Conferenza Il conflitto israelo-palestinese
1 – Una premessa.
Il titolo di questa conferenza doveva essere più esplicito: “La ragione dei torti”, perché l’analisi dei fatti confonde torto e ragione, al punto che non solo è difficile enumerarli ma anche arrivare a una soluzione.
Non vi aspettate soluzioni da me. Allo stato attuale non ce n’è, se non del tutto ablative, con la distruzione totale dell’una o dell’altra parte. Non è questione di cinismo o d’insensibilità. Se un punto di svolta ci sarà, prima o poi, sarà terribile, ed è meglio prepararsi psicologicamente a questa possibilità.
Le chiacchiere, le manifestazioni per la pace, l’adesione alle ragioni dell’una o dell’altra parte, le proteste di tipo umanitario, non contano nulla.
La verità è che siamo in guerra, una guerra dove tutti mezzi sono leciti, checché se ne dica, e la ragione è sempre dalla parte del vincitore, anche se lui non ci piace.
2 – La ragione dei torti.
La storia della persecuzione degli Ebrei credo che sia nota a tutti. Il riferimento classico è quello dell’Olocausto, una incancellabile vergogna per l’umanità. In verità, non è stata tanto la Germania a creare problemi alla sua popolazione ebraica quanto il Cristianesimo, cattolico e ortodosso, che ha cominciato con il condannarli per secoli come deicidi, perché assassini di Cristo. Poi, sono diventati “fratelli separati” per i cattolici, ma non per gli ortodossi.
Russia, Polonia, Bielorussia, Ucraina e Romania, dopo la 1^ Guerra mondiale, sono stati i Paesi che hanno rinverdito le persecuzioni antisemite e architettato la diaspora delle loro popolazioni ebraiche. Hitler è venuto dopo (questo è un fatto) e ha perfezionato la macchina che, con i campi di sterminio, ha stritolato gli Ebrei occidentali venuti nelle loro mani.
Il principio delle nazionalità, conclamato da Wilson e applicato malamente dopo la Grande Guerra, cercava di porre riparo alla dissoluzione degli Imperi sconfitti, che avevano una forte impronta multinazionale. Decine di milioni di persone si sono trovati senza patria o con una patria nuova. È stato il suicidio dell’Europa, forse inconsapevolmente voluto dagli Stati Uniti, gli ultimi venuti nel conflitto europeo. Ma gli Europei hanno abboccato con grandi esodi di gente disperata, che aveva perso tutto, da una frontiera a un’altra, subiendo tutte le vessazioni possibili. Gli Ebrei sono stati le principali vittime di questo grande rimescolamento di carte.
Il Regno Unito, impadronitosi con i Francesi del Medio Oriente, ha curato i propri interessi cercando di assicurare, con il suo dominio, l’anello di congiunzione fra l’India, il gioiello dell’Impero, con i ricchi pozzi petroliferi medio orientali e le rotte marittime che solcavano il Mediterraneo. Per questo chiesero ed ottennero dalla S.d.N. il mandato per gestire la Palestina, strappata agli Ottomani.
In Palestina esistevano già degli insediamenti ebraici, tollerati dalla popolazione locale, ma l’esodo crescente degli Ebrei che venivano dall’Europa preoccupava le autorità britanniche che temevano, giustamente, la reazione araba. La Palestina diventò un focolaio di scontri armati repressi dalla polizia e dall’esercito della Potenza mandataria (distruzione di Haifa e creazione del porto di Tel Aviv).
Nel frattempo, le organizzazioni ebraiche internazionali puntavano sempre più a costituire in Palestina un focolare ebraico verso il quale s’indirizzavano i profughi europei.
La politica britannica doveva mediare, con estrema difficoltà, tra le pressioni ebraiche e la rivolta araba.
Quando scoppiò la 1^ Guerra mondiale, agendo con doppiezza, pur di assicurarsi la tranquillità nel passaggio dall’India all’Europa delle risorse necessarie per la guerra, con accordi rimasti segreti fino a quando i bolscevichi non aprirono i dossiers del Ministero degli Esteri zarista, causando un grande scandalo internazionale. ,Gli Inglesi avevano promesso le stesse cose agli Arabi e agli Ebrei: un regno arabo, che avesse riunito sono un unico scettro le popolazioni di lingua araba e di religione islamica, e un focolare ebraico per gli Ebrei, come avvio di un futuro Stato ebraico., gli uni ignorando le promesse fatte agli altri.
