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Attualità

La sindrome di Stoccolma compie 50 anni. La prima volta in cui l’ostaggio «amò» il suo aguzzino

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La sindrome di Stoccolma compie 50 anni. La prima volta in cui l’ostaggio «amò» il suo aguzzino

«Non fategli del male» urlò la sequestrata Kristin Enmark mentre gli agenti portavano via il bandito svedese Clark Olofsson. «Comportamento inquietante», disse lo psichiatra che coniò il famoso termine

La sindrome di Stoccolma compie 50 anni. La prima volta in cui l’ostaggio «amò» il suo aguzzino

 

«Non fategli del male! Non hanno fatto nulla!», urlò Kristin Enmark, uno dei quattro ostaggi, agli agenti che avevano appena fatto irruzione nel caveau e immobilizzato i due sequestratori. Mentre li portavano via, uno di loro, Clark Olofsson, si girò verso la giovane donna e sorridendo le disse: «Ci rivedremo».

Era la sera del 28 agosto 1973. Iniziata cinque giorni prima, la più lunga rapina in banca con presa d’ostaggi mai vissuta dalla capitale della placida Svezia si concludeva senza sangue, ma con un risvolto che sarebbe diventato oggetto di studio della scienza medica e avrebbe acquisito celebrità mondiale, entrando nel vocabolario e nell’immaginario dell’intero pianeta.

Sono passati cinquant’anni, da quando il dottor Nils Bejerot, il criminologo e psichiatra che aveva assistito la polizia durante il sequestro, parlò per primo di «comportamento inquietante» da parte di Kristin Enmark, 23 anni all’epoca, verso uno dei banditi. Coniò anche la definizione «sindrome di Norrmalmstorg», dal nome della piazza dov’era la sede della Svenska Kreditbanken presa d’assalto. Ma all’estero, la presunta simpatia dell’ostaggio per il carceriere diventò subito la «sindrome di Stoccolma», e così sarebbe rimasta, fonte inesauribile di speculazioni e fantasie.

Che poi Olofsson non era neppure quello che aveva attaccato la banca. «La festa incomincia», aveva gridato Jan-Erik Olsson, detto Janne, entrando mitra alla mano nella filiale affollata alle 10.00 del 23 agosto. Trentadue anni, da poco rilasciato dalla prigione di Kalmar, Olsson era un oscuro delinquente con precedenti per furto e rapina a mano armata. Apparve però dall’inizio molto deciso: ferì alla mano un agente che tentava di entrare, rilasciò quasi subito una cinquantina di persone. Ma costrinse a restare 4 impiegati: oltre a Enmark, Birgitta Lundblad, Elisabeth Oldgren e Sven Säfström, tutti giovani tra 21 e 30 anni. Poi pose le sue richieste: 3 milioni di corone, un’auto, munizioni, giubbotti antiproiettile, due mitra, ma soprattutto la liberazione di Olofsson dal carcere di Kalmar, dove scontava 6 anni per rapina.

Sebbene avesse appena 26 anni, questi era già popolare in Svezia, una specie di Vallanzasca scandinavo con all’attivo rapine in banca ed evasioni. Un mito per Olsson, che ne chiese il rilascio personalmente al telefono al premier Olof Palme. Sperando che lo convincesse a liberare gli ostaggi e consegnarsi, Palme ordinò che Olofsson fosse portato nella banca. Quello che il premier e i suoi collaboratori non sapevano era che i due compari avessero pianificato tutto insieme nei mesi in cui erano detenuti a Kalmar. Una volta che il complice fu sul posto, i due infatti si barricarono insieme agli ostaggi nel caveau. Per giorni, non successe nulla. La polizia svedese sembrava paralizzata. Negli ostaggi cresceva la percezione di essere stati abbandonati. Il sospetto si era fatto certezza, racconterà Enmark, quando due poliziotti erano riusciti a chiudere dall’esterno la porta del caveau. Tutti dentro, senza acqua né cibo.

Palme, direttamente coinvolto nella trattativa, parlò più volte al telefono con Olsson e una volta con Enmark. Il premier fu irremovibile: lo Stato non scende a patti con i criminali, anche a costo delle vostre vite. Lei lo accusò di «mercanteggiare» con la vita umana: «Ci lasci andare, non ho paura di questi uomini. Ci proteggono», lo supplicò Enmark. L’ipotesi che gli ostaggi avessero perso il senso della realtà cominciò ad essere evocata dagli psicologi mobilitati dalle autorità.

