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ECCO PERCHE’ CELESTINO V E’ NATO NEL CASTRUM SANCTI ANGELI DI RAVECANINA

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La Pro Loco Rupecanina, che ha preso il nome dal Castrum Sancti Angeli di Ravecanina o Rupecanina, da quando lo storico avvocato Domenico Caiazza ha consegnato alla storia i frutti delle sue ricerche scientifiche contenute nei volumi Il Segreto di San Pietro Celestino e Terra Laboris Felix Terra sul luogo di nascita di Pietro degli Angeleri, ha iniziato un’opera di supporto e di grande attività, limitatamente alle magre disponibilità di cassa ma con tutta l’anima e l’ardore che una associazione operante in favore del proprio luogo. Per l’affermazione della verità storica prima ancora che di campanile. Una grande verità stravolta col passare dei secoli da pressapochismo e dicerie che persone di vario genere, facendo leva sul ruolo che si sono attribuite di volta in volta nella società, si sono cimentate.
In questo opuscolo si vogliono riportare le indicazioni assolutamente scientifiche, speriamo in modo chiaro e concise, del Caiazza. Ciò perché i volumi di cui innanzi sono divenuti introvabili per essere stati donati sotto forma di gadget dalla Banca che ha provveduto a sponsorizzare la stampa trattenendosi la quasi totalità dei volumi medesimi, che giacciano, magari, in librerie domestiche dei correntisti che si sono trovati a passare in quella occasione dall’istituto di credito.
L’intera popolazione, quindi, non ha potuto prendere cognizione di tali studi se non per sentito dire. L’opuscolo vuole sopperire a ciò. Buona lettura.

Cos’è una bolla papale
A chi è rivolto e cosa riguarda questo importante documento pontificio.
La “bulla pontificia” o “bolla papale” è una comunicazione scritta emanata dalla Curia romana con il sigillo del Papa.
A differenza dell’enciclica, che è rivolta all’intera comunità dei fedeli, la bolla è diretta verso una sola persona.
In termini di contenuti, la bolla è, semplicemente, il formato in cui si presenta un decreto papale, in quanto può contenere qualsiasi argomento. Le bolle papali possono comprendere e affrontare temi quali: decreti statutari, nomine di vescovi, dispense, scomuniche, costituzioni apostoliche, canonizzazioni e varie convocazioni.
Solo per ricordare che, attualmente, la bolla è una comunicazione scritta in cui il papa definisce episscopusservusservorum Dei, quindi dotata di infallibilità.
Di bolle Celestino V, nel suo breve papato, ne ha scritte una discreta quantità ma solo poche sono sopravvissute all’ira di Bonifacio VIII, suo successore, che le fece distruggere meticolosamente. Di queste ne abbiamo trovate undici originali conservate in Archivio Segreto Vaticano, nel fondo Archivum Arcis che vanno dal 30 agosto al 17 novembre 1294, dirette a diversi monasteri celestiniani come quelli di S.Spirito a Maiella, S.Spirito del Morrone, S.Giovanni di Collimento, S.Cesidio di Caporciano, S.Spirito di Bucchianico, S.Maria di Trivento.
In questo breve scritto, vorremmo occuparci della Bolla di Canonizzazione, redatta da Clemente V a tredici anni dopo la morte nel momento in cui è stato nominato Santo, la Bolla del Perdono,poi, altrettanto famosa, scritta da Celestino stesso e donata alla città dell’Aquila una mese dopo la sua elezione al Soglio di Pietro, ogni anno, nei giorni 28 e 29 agosto, viene onorata portandola in solenne processione dalla Chiesa di San Bernardino all’Abbazia di Collemaggio (28 agosto), dove rimarrà in esposizione fino al giorno dopo per poi essere riportata, con altrettanto solenne processione, alla Chiesa di San Bernardino che riposerà fino all’anno successivo per poi andare avanti nei secoli.