Alla fine della guerra, ovviamente, i nodi vennero tutti al pettine e ne fecero le spese gli Inglesi, in una guerra strisciante fra Arabi ed Ebrei, Ebrei contro gli Inglesi, Inglesi contro gli Arabi.
Gli Arabi furono divisi in diversi Stati, tutti sotto l’egemonia britannica, e gli Ebrei rimasero un corpo estraneo in Palestina, in lotta contro gli Arabi e contro gli Inglesi, che avevano ottenuto dalla S.d.N. un mandato per la Palestina.
Con la 2^ Guerra mondiale le cose, se possibile, peggiorarono. Il mondo islamico simpatizzava per il fascismo e per Hitler. Per l’Inghilterra ciò significava perdere il controllo del Medio Oriente (Palestina e Iraq) e delle sue risorse, un passaggio obbligato per alimentare gli eserciti dall’India all’Africa e in Europa. Occorreva tenersi buone le popolazioni arabe, al punto che ci fu una guerra anglo-irachena conclusa rapidamente con la defenestrazione del governo locale favorevole all’Asse. Gli Ebrei, ovviamente, erano a favore degli Alleati contro il nazismo, anche se l’odio contro gli Inglesi tento qualcuno per un’alleanza con Hitler.
Alla fine del conflitto, centinaia di migliaia di Ebrei, diseredati, profughi, ex deportati o espulsi cercarono di raggiungere una patria in Palestina, brutalmente ostacolati dagli Inglesi che, alla fine, se ne lavarono le mani, abbandonando la Palestina al suo destino.
Nel 1948 le Nazioni Unite decisero la costituzione di Israele, con un’attribuzione un po’ folle di territori ricchi di acque e fertili, ma separati tra loro. Era inevitabile che il nuovo Stato ebraico cercasse di ricongiungerli. Da allora è cominciato lo stillicidio delle guerre che, in realtà, con alterne fortune, sono stato solo episodi di un’unica, lunga guerra che si trascina tuttora.
Questa è la storia.
3 – La situazione attuale.
La situazione attuale è universalmente nota.
Brevemente, Israele ha acquisito credibilità e consensi internazionali (anche con molti Paesi arabi dell’area) ed ha continuato ad occupare terre, espellendone la popolazione araba. La Transgiordania si è ristretta, diventando la Giordania. I Palestinesi sono amministrati da un’Autorità (Abu Mazel) fatiscente e corrotta, non riconosciuta come uno Stato, la cui capitale è Ramallah, che vive grazie agli aiuti internazionali. La Striscia di Gaza è un’enclave isolata nel corpo di Israele, governata da Hamas, con più di due milioni di persone di cui l’80% sono profughi, in una miseria incomparabile.
L’attacco improvviso e massiccio delle forze di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023 porta ad alcune riflessioni:
a – Israele non è più invulnerabile. Migliaia di missili hanno travolto le difese anti missilistiche israeliane;
b – L’esercito e i servizi di sicurezza israeliani, considerati tra i migliori del mondo, sono stati colti di sorpresa;
c – La questione palestinese, che sembrava sopita, è riemersa in tutta la sua drammaticità nello scenario internazionale ed ha ripreso vita l’autorità palestinese;
d – Israele si trova a dover fronteggiare a sud i problemi di Gaza, a nord, l’attacco degli Hezbollah libanesi, foraggiati da Siria e Iran, che minaccia sfracelli, e ad est, con i tumulti in Cisgiordania (i cosiddetti Territori occupati);
e – La popolazione israeliana, divisa sul piano politico interno per altre ragioni, avverse a Netanyahu, è unita dalla necessità di difendersi e, soprattutto di vendicare i propri morti. D’altronde la legge del taglione è di origine biblica;
f – Un’ondata internazionale di pacifismo filopalestinese porta a invocare la salvezza degli ostaggi, l’istituzione di corridoi umanitari, il cessate il fuoco per evitare il massacro della popolazione civile di Gaza;
g – Nel generale disastro è riemersa l’Autorità palestinese (Ramallah), in declino, guidata da Abu Mazel, un personaggio equivoco e corrotto rimasto in sordina da una decina d’anni.