Il dramma si chiuse quando, accortisi che la polizia stava mandando un gas (probabilmente Anticimex, usato nella caccia ai topi) dentro il caveau, i banditi si arresero. Cos’era successo nelle lunghe ore trascorse al buio nella camera blindata Quando la mattina dopo gli investigatori e Nils Bejerot si presentarono nell’ospedale dov’era stata ricoverata Enmark per interrogarla, la prima domanda fu: «Lei è innamorata di Clark Olofsson?». Tutti gli ostaggi, lei compresa, misero a verbale di non aver simpatizzato con i loro carcerieri.

Ma Enmark, bersaglio di lettere minacciose, lasciò la banca e studiò per diventare psicoterapeuta. Rimase in contatto epistolare per anni con Olofsson, che continuò la sua carriera criminale. Nel 2015 Enmark ha pubblicato un libro dal titolo: Così diventai la sindrome di Stoccolma.

Che nel frattempo compie mezzo secolo e vive di vita propria. Espressione pop, spesso evocata. A sproposito. O a proposito, come nel 1974 nel caso del rapimento dell’ereditiera americana Patty Hearst o del film di Sidney Lumet Quel pomeriggio di un giorno da cani. E anche molto criticata: la giornalista australiana Jess Hill l’ha definita un mito, inventato per screditare e far tacere donne che sono vittime.

NOTA A CURA DEL DIRETTORE 

Generalità

Sindrome di Stoccolma è il nome della particolare condizione psicologica che induce le vittime di un rapimento a provare simpatia verso i loro sequestratori.

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Le cause della sindrome di Stoccolma non sono chiare; studi sull’argomento, tuttavia, hanno evidenziato che in tutti i casi di sindrome di Stoccolma ricorrevano 4 situazioni, che sono:

  • Sviluppo, da parte dell’ostaggio, di sentimenti positivi nei confronti del sequestratore;
  • Nessuna precedente relazione tra ostaggio e rapitore;
  • Sviluppo, da parte dell’ostaggio, di sentimenti negativi nei confronti delle autorità governative preposte al salvataggio;
  • Fiducia dell’ostaggio nell’umanità di chi lo sequestra.

Il sequestrato che sviluppa la sindrome di Stoccolma esibisce dei comportamenti del tutto singolari, tra cui per esempio: provare simpatia, attaccamento o altri sentimenti simili nei confronti del suo rapitore; rifiutarsi di scappare, pur avendone la possibilità; rifiutarsi di collaborare con  la polizia; tentare di compiacere il rapitore; difendere l’operato del sequestratore; rifiutarsi di testimoniare contro il rapitore.
La sindrome di Stoccolma non rientra tra le malattie psichiatriche e non richiede alcuna terapia specifica.

Cos’è la Sindrome di Stoccolma

Cos’è la Sindrome di Stoccolma

Sindrome di Stoccolma è l’espressione usata per indicare la situazione paradossale, in cui la o le vittime di un sequestro si affezionano al loro o ai loro sequestratori, anche a dispetto di un comportamento inizialmente violento da parte di quest’ultimi.
La sindrome di Stoccolma rappresenta un paradosso del comportamento umano: l’ostaggio che ne è interessato, infatti, avverte simpatiacomprensioneempatiafiduciaattaccamento e talvolta perfino amore nei confronti del suo rapitore, quando invece sarebbe più logico che provasse, alla luce del maltrattamento subìto, sentimenti come odioavversioneantipatiavolontà di non assoggettarsi ecc.
Sebbene gli esperti la descrivano come una condizione psicologica, la sindrome di Stoccolma non presenta i requisiti indispensabili per rientrare nei manuali di psichiatria e nemmeno in una classificazione psichiatrica relativa alle malattie mentali: la critica alla sindrome di Stoccolma come patologia psichiatrica proviene dalla mancanza di studi scientifici sull’argomento e dal fatto che sentimenti come affetto, simpatia, ecc. non possono ritenersi, anche se provati nei confronti di un rapitore, i sintomi di un malessere psichico.

Lo sapevi che…

Durante la stesura della V e ultima edizione del DSM (il più importante manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), la comunità psichiatrica coinvolta in quest’opera aveva preso in considerazione la possibilità di inserire la sindrome di Stoccolma in una sezione particolare del libro, ma ha poi optato per escluderla come in tutte le precedenti edizioni.

Sindrome di Stoccolma: esempio di legame traumatico

Gli esperti descrivono la sindrome di Stoccolma come un esempio di legame traumatico; per definizione, i legami traumatici sono i legami fra due persone, in cui una di queste gode di una posizione di potere nei confronti dell’altra, la quale diviene vittima di atteggiamenti aggressivi e di altri tipi di violenza.

Sindrome di Stoccolma: perché si chiama così?

La sindrome di Stoccolma deve il suo nome a un fatto di cronaca, verificatosi in Svezia il 23 Agosto del 1973.

