Matrimoni in crisi, i coniugi litigano ed i figli soffrono: ne parlamo con gli esperti
Con la dottoressa Speranza Anzia Cardillo affrontiamo l’argomento
della “strumentalizzazione dei minori nell’ambito delle separazioni dei genitori”.
Si tratta di un problema molto diffuso e che causa gravi conseguenze per la crescita psicologica dei figli fino a veri e propri traumi adolescenziali.
Per trattare questo tema in tutte le sue sfaccettature abbiamo chiesto l’intervento dell’avvocato e psicologa Lucia di Bello, dell’avvocato Giulio Amandola e della psicologa Iolanda Vassallo.
Introduzione della dottoressa Cardillo, giurista e criminologa.
“La strumentalizzazione dei minori all’interno di un nucleo familiare oppure in seguito ad una separazione, purtroppo è un fenomeno che desta non poca preoccupazione. A volte può assumere dimensioni allarmanti e si può parlare, in determinati casi, addirittura di alienazione genitoriale. Questo accade quando si innescano tra i genitori separati particolari dinamiche di odio e vendetta. Ci sono casi noti di cronaca in cui il genitore “ deluso e ferito” arriva perfino al punto di uccidere il proprio figlio per colpire l’altro genitore,arrivando , irrimediabilmente, a distruggere anche se stesso. Più nello specifico, invece, l’alienazione parentale avviene quando uno dei due genitori cerca di manipolare il minore in modo che questo manifesti odio e disprezzo verso l’altro genitore. Un simile comportamento è ritenuto da alcuni come una vera e propria forma di abuso, di cui si tiene conto anche in tribunale. Questo illecito si basa quindi su invenzioni, manipolazioni della realtà e menzogne volte ad usare i figli per trasferire il proprio astio sull’altro genitore. Ci sono determinate età dei minori in cui la manipolazione è più semplice da praticare perché trova più terreno fertile. In particolare questo accade in caso di bambini piccolissimi o adolescenti. Si può costatare la diffusione di questo fenomeno nonostante le leggi e le pene in materia non manchino. Infatti, chi attua comportamenti che privano gli stessi della presenza dell’altra figura genitoriale è punito con pene non proprio lievi. Tuttavia un’adeguata prevenzione del verificarsi di certe dinamiche potrebbe essere l’aiuto di esperti come psicologi, psichiatri e psicoterapeuti, specialmente in ambito di separazioni conflittuali. In tal modo si riuscirebbero a prevenire comportamenti strumentalizzanti e alienanti nei confronti del minore che viene seguito e ascoltato”.
Intervento della dott. Iolanda Vassallo
“Salve a tutti sono la Psicologa e Criminologa Dott.ssa Iolanda Vassallo e intendo dedicare questo spazio al’ efferato omicidio della piccola Elena Del Pozzo, che ci ha lasciato tutti senza fiato, perché quando le mani che uccidono sono le stesse mani che accarezzavano, allora si che possiamo affermare che il male non ha provenienza , non ha identità, non ha genere . L’ assassina Martina Patti si fermò in auto vicino al campo in cui fu ritrovata poco dopo morta sua figlia Elena Del Pozzo , poi proprio quando in tenuta da jogging Martina Patti ripassò sotto le telecamere e resto’ nel campo circa 40 minuti , ecco che si condannava da sola perché in quei minuti Martina Patti stava preparando la buca in cui più tardi seppellì la sua stessa figlia . È davvero diabolico il gesto di questa madre , una madre narcisista e sadica , e a parer mio lucidissima e in ottime capacità di intendere e di volere , in quanto ha usato premeditazione durante la pianificazione dell’ omicidio che ha commesso . Spero e credo nella giustizia sia terrena che divina , perché ciò che dobbiamo impedire con i nostri interventi a riguardo di questo crudele omicidio , che non si ripetano più , che non ci siano più madri che per amor proprio , per egoismo e per narcisismo si vendicano contro i più deboli ed indifesi , in questo caso un proprio figlio , al quale figlio alla sua stessa nascita si era promesso protezione e amore , ed invece al posto di queste promesse invane prendono posto cattiveria e rabbia ingiustificate “. -Intervento dell’avvocato e dottoressa in psicologia Lucia di Bello, nonché autrice di pubblicazioni giuridiche, di opere monografiche e collettanee per riviste e case editrici di rilievo nazionale e relatrice in convegni su temi giuridici e sociali. “Nella naturale evoluzione del bambino condizioni di ansia, timori e momenti depressivi sono naturalmente presenti ma controllate e trasformate in presenza di valide relazioni familiari. L’esplosione di un intenso stato di conflitto e la rottura del legame tra i genitori fanno invece riemergere nel bambino, in modo patologico, ansie arcaiche, timori di abbandono, angosce persecutorie e depressive causate dalla mancanza di punti di riferimento chiari e rassicuranti.