La bolla di canonizzazione, ultima in ordine di tempo per essere stata scritta quando Celestino è stato nominato Santo, rappresenta il punto di partenza per quanto vogliamo precisare in ordine alla località che gli ha dato i natali. Che Celestino sia nato in un Castel Sant’Angelo, citato nella Bolla ed espressamente detto da vari soggetti come il Beato Roberto De La Salle, discepolo del Santo, che raccolse appunti per scriverne la vita; da un Anonimo che non molto tempo dopo, intendendo scrivere la vita di Celestino in una raccolta di vite di Santi, tramandata da un codice della Marciana di Venezia, il Liber Pontificalis, che conferma la nascita in Castel S.Angelo nel Reame del Regno di Napoli ed in Terra di Lavoro; la Vita et abitus beati Pedrus confessoris domini gloriosus de provincia Terre Laboris traxisse fertur originem ex honestis parentibus catolicis et devotis
La Bolla di CANONIZZAZIONE
Che per motivi di spazio, data l’esiguità del volumetto, riportiamo un passo già tradotta dal Tullio:
O quando sei fortunata, Provincia di Terra di Lavoro, che dai prova di aver saputo produrre un tale e tanto tralcio, germogliato dalla saldissima vite di Cristo, le cui propaggini con il profumo della loro mirabile santità si estendono diffusamente in ogni parte del mondo e dalle cui uve viene spremuto un vino che allieta i cuori dei devoti, e trascina e infiamma le menti degli uomini all’amore di Dio. Proprio per questa provincia di Terra di lavoro si tramanda che il beato Pietro abbia tratto la sua origine da genitori onesti, cattolici e devoti.
Altra traduzione
Quindi, dai riferimenti ufficiali di cui innanzi, risultano concorde le coordinate sul luogo di nascita: Regno di Napoli, provincia di Terra di Lavoro, Castel S.Angelo.
Ribadiamo, quindi, che la Bolla di Canonizzazione è stata scritta appena tredici anni dopo la morte allorquando Celestino è stato nominato Santo, quindi, con memoria fresca e ricordi e dati di fatto ben precisi.
Orbene, da questi iniziali dati scientifici, si parte con le ricerche del luogo di nascita del nostro Santo.
“Dunque, non nel Molise, ma nell’ambito di Terra di Lavoro, nome geografico che indica l’area corrispondente grosso modo alla provincia di Caserta e va attribuito in senso specifico al territorio compreso tra il Massico e l’orlo settentrionale dei Campi Flegrei, mentre in passato si riferiva anche alla parte pianeggiante della provincia di Napoli, dovrà ricercarsi un abitato chiamato nel XIII sec. Castel S.Angelo.” Una volta trovato, al fine di stabilirne l’autenticità, se sia riscontrabile un qualche elemento di connessione.
“E qui è il caso di premettere che si cercherà non tra gli innumerevoli siti appellati S.Angelo, grotte, fonti o cappelle medievali della Longobardia Minore, né tra le città, ma solo tra i centri abitati fortificati riconducibili alla categoria dei castra, termine questo del lessico amministrativo e giuridico indicante non una struttura difensiva medievale – il castellum – ma gli abitati autonomi non annoverati tra le città perché non abbelliti dell’onore vescovile.
Resta da ricordare che la nascita in Terra di Lavoro ed in S.Angelo di Ravecanina non è contraddetta dalle fonti che dicono pugliese il Santo. Infatti l’Alifano faceva parte del Ducato di Puglia, che fu una delle ripartizioni amministrative del Reame normanno.
La Terra di Lavoro e Contado del Molise furono sempre giustizierati autonomi anche se spesso governati dallo stesso Giustiziere. Confini di Terra di Lavoro.
La Terra di Lavoro nel XIII secolo comprendeva il territorio compreso tra il litorale tirrenico ed i distretti di Fondi, Ceprano, Sora, Atina, Cassino, Castiglione del Volturno, Venafro, Caiazzo, Capua, Caserta, Aversa.