In quel giorno, circa alle 10:15 della mattina, due rapinatori entrarono in una banca di Stoccolma e presero in ostaggio quattro impiegati per ben 5 giorni.

Furono giornate  molto intense, in cui, mentre la polizia trattava il rilascio dei prigionieri, tra quest’ultimi e i due sequestratori nasceva un rapporto di affetto reciproco e la volontà di proteggersi gli uni con gli altri.

Il sentimento di affetto reciproco divenne così importante che, alla conclusione dell’intera vicenda (risoltasi con l’arresto e la carcerazione dei rapinatori), gli impiegati si recarono più volte in prigione a far visita ai sequestratori; accadde, addirittura, che una di questi divorziò dal marito e si sposò con uno dei due rapinatori.

 

 

Cause

Sindrome di di Stoccolma: le Cause

La precisa causa della sindrome di Stoccolma non è chiara.
Studi sull’argomento, tuttavia, hanno evidenziato che in tutti i casi di sindrome di Stoccolma ricorrevano 4 situazioni, definite, col senno di poi, “determinanti” per la nascita nell’ostaggio di una simpatia (se non anche un sentimento positivo più forte) verso il sequestratore; queste 4 situazioni sono:

  • Sviluppo, da parte dell’ostaggio, di sentimenti positivi (es: simpatia, comprensione ecc.) nei confronti del suo sequestratore;
  • Nessuna precedente relazione tra ostaggio e rapitore (in altre parole, prima del sequestro, ostaggio e rapitore non si conoscevano);
  • Sviluppo, da parte dell’ostaggio, di sentimenti negativi nei confronti delle autorità governative incaricate di provvedere al rilascio e all’arresto del sequestratore;
  • Fiducia dell’ostaggio nell’umanità di chi lo sequestra (in altri termini, l’ostaggio crede nell’umanità del suo rapitore).

Cause di Sindrome di Stoccolma: qualche dettaglio in più

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  • I sentimenti positivi che contribuiscono allo sviluppo della sindrome di Stoccolma sono generalmente la conseguenza di atti di gentilezza da parte del sequestratore nei confronti dell’ostaggio (es: garantire il cibo, lasciare la possibilità di usare i servizi igienici ecc.)
    I sentimenti positivi, quindi, sono espressione di riconoscenza nei confronti di un favore ricevuto.
    Da studi sul comportamento umano è emerso che, nel corso di un rapimento, le cortesie, gli atti di gentilezza e i favori provenienti dall’aggressore possono avere un impatto sulla psiche dell’ostaggio, tale da indurre quest’ultimo a sorvolare sulla sua condizione di vittima e sul fatto che qualcuno lo stia privando della sua libertà;
  • All’origine dei sentimenti negativi che l’ostaggio elabora nei confronti del salvatore c’è la condivisione con il sequestratore di una situazione di isolamento dal mondo esterno.
    In altre parole, a scatenare nell’ostaggio avversione nei confronti di chi ha l’incarico di salvarlo è il trovarsi isolato dall’ambiente esterno, nello luogo del rapitore;
    I sentimenti negativi nei confronti dei salvatori avvicinano l’ostaggio al sequestratore così tanto, che spesso la vittima finisce per aiutare, in caso di bisogno, il suo rapitore;
  • In una fase più avanzata del sequestro, quando già si è creato un certo grado di simpatia/attaccamento, ad alimentare nell’ostaggio l’avversione nei confronti del salvatore è la paura che quest’ultimo possa far del male al sequestratore;
  • Ciò che porta l’ostaggio a credere nell’umanità del suo sequestratore non è tanto da ricercarsi nel comportamento di quest’ultimo, quanto piuttosto nei gesti di violenza che potrebbe commettere ma che di fatto NON commette.
    In altre parole, l’ostaggio ritiene che il rapitore sia dotato di umanità, perché questo non gli riserva un trattamento violento o gli riserva un trattamento meno violento di quanto in realtà potrebbe;
  • Secondo gli esperti, un’importante situazione favorente (ma non indispensabile) lo sviluppo della sindrome di Stoccolma sarebbe la durata prolungata del sequestro.
    Un sequestro prolungato, infatti, farebbe sì che l’ostaggio conosca più a fondo il suo sequestratore, entri in confidenza con quest’ultimo, fortifichi la simpatia e l’attaccamento nei suoi confronti, cominci a sentirsi dipendente da lui per quanto concerne il cibo e le altre necessità quotidiane, si senta riconoscente per il fatto di non avergli fatto più del male o avergli risparmiato la vita ecc.

