto, tante donne e molti uomini, di ogni provenienza e religione che scuotono la tua coscienza, solo ad incrociare i loro occhi.
Questi luoghi dovrebbero diventare le “università di strada”, le vere sedi di master e di scuole di specializzazione di coloro che desiderano operare nei servizi sociali che preferirei definire di nuova generazione. Gli insegnanti dei nuovi assistenti sociali e operatori sociali e il discorso non vale solo per la dimensione lavorativa pubblica ma pure per quella sociale, dovrebbero essere in parte proprio i senza dimora; coloro che vivono nella più profonda precarietà operativa, coloro per i quali servono progetti personalizzati per ripartire, per rialzarsi in piedi, per recuperare la propria dignità, l’autostima in sé stessi. È a partire da questo punto di vista che dovremmo osservare e ascoltare la realtà che spesso è ben diversa da quello che ci raccontano astratte teorie e gli stereotipi sulla povertà.
Non c’è alcuna possibilità di superare la decennale emergenza dei senza dimora, senza una triplice condizione. Un serio rilancio degli investimenti sul patrimonio pubblico, perché se stai per strada, la priorità è mettere a disposizione un tetto sicuro e un pasto caldo. La seconda è una riforma dei servizi sociali integrati sempre più con i servizi sanitari. La terza è una vera alleanza tra le istituzioni pubbliche e il variegato mondo del volontariato.

 

(*) direttore Caritas diocesana Roma

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