Ovviamente, gli Stati Uniti, da sempre sponsor di Israele, appoggiano Netanyahu, pur invitandolo alla calma e a non commettere errori. Altrettanto ovviamente Cina, Russia e Turchia, stanno dalla parte dei Palestinesi. Il timore di un’escalation, almeno a livello regionale, è molto forte.
Gaza è isolata: nessuna comunicazione, niente acqua od elettricità, niente cibo e nessuna medicina. Raid missilistici e attacchi da terra, dal cielo e dal mare. La gente muore, a migliaia. La vendetta israeliana continua. Ma anche la Bibbia dice occhio per occhio, non due occhi per un occhio
Che fare?
Si parla di un cessate il fuoco. Questo dipende solo da Israele, al momento attuale, ma le batterie hezbollah nel nord e i missili palestinesi nel sud continuano a colpire Israele. Chi si ferma per primo?
Si parla di corridoi umanitari almeno per portare in salvo i civili. Corridoi per dove? Intorno a Gaza c’è Israele, che certamente non li vuole. L’unica via d’accesso è a Rafah, e l’Egitto l’ha chiusa. Non vuole profughi nel suo territorio che potrebbero attizzare la rivolta dei Fratelli musulmani, ostili al governo del Cairo. Quindi, chi parla di corridoi umanitari dice cose senza senso.
Portare aiuti alimentari, medicine, acqua e benzina per i civili. Chi controlla che gli aiuti non finiscano nelle mani di Hamas?
La realtà è che, al momento, Gaza è una trappola mortale, martellata dagli Israeliani.
3 – L’escalation.
Una tale situazione non può durare all’infinito. Il territorio di Gaza è molto ristretto e i bombardamenti a tappeto lo possono ridurre a un pugno di cenere. Una soluzione molto facile, ma nulla di molto diverso, in fondo, da quanto sta facendo da due anni Putin in Ucraina. Lì il territorio è molto più vasto, ma le vittime civili sono ugualmente migliaia. C’è una strana somiglianza fra le azioni di Putin e quelle di Netanyahu.
Occorre, però, tener conto delle reazioni internazionali.
Indipendentemente dalle ragioni (o dai torti) che hanno provocato questa situazione, migliaia di vittime innocenti pesano sulla coscienza del mondo, arabe od israeliane che siano. Le vittime degli orrori della guerra sono solo l’esemplificazione della ferocia umana. Il loro numero non conta. Ne sono bastate appena due, con l’attentato di Sarajevo, nel 1914, per scatenare l’inferno.
Hamas chiama a raccolta tutto il mondo arabo contro Israele e non solo. La recente conferenza della Lega araba e degli Stati arabi è una conferma del coinvolgimento di tutta l’area islamica mediorientale, Iran e Turchia compresi. Non ne è venuto fuori molto, tranne le solite esortazioni di rito a non uccidere i civili e a non bombardare gli ospedali. Tuttavia, il fatto che si siamo trovati assieme sciiti e sunniti dimostra un’unità complessiva, peraltro molto variegata, da non sottovalutare.
Cina e Russia sono già schierate, non tanto in difesa dei Palestinesi, di cui non importa loro nulla, quanto per contrasto con gli Stati Uniti che difendono Israele. Per loro conto sia Xi, in Cina, sia Putin, in Russia, hanno già fatto i conti con le loro popolazioni di fede islamica: la deportazione in lager di rieducazione di almeno un milione di Uiguri musulmani nel Sinkiang, e lo sterminio degli integralisti Ceceni e delle loro famiglie, in Russia. Quello cino-russo è solo un interesse politico-strategico, un episodio del grande confronto in atto con l’Occidente.
La Turchia si erge come punto di riferimento, a metà strada fra la sua partecipazione alla NATO e i suoi eccellenti rapporti di mediazione con la Federazione Russa. Si presenta come sunnita, in opposizione all’Iran sciita. Grande è la capacità di manovra di Erdogan, perché può cogliere l’occasione di ergersi a nuovo Sultano contro qualunque altro possibile Califfato islamico d’ispirazione iraniana e, quindi sciita.
