La pandemia sta finendo. O forse no
Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria all’ASLnapoli3sud, Consigliere nazionale Società italiana medicina dell’Adolescenza, spiega perchè nella SarsCoV2 il contagio zero forse non è raggiungibile
Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti ha annunciato, pochi giorni fa, che la fine della pandemia è vicina.
Anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che oggi si vede la fine della pandemia Covid più vicina che mai: il numero di decessi settimanali segnalati è precipitato al livello più basso da marzo 2020.
Non sembra così in Europa, dove la pandemia si è tutt’altro che fermata e le autorità sanitarie raccomandano di conservare cautela nei comportamenti atti a mitigare la trasmissione del virus.
In Italia, dopo una prolungata fase di calo dell’epidemia a seguito dell’esaurimento della quinta ondata di luglio, si registra attualmente una nuova impennata dei contagi: nell’ultima settimana i casi sono cresciuti del 33% e il tasso di positività è schizzato al 18,4%.
Ciò per fortuna non ha avuto al momento conseguenze gravi: sono in calo decessi e ricoveri in terapia intensiva, sebbene aumentino i ricoveri nei reparti ordinari.
Il tasso di incidenza è in aumento in particolare nelle fasce 0-9 e 10-19 anni e tra gli operatori sanitari. Aumentano inoltre i casi di reinfezioni, nelle quali, in base a uno studio inglese, la diarrea è un sintomo frequente tra i soggetti vaccinati.
Il tasso di decessi resta costante e piuttosto alto in Italia: 10-12 al giorno ogni 100.000 positivi. Questa ripresa epidemica, coincisa con la riapertura delle attività lavorative e scolastiche, potrebbe peggiorare in vista della maggiore permanenza nei luoghi chiusi con l’arrivo del freddo, della decadenza dell’obbligo di mascherina sui mezzi pubblici dal 30 settembre, della riduzione dell’isolamento a 5 giorni per i positivi e a 14 giorni in caso di positività persistente, della semplice auto-sorveglianza, senza isolamento, per i contatti stretti (con obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2, al chiuso o in presenza di assembramenti, fino al decimo giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto).
Il timore maggiore è che, grazie alla sorprendente capacità di mutare del SarsCoV2, possano emergere nuove varianti che potrebbero generare nuove ondate epidemiche. Attualmente, i risultati della “flash survey” (indagine lampo) condotta dall’Iss e dal Ministero della Salute, assieme ai laboratori regionali e alla Fondazione Bruno Kessler, rivela che in Italia, al 6 settembre scorso, la variante Omicron ha una prevalenza del 100%, con la sottovariante BA.5 largamente predominante (94,4%).
Si guarda con attenzione alla variante BA.4.6, che si sta diffondendo velocemente negli Stati Uniti ed è già stata rilevata in Europa, e alla BA.2.75, ribattezzata Centaurus, rilevata a maggio 2002 in India e diffusasi a livello internazionale, che non riesce a decollare e soppiantare Omicron 5.
Questo anche perché non è più resistente agli anticorpi rispetto a questa, come evidenzia uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases.
Per creare una barriera immunitaria contro il virus, la vaccinazione rimane il presidio di prima linea. Attualmente quasi il 90% degli Italiani ha completato il ciclo primario di tre dosi. Completare almeno tre dosi è importante, tenendo conto del declino dell’efficacia vaccinale dopo 120 giorni dalla seconda dose. Sono preziosi i nuovi vaccini aggiornati, adattati contro Omicron nelle sue sottovarianti.
La circolare del Ministero della Salute chiarisce che non c’è differenza tra i vari vaccini adattati che sono stati approvati: tutti stanno mostrando un miglioramento della risposta immunitaria ai sottolignaggi di Omicron indipendentemente dalla variante di preoccupazione che è stata incorporata nel vaccino.
I nuovi vaccini possono essere somministrati come quarta dose (secondo richiamo) per tutti gli over 12 su propria richiesta, almeno 120 giorni dopo il primo richiamo, ossia la terza dose.
La quarta dose è raccomandata per le categorie più a rischio: anziani, soggetti fragili, donne incinte, operatori sanitari. Al 17 settembre, il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 16,6% soltanto.
Da ottobre i vaccini adattati saranno approvati anche per la fascia 5-11 anni e a breve sarà approvata pure la vaccinazione primaria per i piccoli under-5. Un ampio studio americano pubblicato su JAMA Network Open mostra che i bambini di 0-4 anni infettati dal SARS-CoV-2 spesso non hanno alcun sintomo (sono asintomatici nel doppio dei casi degli adulti), anche se hanno un’elevata carica virale e quindi possono infettare. Quindi potrebbe essere utile vaccinarli per evitare la diffusione del virus.
Per sapere quando vaccinarsi è stato messo a punto un nuovo test sul sangue, realizzato da un team di ricercatori italiani dell’Irccs di Candiolo con l’Italian Institute for Genomic Medicine che, a differenza degli attuali test sierologici, misura i reali livelli di protezione attraverso la quantificazione dei linfociti T della memoria, responsabili della risposta cellulare contro il virus.
La tecnologia ha anche elaborato una app che attraverso l’esame della voce potrebbe servire alla diagnosi grazie all’intelligenza artificiale: questa tecnica sarebbe più accurata dei test antigenici rapidi attualmente in commercio.
In conclusione, essendo ormai chiaro che l’obiettivo del “contagio zero” è irraggiungibile, l’attuale concezione è di arrivare a convivere con il Coronavirus, rendendo ordinarie nello stile di vita misure come igiene delle mani, areazione degli ambienti, etichetta respiratoria.
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