Il Contado del Molise costituì sempre una provincia autonoma e nettamente distinta dalla Terra di Lavoro, sebbene per convenienza ed economia i Re di Napoli spesso affidavano allo stesso funzionario l’amministrazione dei due distretti.
Se, infatti, è vero quanto afferma il Masciotta che per tutti i periodi: svevo (almeno dal 1221 al 1266), angioino (1266 al 1422) e aragonese (1422-1501), il Contado del Molise fu tutto una cosa con il Giustizierato di Terra di Lavoro, la cui Corte Generale risiedeva in intervalli ora a Capua, ora a Napoli è altresì certo che i due distretti amministrativi rimasero sempre distinti e così, ad esempio, il Liber primis informationum et liquidationum bonorum pheudalium, Provinciarum Terre Laboris et Comitatus Molisii, anni 1448 ad 1534 già nell’intelaiatura distingue le due province. Altra prova della mancata fusione organica con la Terra di Lavoro è nel fatto che il Molise dagli anni 30 del 500 al 1807 fu aggregato alla Capitanata (distretto storico-culturale amministrato da un unico Giustiziere che, a sua volta, è un personaggio deputato alla amministrazione della giustizia in alcuni ordinamenti medievali).
Dunque è erronea la pretesa che studiosi molisani di fondere , o piuttosto confondere, le due province al fine di tentare di sostenere che nato in Terra di Lavoro equivalga a nato nel Molise.
Dovremo perciò restringere la ricerca alla sola Terra di Lavoro, che comprendeva anche Venafro e il distretto di Castellone al Volturno, ma escludeva pacificamente Isernia ed il resto del Molise.
Altra prova che le due province erano abbinate in persona del Giustiziare, ma distinti tra di loro, è in un antico documento ufficiale, coevo del santo, ed esattamente quello degli anni 1279-1280 con il quale Re Carlo accusa ricevuta al Giustiziero di Terra di Lavoro e Contado del Molise in cui sono notate tutte le terre di quelle province, tassate per le paghe delle milizie di un solo anno (Registri della Cancelleria Angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri, Napoli 1969. Vol.XXII, p.111 e 112).
Nell’atto, prezioso poiché elenca tutti i centri abitati- città, castelli, villaggi- esistenti e tassati nelle due province, vengono menzionati solo tre S.Angelo, distinti da appositi attributi, proprio ad evitare confusione. 1) S.Angelo di Rupe Canina; 2) S.Angelo in Tiodizio; 3) S.Angelo Limosano. Escluso, ma non solo per posizione geografica ma ci torneremo più innanzi, S.Angelo Limosano perché non sito in Terra di Lavoro, l’indagine deve restringersi agli abitati di S.Angelo di Rupe Canina, oggi S.Angelo Vecchio tra Raviscanina e Sant’Angelo d’Alife e S.Angelo a Teodice, presso Cassino.
In Terra di Lavoro furono solo due abitati detti Castel S.Angelo.
Abbiamo verificato se vi siano stati al tempo di Celestino altri castra detti S.Angelo in Terra di Lavoro. L’indagine negli indici dei Regesti della Cancelleria Angioina ed Aragonese ha dato esito negativo. Anche la Descrittione di Terra di Lavoro di Oreste Beltrano, dell’anno 1644, annovera tra gli abitati di Terra di Lavoro solo due S.Angelo:
S.Angelo Raviscanine e S.Angelo in Teodice.
La consultazione dell’elenco degli toponimi dell’Atlante Stradale d’Italia, Sud e del Dizionario di Toponomastica conferma che in Terra di Lavoro, esistono oggi solo le due località appena menzionate. E’ dunque tra questi due Comuni che va cercata la terra che vide venire alla luce il santo, poiché, in astratto, ambedue rispondono al requisito di essere in Terra di Lavoro e vitali quando nasceva il futuro papa. Tuttavia non va sottaciuto, che S. Angelo a Teodice, vicinissima a Cassino era parte organica della Terra di San Benedetto.