L’Iran e il piccolo ma ricchissimo Qatar sono dietro l’improvvisa capacità aggressiva di Hamas, però è soprattutto il regime di Teheran il vero pericolo di un’escalation. Attualmente si serve degli Hezbollah libanesi, che arma e foraggia. Se il conflitto dovesse accendersi davvero nel sud del Libano, l’Iran potrebbe intervenire, lanciando missili su Israele e conosciamo bene la capacità di reazione di quest’ultimo. Da quel momento, tutto potrebbe accadere. Ad esempio, che ruolo avrebbe l’Iraq, la vera cerniera tra l’Iran e il Medio Oriente? Qual è il loro grado d’insofferenza nei confronti degli Americani dopo ben due guerre di devastazione?
Non a caso gli Stati Uniti hanno dislocato due portaerei e navi da battaglia nel Mediterraneo e nell’Oceano indiano. Una reazione americana potrebbe essere inevitabile, mentre, nel frattempo, Israele neutralizzerebbe gli Hezbollah in Libano.
Altre prevedibili conseguenze potrebbe essere un attacco da parte della Siria, colonia della Federazione russa, per riprendersi le alture del Golan, e la destabilizzazione del Libano, già fortemente dissestato da mezzo secolo di guerre civili.
Il riaccendersi della questione di Taiwan potrebbe essere il contributo cinese all’allargamento del conflitto, costringendo gli Stati Uniti ad intervenire contemporaneamente su due fronti. Na queste sono tutte ipotesi da tavolino. La realtà è che nessuno, neppure gli oltranzisti iraniani, vorrebbe spingere le cose al punto da rischiare un conflitto nucleare.
4 – Il terrorismo.
Secondo Wikipedia, Il termine terrorismo, in diritto internazionale, specie sotto il profilo penale indica azioni criminali violente e premeditate allo scopo di suscitare terrore nella popolazione tra le quali attentati, omicidi, stragi, sequestri di ostaggi, sabotaggi, dirottamenti ed altri eventi che causino danno di collettività ad enti quali istituzioni statali o pubbliche, governi, esponenti politici e pubblici, gruppi politici, etnici o religiosi.
È una definizione impropria perché, normalmente, un’azione terroristica mira non tanto alle persone, che ne sono vittime, quanto ad abbattere uno Stato.
La formazione degli Stati moderni, quasi sempre, è passata attraverso fasi di terrorismo acuto e i terroristi di ieri sono diventati gli eroi o i padri fondatori di un nuovo Stato.
Quando le condizioni politiche o sociali di un popolo diventano intollerabili, ne scaturisce la violenza che produce atti di terrorismo. È l’ultima spiaggia della libertà.
La Carboneria italiana, la Mano Nera serba, le organizzazioni segrete russe od armene che si opponevano al regime oppressivo degli Zar oppure al genocidio sistematico degli Armeni da parte dell’Impero ottomano, gli anarchici italiani che insanguinarono l’Europa, da Felice Orsini a Passanante e Luccheni, le stragi dei Tutsi e stesse azioni partigiane dell’ultima guerra mondiale, dalla Bielorussia alla Jugoslavia, passando per l’Italia, sono tutte definibili come atti di terrorismo.
Lo Stato d’Israele è sorto dopo che le tre principali organizzazioni terroristiche ebraiche create hanno dato filo da torcere alla presenza britannica in Palestina. Parlo dell’Haganah, della banda Stern, della Irgum Zwei Leumi che sono poi diventate la matrice dell’esercito israeliano.
Che il terrorismo sia una cosa infame è pacifico, perché si rivolge in genere contro persone innocenti, ma che sia da condannare tout court è improprio. Mazzini era un terrorista e visse nascosto alla polizia, in Italia, gli ultimi anni della sua vita. Garibaldi fu condannato a morte dai tribunali savoiardi, come terrorista. Poi, le cose presero un’altra piega.
Alla domanda: se tu fossi un ebreo, saresti contro i bombardamenti su Hamas? Oppure, se tu fossi palestinese, condanneresti il terrorismo di Hamas? la risposta sarebbe sempre la stessa: NO.