L’elemento patologizzante non è la separazione in sé, ma il tipo e la qualità di relazione che, da sempre presente nella storia di queste coppie, emerge durante e a separazione avvenuta.
In termini psicologico-relazionali si tratta di processi che terminano molto dopo la definizione della
separazione in termini legali.
La domanda che ci poniamo abitualmente è se e quanto l’evento separazione-divorzio sia dannoso per i bambini e come questi esprimano il loro disagio. In alcuni studi riguardanti i figli di genitori separati, è stato evidenziato che il principale stress subìto si registra durante l’anno successivo alla separazione attraverso ridotta frequenza del sorriso, calo del rendimento scolastico, disturbi del ritmo sonno-veglia, riduzione della socializzazione.
Risultati più gravi emergono dagli studi clinici eseguiti abitualmente dagli psicoanalisti e dagli psicologi relazionali: lo stato di conflitto dei genitori porta ad un’evoluzione patologica della personalità del bambino con conseguente difficoltà a sviluppare relazioni intime.
Nelle separazioni conflittuali, i bambini sono oggettivamente a rischio di danno evolutivo perché sono strumentalizzati ai fini della separazione dei genitori e della richiesta di risarcimento, economico e psicologico, che ne deriva. Queste coppie tendono ad attuare una sorta di ‘sindrome da indennizzo’ ed utilizzano tutto quello che può essere messo in atto, compresi i bambini, per l’illusione della vittoria.
Per tali ragioni è fondamentale proteggere i minori dagli effetti che una esasperata conflittualità tra genitori separati può produrre sugli stessi. Recentemente un’ordinanza della Corte di Cassazione ha citato il ‘controverso fondamento scientifico della sindrome PAS (sindrome da alienazione genitoriale) cui le CTU hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche’. Senza entrare nel merito dell’eventuale esistenza, scientificità e definizione della cosiddetta PAS – operazione questa che spetta alla comunità scientifica internazionale – si intende sottolineare che l’esito di tale dibattito non dovrebbe in alcun modo essere utilizzato nel tentativo di negare l’esistenza di situazioni gravemente pregiudizievoli sullo sviluppo psichicoe relazionale dei minori coinvolti in procedimenti di separazione e/o affido”. -Intervento dell’avvocato Giulio Amandola, cassazionista e presidente dell’Osservatorio Giuridico Italiano. L’avvocato Amandola ha approfondito invece uno degli aspetti estremi della strumentalizzazione e cioè l’alienazione genitoriale. “ L’alienazione genitoriale: cenni storici ed evoluzione giurisprudenziale
Sempre più di frequente, al giorno d’oggi, assistiamo al fenomeno dell’alienazione genitoriale e
parentale, ovverossia il verificarsi ed il manifestarsi di episodi nei quali il genitore non collocatario subisce condotte ostruzionistiche da parte dell’altro genitore, con gravi ripercussioni anche nell’ambito dei figli.
Quante volte è capitato al genitore non collocatario di subire comportamenti ostruzionistici da parte dell’altro?
Sempre più di frequente.
Quante volte un bambino, vittima del genitore caratterialmente più forte, ha finito per distorcere negativamente la visione che aveva dell’altro, giungendo addirittura al punto da evitarne anche il
contatto?
Nello specifico, è pertanto determinante comprendere il significato di sindrome di alienazione parentale, e soprattutto cosa comporti la stessa.
La PAS, teoria utilizzata in genere per forzare l’affidamento a entrambi i genitori in caso di separazione dei coniugi, non è riconosciuta come un disturbo mentale dalla comunità scientifica ed è oggetto di dibattito politico e giuridico fin dalla sua prima elaborazione. Negli Stati Uniti – ed altrove – un dibattito a latere della PAS tentò di introdurre un concetto di nuova elaborazione, il disturbo da alienazione genitoriale o PAD, proposto da William Bernet al fine di agevolare – invano – l’accettazione della PAS nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM V).