Lo sapevi che…

Temendo la sindrome di Stoccolma (un rapporto troppo confidenziale tra ostaggio ed esecutore del rapimento può portare al fallimento dell’intero piano), gli organizzatori di sequestri e rapine raccomandano a coloro che agisce per conto loro di avere sempre un atteggiamento rude e violento, e pianificano ricambio continuo degli uomini al loro servizio, in maniera tale che l’ostaggio non abbia modo e tempo di stabilire un rapporto con un solo sequestratore.

Sindrome di Stoccolma: chi è più a Rischio?

La sindrome di Stoccolma è più frequente nelle donne, nei bambini, nelle persone particolarmente devote a un certo culto, nei prigionieri di guerra e nei prigionieri dei campi di concentramento.

Epidemiologia

Secondo l’FBI – il famoso ente investigativo di polizia federale degli Stati Uniti d’America – l’8% circa dei casi di sequestro di persona è caratterizzato dal fenomeno della sindrome di Stoccolma.

Sintomi

Quali sono i Sintomi della Sindrome di Stoccolma

Negli ostaggi che la sviluppano, la sindrome di Stoccolma si manifesta con alcuni comportamenti tipici, che sono:

  • Dimostrare simpatia, affetto, attaccamento e talvolta perfino amore nei confronti del o dei sequestratori;
  • Rifiutarsi di scappare dal o dai rapitori, pur avendone la possibilità;
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  • Rifiutarsi di collaborare con la polizia e con qualunque altra autorità governativa preposta al salvataggio;
  • Tentare di compiacere il o i rapitori (è un comportamento più frequente negli ostaggi di sesso femminile);
  • Giustificare/difendere l’operato del o dei sequestratori;
  • Collaborare con/assoggettarsi al volere di il sequestratore.

Curiosità: i casi più famosi di sindrome di Stoccolma

Tra i casi più noti di sindrome di Stoccolma, meritano una citazione:

  • La già descritta vicenda della rapina a una banca di Stoccolma.
  • La vicenda di Jaycee Dugard. La californiana Jaycee Dugard fu rapita e tenuta prigioniera per ben 18 anni da Philip Garrido e sua moglie Nancy (il sequestro iniziò nel Giugno del 1991). In questo lungo arco di tempo, pur subendo degli abusi sessuali (da cui nacquero due bambini), Jaycee accettò di far parte della famiglia che l’aveva rapita, partecipando perfino alle attività sociali dei coniugi Garrido e senza tentare di scappare, anche quando ne ebbe la possibilità.
  • La vicenda di Natascha Kampusch. Di nazionalità austriaca, Natascha Kampusch fu rapita da Wolfgang Přiklopil il 2 marzo 1998, all’età di 10 anni, e tenuta prigioniera per circa 8 anni; in questo lasso di tempo, Natascha ebbe più volte occasione di scappare, ma preferì rimanere col sul rapitore, in quanto, a suo dire, quest’ultimo non le faceva mancare nulla (in un’intervista successiva al rilascio, ha affermato di essere dispiaciuta per la morte di Wolfang, avvenuta per suicidio).
    Curioso è l’evento del rilascio di Natascha: la ragazza è scappata dal suo sequestratore in seguito a un litigio e non il desiderio di libertà.

Sintomi della Sindrome di Stoccolma dopo il rilascio

A liberazione avvenuta, la sindrome di Stoccolma può portare chi l’ha sviluppata a: rifiutarsi di testimoniare contro il rapitore; sentirsi in colpa per la carcerazione del sequestratore; far visita in carcere al suo o ai suoi rapitori; rimanere ostile nei confronti della polizia e delle altre autorità governative con compiti analoghi; organizzare una raccolta fondi per aiutare il rapitore rinchiuso in galera.

Lo sapevi che…

Alcuni ex sequestrati che hanno sviluppato la sindrome di Stoccolma hanno dichiarato di continuare a simpatizzare per i loro rapitori, nonostante l’atto di questi avesse provocato in loro uno shock tale da continuare ad avere incubi relativi alla vicenda.

Diagnosi

La sindrome di Stoccolma non rientra tra le condizioni psichiatriche, pertanto non sono disponibili criteri per la sua diagnosi approvati da una comunità medica e con una solida base scientifica.

Terapia

Sindrome di Stoccolma: esiste una Cura

Non esiste alcun specifico piano terapeutico per chi sviluppa la sindrome di Stoccolma; è, infatti, il tempo a ristabilire la normalità nella psiche della vittima del sequestro.

L’importanza della Famiglia nella Sindrome di Stoccolma

Gli esperti del comportamento umano ritengono fondamentale, per il superamento delle conseguenze correlate alla sindrome di Stoccolma, il supporto e l’affetto dei familiari.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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