Diciamo la verità: Hamas è in guerra contro Israele. L’illusione di una pacifica convivenza è sfumata da un pezzo e gli odi reciproci sino profondi. Se Hamas fosse uno Stato, non ci sarebbe nulla da obiettare. In Ucraina abbiamo visto cose forse peggiori. Il fatto che Hamas non sia uno Stato non cambia la natura delle cose. In guerra, purtroppo, tutto è lecito.
Certo, ci sono dei limiti sanciti anche da regole internazionali, ma chi va in un conflitto a verificarne l’osservanza
La verità è che la popolazione civile non conta nulla, se da un ospedale ti sparano lo butti già a cannonate, se un bambino-soldato ti pende di mira con il fucile lo uccidi prima che lui possa spararti.
Il pietismo sulle vittime civili o sugli ostaggi è sempre buono da vendere all’opinione pubblica, come gli appelli alla pace. La verità delle cose è molto più brutale e prescinde dalle emozioni della gente. Tanto, alla fine, chi vincerà, anche su una montagna di morti, avrà sempre ragione.
Purtroppo la violenza è insita nel cuore degli umani. Millenni di civilizzazione non hanno cambiato di una virgola questo stato di fatto.
5 – Il pacifismo.
In questo drammatico scenario, l’opinione pubblica internazionale è molto importante. Come si forma l’opinione pubblica internazionale? Dalle notizie che apprende tramite la stampa, la televisione, la radio, da Internet, dai social. Il tutto, sappiamo, può essere potentemente influenzato dai media e dalle manipolazioni della propaganda (le fake news). Ad esempio, le affermazioni di carattere storico di Putin, giustificative dell’aggressione russa all’Ucraina, sono palesemente (storicamente) false, ma la popolazione russa ci ha creduto, non avendo fonti alternative d’informazione.
In questo conflitto, l’opinione pubblica mondiale è a favore di Hamas, non di Israele. La questione se Hamas è un gruppo terroristico o no diventa secondaria perché Hamas, agli occhi delle persone comuni, combatte l’invadenza ebraica in nome del popolo palestinese che non è, invece rappresentato dall’Autorità palestinese impersonata da Abu Mazel. Stupisce, comunque, che azioni come decapitare una giovane donna presa in ostaggio o sgozzare un bambino non sollevino un’ondata d’indignazione per questi orrori che non hanno alcuna giustificazione né politica né morale, ma sono solo una provocazione per ritorsioni ancora più efferate.
Le tesi secondo cui Hamas non è l’intero popolo palestinese è smentita dai fatti. L’Autorità palestinese, che sarebbe il legittimo rappresentante della Palestina, in realtà non esiste ed è stata riesumata solo in questa occasione per avere un interlocutore non tacciato di terrorismo.
Altra questione è se Hamas è un aspetto della più generale jihad islamica, come al-Quaeda, l’Isis o Boko Haram. In realtà sono aspetti diversi originati dalla stessa matrice anti semita ed anti occidentale, ma con storie e obiettivi diversi. La confusione non aiuta a capire ma aiuta Hamas ad avere una dimensione e una credibilità internazionale accettabili. Il protrarsi del conflitto potrebbe, però, portare a una congiunzione d’interesse fra queste organizzazioni islamico-integraliste con effetti imprevedibili.
Le folle che sfilano nelle città occidentali inneggiando ad Hamas e invocando la fine dei bombardamenti israeliani su Gaza, sono per una pace impossibile. In realtà manifestano un diffuso senso di anti semitismo. Non ci sono altrettante vie o piazze affollate di gente che protesta contro gli eccidi palestinesi o contro quelli russi. In questo senso, Hamas ha vinto la sua battaglia presso l’opinione pubblica mondiale, indipendentemente dall’esito finale degli scontri. Israele è psicologicamente isolata, accusata di nazismo (il che è un paradosso), così come Putin accusa di nazismo l’Ucraina e questo spiega il favore delle sinistre nei confronti di Hamas.