In Italia, una Sentenza della Corte di Cassazione del 24 marzo 2022 esclude in via definitiva la caratteristica di ‘scientificitá’ della PAS, con esso stabilendo anche il principio che il benessere del
minore è prioritario alle istanze di affidamento congiunto, laddove non vi sia consenso dei genitori in tal senso.
In ambito psicologico, il concetto di PAS (Parental Alienation Syndrome, o sindrome di alienazione parentale) nasce nel 1985, allorquando il medico Richard Gardner lo coniò in merito alla situazione in cui uno dei genitori (cd. “alienante”) opera verso l’altro genitore (cd. “alienato”) una costante e reiterata dinamica denigratoria volta e finalizzata a ritenere dannosa e negativa la frequentazione del genitore alienato e della sua famiglia.
I figli coinvolti mostrano una posizione totalmente aderente a quella dell’alienante, finendo per disprezzare l’altro genitore, spesso identificato come la causa del male che affligge il genitore
collocatario. Contemporaneamente, il figlio instaura un legame patologico con il genitore alienante (che coincide nella maggioranza dei casi con la madre), spinto da una forte empatia che lo rende vittima di una manipolazione psicologica.
Il frutto e la conseguenza di tale comportamento è l’inquadramento del genitore alienante come la vittima cui prestare assistenza e con cui solidarizzare, e del genitore alienato come la figura crudele,
assente e negligente da cui allontanarsi.
In Italia, la sindrome di PAS è stata riconosciuta esistente da una pronunzia della Suprema Corte (Cass. Civ. 08.03.2013, n. 5847), per poi essere riconfermata qualche anno dopo in una ulteriore sentenza nella quale la Corte ha espresso il principio di diritto in virtù del quale tra i requisiti di responsabilità genitoriale figura anche la capacità di mantenere il legame con l’altro genitore, il tutto appunto a tutela dell’interesse e del diritto del figlio alla bigenitorialità (Cass. n. 6919 dell’08.04.2016).
La condotta del genitore collocatario o affidatario che allontani materialmente o moralmente il figlio
dall’altro genitore, e che dunque mantenga un comportamento alienante volto all’emarginazione e alla neutralizzazione dell’altro genitore, inoltre, è assolutamente incostituzionale; si sottolinea difatti, come la Corte Costituzionale si sia in più occasioni pronunziata in ordine all’importanza del principio della bigenitorialità, da intendersi quale ‘interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori’ (Corte Costituzionale, Sentenza del 23.02.2012, n. 31).
Tale condotta si concretizza assai di frequente nelle separazioni, ove spesso le madri collocatarie inducono i figli ad odiare apertamente il padre, distorcendo la reale visione che il figlio aveva dell’altro genitore, sino a convincerli a non voler più mantenere alcun rapporto con lo stesso. Così facendo, il genitore “succube”, spesso eccessivamente tollerante o addirittura impotente, viene spinto sempre più al margine della vita del figlio, sino a costituire una figura inesistente ed assente.
In contesti simili, è il Tribunale a giocare un ruolo fondamentale.
Ex multis, ad esempio, si richiama un caso che ha riguardato il Tribunale di Milano, ove la madre segnalava, attraverso un ricorso, l’assenza del padre, la sua negligenza nel rapporto con la figlia e la consequenziale reazione negativa da parte di quest’ultima. Dalla C. T. U., diversamente, emergeva una condotta succube e passiva della piccola, che aveva aderito totalmente e pedissequamente alla visione negativa e distruttiva della madre, senza alcuna possibilità di autodeterminarsi, finendo addirittura per distorcere la visione paterna. Il Tribunale di Milano aveva pertanto evidenziato come il comportamento alienante della madre avesse impedito il sano mantenimento della relazione tra la bimba ed il padre, compromettendola gravemente (Tribunale di Milano, Sez. IX Civile, dec. 09- 11.03.2017).