Nulla collega S.Angelo a Teodice o Montecassino a S.Pietro Celestino.
Noi pensiamo che S.Angelo a Teodice vada escluso poiché non ci è riuscito di rintracciare alcun legame tra questa terra ed il futuro santo. E’ questo, per vero, un argumentum ex silentio e quindi poco probante, ma può aggiungersi che questa località, compresa nella Terra di San Benedetto, non può aver dato i natali a Pietro per il fatto che alla puntuale tradizione cronachistica di Montecassino non sarebbe sfuggita la nascita in territorio abbadiale del santo che da Papa forzò l’adesione del monastero alla sua congregazione imponendo la mutazione dell’abito benedettino con quello dei celestini. L’asserzione, poi, di qualche studioso che il futuro papa avrebbe studiato a Montecassino, vicino a S.Angelo a Teodice, sembra inficiata dalla mancata citazione della fonte, mentre nel Monastero non vi è ricordo della frequentazione del Santo. E’ tramandato solo che nell’ottobre 1294 Papa Celestino V, in viaggio verso Napoli, si fermò a Montecassino: nei giorni forse tra il 18 e il 24. Forte della sua autorità pontificia, volle imporre anche in questo Monastero la sua riforma monastica, alla quale avevano già aderito, specie nell’Abruzzo, oltre una quarantina di comunità. Egli, infatti, aveva fondato la Congregazione dei Monaci di Monte Morrone nella quale pur nella generale aderenza del movimento alla regola benedettina, si manifestavano alcune divergenze e peculiarità, come un forte carattere penitenziale e pauperistico. Nelle chiese di questa nuova congregazione veniva escluso ogni ornamento superfluo , mentre per i monaci era stabilito un rozzo abito di lana bianco grigio con cappuccio e cocolla nera.
La nomina di Angelerio, monaco celestino, fatta dallo stesso papa come nuovo abate di Montecassino, la venuta di 50 monaci celestini e specialmente l’introduzione del nuovo abito religioso provocarono nella comunità cassinese aperta resistenza ed opposizione, anzi un buon gruppo di monaci abbandonò immediatamente il monastero (B.D’Onorio Monastiva IV , Montecassino 1084 p.192)
Perché, allora, S.Angelo Ravecanina oggi Raviscanina e S.Angelo d’Alife.
Non resta perciò che il comune nel medioevo detto Castrum S.Angeli Ravecanina, dal quale sono germinati l’abitato oggi denominato di S.Angelo d’Alife e quello adiacente di Raviscanina che, a seguito della divisione con Raviscanina, costituitasi in comune autonomo, ha perso la secolare denominazione ed assunta la nuovo con Regio Decreto del 22.1.1863.
Nel Medioevo S.Angelo era prima semplicemente detto Castrum S.Angeli derivando il nome da una grotta-santuario dell’Arcangelo sita alla base della collina e di epoca tardolongobarda nella quale ancora si conservano altari ed è vivo il culto. L’abitato in origine doveva sorgere nei pressi della Grotta, dove doveva essere anche un monastero poiché anni addietro sono stati visti affreschi altomedievali raffiguranti monaci, poi, al tempo dei primi Normanni si trasferì in cerca di sicurezza sulla cima del colle.
Del Castello di Ravecanina, dunque, evitiamo, in questa sede di addentrarci in cenni storici che ci porterebbero lontano dagli obiettivi che si prefigge questo lavoro, diciamo solo che Alessandro Telesino lo ricordò col nome di oppidum Sancti Angeli cognomento Rabicanum e fu usato da Rainulfo Conte di Alife, Airola, Caiazzo, Duca di Puglia come roccaforte nelle lotte contro Ruggero il Normanno.
