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AttualitàCaserta e Sannio

Sala gremita per Pietro Marcello al Riccardi con “Vele scarlatte”

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Al Ricciardi di Capua si ha spesso l’opportunità di incontrare registi dal vivo, sapientemente intervistati da Francesco Massarelli, coadiuvato da Dalia Coronato. Ieri sera, in una sala gremita, è stato il turno del regista casertano Pietro Marcello che  nel rispondere ad una domanda di uno spettatore, si è definito “uno dei pochi bizantini rimasti” (per il fatto di girare film su pellicola tungsteno) anche se non è affatto contrario al digitale (del resto, come ha ammesso, si può girare un buon film anche con il telefonino, basta avere delle idee che hanno senso)
Attualmente il regista è in sala con  “Le vele scarlatte” che, per sua stessa ammissione, è un film di transizione, nel senso che giunge dopo il successo di Martin Eden e dopo due anni di pandemia e rappresenta dunque un lavoro cinematografico con nuove sperimentazioni in cerca di ulteriori definizioni. La pellicola è in francese, perché nasce dopo un’esperienza di due anni in Francia ed è girata in un posto che ricorda il tavoliere dei mazzoni. Il regista di “La bocca del lupo” e di Martin Eden, ha pensato ad una storia tratta da una novella di Aleksandr Grin in cui si “uccide” la figura del principe azzurro. La protagonista Juliette ( Juliette Joan) è un’ esordiente, scelta tra circa 1000 ragazze che hanno inviato il proprio video come provino. Tra l’altro, il suo era forse tra i video meno curati, ma al regista è stato subito chiaro che sarebbe stata la protagonista. Juliette ha perso la madre da neonata e tutte le donne che l’hanno accudita hanno cercato di colmare le sue mancanze con la magia, ma nessun incantesimo può evitarle di fare i conti la realtà meschina del paesino francese in cui le è toccato vivere.  Il papà soldato Raphaël torna dal conflitto un po’ a pezzi, ma fa di tutto per donarle un amore sincero e onesto.
Si presenta come un uomo piuttosto rude e sgraziato esteriormente, ma è un bravissimo artigiano, suona anche la fisarmonica e a dispetto del suo aspetto riempie la vita della figlia di senso e concretezza. Quando infatti Julienne corre a casa piangendo perché delusa dall’amore provato per un avventuriero, il padre le dice che “i cosiddetti miracoli si possono compiere con le proprie mani, la vita non è tenera con noi”. Nel senso che siamo noi a dover modellare la nostra vita, proprio come fa lui con il legno, non esistono sogni, magie e sortilegi.

Non esiste soprattutto il principe azzurro, che nel film è rappresentato da Jean, che travolge l’esistenza della ragazza, la quale mostra inizialmente di credere alla profezia (raccontata da una donna messa ai margini) di una nave dalle vele scarlatte che l’avrebbe portata via. Con la morte del padre, però, Julienne comprende che il senso della vita consiste nel cercare di evolvere senza rinnegare, come invece aveva fatto Martin Eden, mai se stessi e il proprio contesto di provenienza. Difatti, pur sapendo suonare e pur sapendo cantare, la protagonista decide di diventare falegname come il padre, perché a volte quello che conta è saper raccogliere tutto l’amore che si riceve facendolo rivivere. Nessun principe, che nel film giunge con l’aereo al posto del cavallo, può infatti riuscire a sostituire il padre, che è antico fuori (quasi ancestrale), ma moderno dentro. Il film è intervallato da alcune canzoni, i cui testi sono ritrovati da Julienne in una fattoria, che è anche quella di Giovanna d’Arco. Come quest’ultima, la protagonista è forte, audace e coraggiosa, infatti non si arrende davanti alle cattiverie gratuite della gente del posto, né cede alle lusinghe, che poi si trasformano in violenza, di un corteggiatore. Il film è una commistione tra ripresa e materiale d’archivio,  il regista fa infatti ha sempre prediletto lo stile documentaristico, tant’è che sta attualmente realizzando un documentario sulla guerra. Si è però simpaticamente definito un “archivista non represso”,  perché ama anche utilizzare la macchina da presa. Nel cinema non è infatti importante osare, ma fare ciò che risponde a un senso. Incalzato dalle domande di Massarelli, ha ricordato i tempi in cui era “ubriaco di inconsapevolezza” e dunque si trovava in uno stato di grazia, che purtroppo molto difficilmente potrà tornare.  Il Pietro Marcello di oggi si pone invece molti più interrogativi ed è più attento ai risvolti morali e sociali che estetici dei suoi film. Questo è uno dei motivi per cui si è dedicato ad opere di inchiesta come “Futura”, incentrata sui giovani di oggi. Il genere dell’inchiesta consente, infatti, di mettersi al servizio di chi è intorno a noi e di attribuire al cinema una funzione civile.

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