Il discorso del papà di Giulia, un monito alto per tutti
Dalla basilica di Santa Giustina a Padova, che ha ospitato i funerali di Giulia Cecchettin, è arrivata una lezione di vita e di umanità. La voce composta del padre della giovane assassinata dall’ex fidanzato resta nel cuore. Il ministro dell’Istruzione ha inviato una circolare a tutti i presidi – dopo la proposta avanzata dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia – chiedendo che il testo dell’intervento venga letto nelle scuole di tutta Italia e che i docenti ne discutano con gli studenti. Nel discorso di papà Gino nessuna condanna. Da un lato, invece, una confessione sulla «pioggia di dolore» che ha travolto la famiglia in queste settimane e sul ritratto della figlia, definita «una combattente»; dall’altro – ed è la parte più corposa del suo intervento – una parola alta sul femminicidio e sulle responsabilità legate al fenomeno sempre crescente.
È un appello innanzitutto agli uomini, come di rado se ne sentono; a non minimizzare la violenza. Perché, è vero, in queste settimane abbiamo sentito di tutto, che a volte mancano i segnali, che ci troviamo di fronte a “bravi ragazzi”, ma quando al contrario i segnali esistono, c’è il rischio di ignorarli. A volte, il demone della violenza è in agguato già da adolescenti, di fronte a quelle che si tende a liquidare come “cose da ragazzi”, perché la dimensione educativa naufraga spesso nello stereotipo, nell’approccio a modelli lontani da una sana relazione con gli altri, nell’incapacità di accettare le fragilità.
Gino, il papà di Giulia, arriva al cuore del problema – «risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne» – e delle persone. Parla di valori che sembrano ormai calpestati quotidianamente, come il rispetto della sacralità di ogni persona, una sessualità libera da ogni possesso, l’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. È toccato nel profondo da questa «pioggia di dolore ma porta nel cuore la saggezza antica di chi crede nella possibilità di riscatto dell’uomo, in «una spinta per il cambiamento». Sapendo però che occorre sentirsi «tutti coinvolti, anche quando sarebbe facile sentirsi assolti» (e qui viene alla mente la celebre canzone di Fabrizio De André).
Davvero tutti. I padri innanzitutto, «non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi», durante un episodio a scuola o in una serata tra amici: non è più tempo di autoassoluzioni frettolose e di ambigue tendenze a ridimensionare. La scuola, appunto, perché la prevenzione della violenza contro le donne inizia sì in famiglia, ma prosegue in quelle aule dove la relazione umana è il pane quotidiano per docenti e studenti.
I media, perché operino con responsabilità, in un panorama dove purtroppo domina il sensazionalismo e la ricerca del morboso, e basta sintonizzarsi su qualche programma televisivo del pomeriggio o della sera per rendersene conto. La tecnologia, grande opportunità per connetterci ma che spesso, ha detto il papà di Giulia, «ci isola e ci priva del contatto umano reale», e per questo è necessario ritrovare la capacità di ascoltare l’altro e di essere ascoltati. Le istituzioni politiche, perché affrontino «unitariamente il flagello della violenza di genere», senza dividersi su un tema così prioritario.
La figura del padre, custode e testimone autorevole, si staglia così in modo limpido. Il monito è alto per tutti coloro che abbiano la capacità di ascoltare e di interrogarsi sul proprio registro educativo. Il pensiero del papà di Giulia è qui, in questa consapevolezza piena del significato di una “vita buona” e in quella speranza feconda che – come seme del sacrificio della figlia – ha indicato alle migliaia di presenti alla celebrazione. Il “rumore” delle chiavi e dei campanelli all’uscita del feretro è già un segnale. Dopo l’esempio di questo padre, niente più silenzi.
(*) direttore di Roma Sette
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