La violenza non è solo figlia del disagio ma della prevaricazione di chi si crede più forte
L’indignazione non basta, è troppo poco davanti a ciò che è accaduto alle due cuginette a Caivano e alla ragazzina a Palermo, violentate da ragazzi poco più grandi di loro. Ognuno di noi è chiamato in causa, non basta un like, una faccina che piange sotto la notizia. Ciascuno è invitato a fare la propria parte, perché non è solo una questione che coinvolge una terra degradata del nostro Paese. Il malessere non è unicamente lì, è ovunque. La violenza non è solo figlia del disagio ma di uno stile, di un modello di prevaricazione di chi pensa di essere più forte. È il segno di un deterioramento che sta colpendo il nostro tempo, dove il rispetto dell’altro, del corpo della donna soprattutto non è più tenuto in considerazione. Anche nei gesti piccoli, fino a quelli più gravi che arrivano alla violenza come è accaduto in questa estate infuocata, e con i femminicidi.
Allora questo è il tempo che, se da un lato ci fa pensare che non ci sono più parole per esprimere i nostri sentimenti, dall’altro invece ci invita a ritrovare quelle giuste. Parole che costruiscono ponti, parole che riconciliano, perché di fronte a una violenza così profonda c’è anche l’omertà, la connivenza, il disinteresse. È il tempo delle parole che educano, che informano senza fake news e volgarità, che cambiano la cultura dominante del “tutto e subito” del sesso imparato dalla pornografia online. Questa grande responsabilità non può essere delegata ad altri. La deve assumere ciascuno di noi per creare insieme una rete che cambi veramente nel profondo questa nostra società. Lo dobbiamo fare insieme, credenti e non credenti, per poter continuare a dire a voce alta che siamo ancora una comunità di esseri umani.
(*) vicepresidente Fisc
articolo pubblicato su “Toscana Oggi”
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