Analogamente, il Tribunale di Castrovillari (CS) si era pronunciato in seguito al lamentato allontanamento dei figli da parte del padre, a suo dire causati dal comportamento materno. Di importanza fondamentale, in quel caso, è stata la C. T. U., la quale aveva evidenziato il ‘significativo
condizionamento psicologico’ compiuto dalla madre nei confronti dei figli, al fine di sostituire la figura del padre con quella del suo attuale compagno. Il Tribunale, a seguito di un lungo iter, aveva
poi optato per l’affidamento esclusivo al padre, avendo constatato il comportamento ostruzionistico della madre, volto – immotivatamente – a plasmare il padre come una figura violenta e pericolosa. Tale condotta, quindi, certamente costituirà un comportamento illecito, potendo addirittura, nei casi più gravi, costituire reato. Potrebbe configurarsi, difatti, un illecito ai sensi dell’art. 333 del Codice Civile (rubricato “Condotta del genitore pregiudizievole ai figli”) o, nei casi più gravi, il reato di cui all’art. 574 del Codice Penale (“Sottrazione di persone incapaci”).
Tuttavia, è recentemente intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione, destinata a divenire storica, secondo la quale persino in presenza di condotte materne non eccelse si possano – e debbano
– considerare misure alternative all’allontanamento dei minori dalla madre, quali percorsi di recupero della capacità genitoriale tesi a rigenerare ‘il positivo rapporto di accudimento’ (Corte Cass., I Sez. Civile, n. 1321/2021 del 17 Maggio 2021).
In particolare, la Corte avrebbe precisato che ‘la Corte d’Appello di Venezia ha fatto riferimento a gravi ripercussioni ed effetti sulla minore, a condotte scellerate della madre senza indicarle o specificarle nonché ad un comportamento improntato a gravi carenze della genitorialità con volontà di estraniare la minore dal padre senza esplicitare quali siano stati gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psicofisico della minore e non considerando le conseguenze di una brusca sottrazione della minore alla madre’.
La sentenza appena citata, dunque, scardinerebbe completamente il principio di alienazione parentale, coniato e valorizzato dalla psicologia giuridica ma non gradito alla giurisprudenza (come visibile già dalle sentenze del 20.03.2013, n. 7041, e del 16.05.2019, n. 13274, che avevano stabilito come
l’affido esclusivo non potesse basarsi esclusivamente su una diagnosi di PAS); la Corte ha difatti specificato di dover escludere ‘possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare’.
Nella motivazione della sentenza, difatti, si cita il ‘controverso fondamento scientifico della sindrome PAS cui le C. T. U, hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche’. Si è dunque stigmatizzato il comportamento dei giudici che si siano totalmente affidati alle consulenze tecniche per predisporre l’affido esclusivo, senza concretamente valutare la
condotta materna.
Tuttavia, v’è un ulteriore punto della sentenza che merita di esser analizzato, oltre che per la sua importanza, per la relativa originalità. La Suprema Corte, difatti, ha seguito la pronunzia della Corte d’Appello di Venezia quale ‘espressione di una inammissibile valutazione di ‘taterpip’. Questa espressione, perlopiù ignota ai giuristi, risale alla dottrina tedesca del 1940 e designerebbe la
cd. ‘colpa d’autore’ ovvero quella che prevedeva una punizione per ciò che si era e non per ciò che si commetteva. Sembrerebbe, dunque, che l’alienazione parentale sia stata ritenuta così autoritaria e severa da esser paragonata addirittura ad una condotta nazista.
In conclusione, si rammenta come sia opportuno evitare di coartare gli interessi dei minori, che spesso vivono già silenziosamente il dramma della separazione dei genitori, evitando – se possibile – rapporti confliggenti tra gli stessi.
Qualora si ritenga di esser vittima di alienazione parentale da parte dell’ex coniuge, invece, è consigliabile appuntarsi ogni comportamento lesivo, raccogliere più testimonianze possibili e, se
necessario, rivolgersi ad un legale per far rispettare i provvedimenti del Tribunale in materia di affidamento. In ogni caso, è fondamentale un ascolto attivo del minore.
In ogni caso, al di là dell’avversione giurisprudenziale, è fuori discussione che il problema dell’alienazione parentale sia certamente esistente; tuttavia, siffatta sindrome potrebbe, di per sé sola, non esser sufficiente per basare un affido esclusivo, ma andrebbe in ogni caso e comunque contemperata con le effettive esigenze dei figli, e valutata pertanto caso per caso”.
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