Questo parlare a vanvera di fascismo e di nazismo, con accuse reciproche di atrocità, nasconde il disagio dell’ignoranza storica e della vera sostanza del conflitto che non è territoriale, si traveste da ideologico e religioso, ma è solo una lotta di potere tra le grandi Potenze e, purtroppo, fra democrazie liberali e regimi autoritari e repressivi.
È in atto un gigantesco rimescolamento di carte sul piano mondiale, favorito dalla globalizzazione. L’egemonia americana (genericamente definita “occidentale”) è contestata sia dalla Russia e dalla Cina sia dalle nuove potenze che sono emerse dopo la decolonizzazione. Non a caso Putin ha teorizzato un nuovo assetto mondiale, definito “multipolare”, nel quale un limitato numero di grandi Paesi avrebbero delle loro aree d’influenza riservate, relegando gli Stati Uniti al ruolo di potenza regionale.
Si tratta di un conflitto strisciante che assume forme diverse per il controllo di alcune aree economicamente importanti nel Medio Oriente, in Africa e in Asia, passando dalle rivendicazioni cinesi di carattere nazionalistico per Taiwan all’antisemitismo in Palestina, dalle accuse di nazismo all’Ucraina al massacro dei Cristiani in Africa (che nasce dall’odio contro l’uomo bianco colonizzatore e prevaricatore), dagli anatemi dell’Iran e della Corea del Nord contro l’America, definito il Grande Satana, dal tentativo mai riuscito del mondo arabo di qualificarsi come potenza mondiale non solo per le proprie risorse che fanno gola a tutti.
Le formulazioni teoriche del conflitto mondiale in atto sono molteplici, confuse e contraddittorie, ma le armi sono vere e uccidono indifferentemente uomini, donne, vecchi e bambini. Israele è il nemico perché alleato e protetto dagli Stati Uniti. Il mondo arabo è unito contro Israele ma non contro gli Stati Uniti. Però è il cuore dell’integralismo islamico che è contro tutto l’Occidente cristiano.
Ma cristiani sono anche gli ortodossi. Gli ortodossi russi appoggiano Putin che simpatizza con la protesta palestinese, ma è una posizione di comodo solo perché si dirige contro gli Stati Uniti. La Federazione russa è un coacervo di Stati diversi, a forte componente musulmana. Putin non può mettersi contro i propri musulmani, ma teme il contagio integralista dell’islamismo che è anticristiano e potrebbe mettere in pericolo l’unità del suo Paese.
6 – Alla ricerca di soluzioni.
Gli accordi di Abramo erano una possibilità di graduale riconoscimento dell’esistenza e della legittimità di Israele da parte dell’Arabia Saudita che è il “pezzo forte” del mondo islamico. Il possibile scambio di ambasciatori fra Riad e Gerusalemme avrebbe isolato ancora di più il mondo sciita, rappresentato dall’Iran (e, in parte, dal Qatar). Alcuni osservatori, ad esempio, sono convinti che l’attacco ad Israele di Hamas è stato voluto proprio per interrompere questo processo di avvicinamento.
Certo è che oggi riaprire il discorso degli accordi di Abramo, mentre infuria la vendetta israeliana, è del tutto fuori luogo. È accaduto qualcosa di simile con gli accordi di Minsk, tra Russia, Europa e Ucraina, accordi esaltati come un progresso e finiti nella cartastraccia.
Così come stanno le cose, i giochi ripartono tutti da zero.
È evidente che nell’azione finora condotta da Netanyahu manca qualunque strategia. Le dichiarazioni fatte sono semplicistiche e contraddittorie: Non vogliamo governare la Striscia. Vogliamo assicurare la sicurezza nella striscia. Nessuna sospensione dei bombardamenti se non si restituiscono gli ostaggi e così via. Ma che cosa vuole alla fine Netanyahu? Ammazzare tutti i Palestinesi? Impossibile: sono troppi. Hiler, che era molto più organizzato di lui, ci ha messo tre anni per ammazzare sei milioni di Ebrei che, tra l’altro, non combattevano. Netanyahu non ha tutto questo tempo.
Impadronirsi della Striscia Dopo dodicimila morti sarebbe come dormire con una jena affamata. Da escludere. Restituire la Striscia all’Autorità Palestinese? Improponibile. Dunque, a cosa mira Israele? Sembra che giochi al buio. Difficile capirlo.
