Il servo di Dio don Giovanni Battista Sidoti. Incontro con il postulatore Don Mario Torcivia
Tokyo – Don Giovanni Battista Sidoti, sacerdote diocesano nato a Palermo nel 1667, è l’ultimo missionario di Edo l’attuale Tokyo, dove morì martire nel novembre 1714. Il Sir ha chiesto a Don Mario Torcivia, anche lui presbitero della Chiesa palermitana, postulatore della Causa di canonizzazione del martire siciliano ed autore del libro “Don Giovanni Battista Sidoti. Missionario e Martire in Giappone” (2017) di introdurci a questa figura ancora poco conosciuta. ‘Fermezza nell’annuncio del Vangelo, certezza della possibilità di dialogo ovunque e comunque, rifiuto dell’idea della religione quale fonte di guerra o inimicizia’, secondo Don Torcivia, sono i tratti del carattere distintivi del martire siciliano che meglio ne descrivono lo spirito e l’attualità, incoraggiandoci oggi, come credenti, a difendere e testimoniare le ragioni della nostra fede. “Laureato in teologia, filosofia e in utroque iure e pronto per una brillante carriera ecclesiastica, Don Sidoti proprio negli ambienti della Curia papale a Roma matura invece la sua vocazione missionaria. “Le notizie delle persecuzioni e del martirio di fedeli e missionari in Giappone e dell’abiura di alcuni di loro suscitano in lui – spiega Don Mario – l’urgenza di testimoniare che si può annunciare il Vangelo anche a costo della vita. “Ricevuto il mandato del Papa, parte per il Paese del Sol Levante anche se in quella terra erano gli anni del Sakoku, il periodo di chiusura totale del Paese. “Per chi si professava cristiano o avesse osato annunciare il Vangelo – evidenzia il Postulatore – era prevista la pena di morte.” Sidoti resta comunque fermo nella sua chiamata alla missione in Giappone, vuole incontrare l’imperatore e nel luglio 1702 da Civitavecchia inizia il lunghissimo viaggio con la nave della delegazione guidata dal Patriarca di Antiochia Carlo Tommaso Maillard de Tournon diretta in Cina che lo avrebbe portato fino a Manila dove, arrivato nel 1704, rimane suo malgrado 4 anni, apprendendo il giapponese da esuli nipponici là residenti, impegnandosi in opere di evangelizzazione e di carità ed addirittura progettando e realizzando il primo seminario della capitale filippina, alla luce del dettato conciliare tridentino.
Finalmente tra il 10 e l’11 ottobre 1708 lo sbarco solitario nell’isola di Yakushima, la più meridionale dell’arcipelago nipponico, con una nave costruita per lui da benefattori filippini. Sebbene vestito da samurai viene subito identificato, interrogato, trasferito a Nagasaki e infine condotto a Edo e rinchiuso nella Kirishitan Yashiki, la prigione dei cristiani. Arai Hakuseki importante consigliere dello Shogun ed influente e poliedrico intellettuale neoconfuciano, tra il dicembre del 1709 e il gennaio del 1710, lo sottopone a quattro interrogatori che si trasformano inaspettatamente in un dialogo tra due rappresentanti di culture lontane, impensabile in quel momento storico di chiusura del Giappone. Il missionario risponde con pazienza a domande sull’Occidente che spaziano dalla geografia, alla politica, ai sistemi di governo, alla religione ed alla sua vita. Tutti questi argomenti diventeranno i temi centrali di un’opera in tre volumi di Arai Hakuseki, il ‘Seiyō Kibun’, (Notizie dall’Occidente), che, come ci spiega Don Torcivia, costituisce anche ‘la fonte’ principale sulla presenza del Sidoti in Giappone. Da questi testi emerge quanto l’inquisitore stimi il missionario palermitano per la sua cultura enciclopedica ma anche come ‘la stoltezza della predicazione’ lo disorienti: “Quando si mise a spiegare la dottrina cristiana – scrive il “sapiente” Hakuseki – in men che non si dica, passò improvvisamente dalla saggezza alla stupidità, così che sembrava di ascoltare due persone diverse”. Non fu tuttavia questo a portare il Sidoti al martirio bensì il Battesimo impartito a Chosuke e Haru, un uomo e una donna anziani inservienti della prigione, convertiti dalla sua testimonianza di fede durante la prigionia. I due anziani non esitarono a confessare davanti alle autorità di essere diventati cristiani e per questo con il missionario vennero calati in tre fosse vicine e lasciati morire di inedia. “L’annuncio ufficiale nell’aprile 2016 che resti umani rinvenuti nel luglio 2014 proprio nell’area della Kirishitan Yashiki, appartenevano con certezza al Sidoti e ai suoi due servi aprì la strada all’avvio del processo di Canonizzazione che, attualmente nella fase romana, riguarda non solo Don Sidoti ma anche i due giapponesi uccisi, come lui, in odium fidei. Don Torcivia conclude il nostro colloquio ricordando le parole, riportate dallo stesso Arai Hakuseki, con le quali il missionario palermitano replica all’accusa dell’ inquisitore che Chiesa e religione sono causa di guerra e inimicizia: “Le ingiustizie contro le altre Nazioni non sono da attribuire alla religione degli aggressori ma solo agli aggressori stessi”. Un monito di più di 300 anni fa che sembra detto per i nostri giorni.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)