Gli Stati Uniti, in una dichiarazione che è passata inosservata, hanno detto che, dopo Gaza, non ci saranno più né Israele né Hamas. È una dichiarazione inquietante, così inquietante che non l’ha ripresa nessuno ma che nasconde una terribile verità: un terzo conflitto mondiale.
Non è probabile che gli Stati Uniti s’impegnino in un conflitto nucleare per tutelare il loro pupillo israeliano. Se mai è il loro pupillo che, sentendosi accerchiato, potrebbe osare un colpo di testa del genere, scatenando una reazione a catena.
Da parte di Hamas, a parte la ridicola richiesta di liberare tutti i Palestinesi in carcere in Israele contro la liberazione degli ostaggi., non ci sono novità significative. In realtà, l’effetto voluto è stato raggiunto: interrompere il processo di pace di Abramo, risvegliare un antisemitismo diffuso in tutto il mondo occidentale, al punto da assurgere al ruolo di soggetto internazionale, ruolo che non è riuscito alla screditata Autorità palestinese.
Oltre questo, se il caso di Gaza non funge da catalizzatore del mondo arabo-islamico, non ci sono altri sbocchi diversi da una lunga agonia di guerra o di guerriglia.
Israele è un’isola circondata da un mare tempestoso. Se gli Arabi volessero cancellare Israele dalla carta geografica, come si propongono talune loro costituzioni, potrebbero farlo. I regni cristiani in Terrasanta sono durati meno di un paio di secoli. Israele non può durare all’infinito come avamposto dell’Occidente se non cambia tutto.
Che significa Vorrei portare due esempi: La guerra civile americana e la fine dell’apartheid in Sudafrica. In tutti e due i casi gli odi erano profondi. La questione della schiavitù era un pretesto fra il nord americano industrializzato e il sud agrario. C’e stato bisogno di un milione di morti per accettare una convivenza, tuttora difficile.
In Sudafrica la discriminazione ha prodotto odi e vendette a catena (anche qui quasi un milione di morti), ma poi è liberamente finita. Non ci si può opporre alla realtà delle cose e alla forza dei numeri. Oggi, non è una convivenza felice, ma non ci si ammazza più tra bianchi e neri. È già qualcosa.
In Israele e in Palestina occorre avere fantasia e coraggio. Al momento, diciamolo pure, non ce ne è neppure l’ombra, ma non bisogna disperare.
Arabi ed Ebrei vengono dallo stesso ceppo, “fratelli coltelli”. Sono separati da due religioni delle quali una quasi figlia dell’altra. Hanno più cose in comune di quanto non si pensi.
La Striscia di Gaza non ha senso, come l’Autorità palestinese, come lo stesso Israele. Vagheggiare due popoli e due Stati è una farsa diplomatica ed è una sciocchezza politica. Troppo tardiva, dopo quasi un secolo di sangue. Occorreva farlo prima, al momento della spartizione della Palestina. Oggi riprodurrebbe, dopo qualche mese, gli stessi contrasti.
Occorre pensare, invece, a una sola Palestina arabo-ebraica, patria di due popoli, non una patria insanguinata dagli odi, ma operosa e competitiva. Niente Netanyahu, niente Abu Mazel, nessun intermediario dalla carità pelosa.
La Palestina è una terra unica, dove per decine di secoli, in fondo, Arabi, Cristiani ed Ebrei hanno convissuto pacificamente.
Certo, ci vogliono fantasia e coraggio, occorre dimenticare i soprusi, non vendicare i morti, cicatrizzare ferite antiche e recenti. Occorre un colpo di spugna e ricominciare da capo. Solo così ci può essere un futuro.
Vorrei chiudere con un aneddoto, riferitomi da un amico, Roberto Paggi, a proposito di Golda Meir, uno dei pochi grandi uomini di Israele. In contrapposizione alla frase pronunciata da un leader arabo “Noi vinceremo perché amiamo la morte come voi amate la vita”, Golda Meir rispose: “Vi possiamo perdonare di uccidere i nostri figli, quello che non possiamo perdonarvi è di costringere noi a uccidere i vostri figli”.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)