A questo punto, dopo aver verificato che l’abitato di S.Angelo Vecchio, in pratica l’unico definibile Castrum Sancti Angeli in Terra di Lavoro, e abbastanza prossimo al Contado del Molise da poter essere scambiato per molisano (Sui confini in età longobarda e normanna tra la contea e diocesi di Alife e quelle di Venafro, Isernia e Boiano cfr.D.Caiazza, il territorio tra Matese e Volturno,-atti del convegno di Capriati a Volturno del 18/6/94) esisteva all’epoca della nascita di Pietro, deve investigarsi se vi sono altri elementi di collegamento tra lo stesso, il santo e magari Isernia, città nella quale questi abitò con i congiunti al punto da essere definito patria iserniensis e civis.
Per quello che può valere, può anzitutto osservarsi che l’ambiente, tuttora parcellato in campicelli di grano e pascoli e prossimo alle pasture del Matese somiglia a quello descritto dall’autobiografia di Pietro Celestino che fa escludere una nascita in un ambito urbano. Infatti si narra di miracoli connessi alla maturazione del grano, o incidenti causati alla resta del grano penetrate negli occhi, o di sogni di ambito pastorale come quello famoso sul destino del santo che la madre vide pastore di greggi, simbolo della sua futura condizione di pastore di anime.
Ma questi dati storico-naturalistici teoricamente potrebbero attagliarsi anche a S.Angelo in Teodice centro abitato anch’esso antico ma in alcun modo ricollegabile al santo, o ad Isernia. S.Angelo vecchio, invece, mostro evidenti collegamenti a Isernia.
Si noterà, anzitutto, che la massima parte delle menzioni duecentesche del Castrum Sancti Angeli deriva da documenti dell’insigne abbazia cistercense della Ferrara di Terra di Lavoro che sorgeva presso Vairano ed era assai prossima proprio a S.Angelo, sito appena oltre il Volturno, e vi aveva una grangia, anzi la sua prima e più cospicua grangia.
L’abbazia, oggi testimoniata solo da imponenti ruderi, fu fondata nel 1171 da un monaco di Fossanova, e fu un tempo assai potente godendo anche del favore dell’imperatore Federico II, che vi dimorò col suo seguito due volte: l’11 febbraio 1223 e nel settembre 1229. Tale abbazia aveva un’altra grangia sulla via di Isernia, ovvero quella di S.Spirito di Monteroduni, soprattutto possedeva cospicui beni in Isernia. Anzi, in questa città gli interessi e possessi della Ferrara, case, mulini, orti alberati e animali di allevamento, andavano così bene che il clero secolare insorse assalendo i beni abbaziali. Narra infatti il Cronista della Ferrara che Clerici (giovani studenti; chierici) che nella civile Isernia, probabilmente anche con il pretesto politico che la Ferrara era filo imperiale mentre il clero ubbidiva al papa o anche perché i clerici ritenevano che tanti beni venivano sottratti loro dall’Abbazia. Racconta l’ignoto ferrariense che ad Isernia si riunirono di notte parecchi malviventi in massima parte Clerici o sacerdoti secolari, nemici giurati per gelosia di mestiere , dei frati che toglievano loro molti ed i più lauti guadagni. Assalita la grancia, soggetta alla Ferrara, distrussero le case ed i molini, manomisero le bestie da lavoro, devastarono i campi, recisero gli alberi.
All’inizio del 2021 lo storico, prof. Elpidio Valeri, dell’Aquila ha pubblicato il suo ultimo lavoro su Celestino V ( Papa Celestino V – Storia di Pietro del Morrone – 1209/1296 che fu papa nel 1294 –Carsa Edizioni) dove espressamente a pagina 19 scrive testualmente argomentando con ampia bontà di documenti:
“Le notizie sulle sue origini sono scarse e incerte: si ignorano il luogo di nascita e dei suoi studi, della formazione culturale e religiosa, del noviziato e della professione. Fra le tante ipotesi formulate nei secoli, appare particolarmente convincente quella avanzata recentemente da Domenico Caiazza, secondo il quale Pietro Angeleri nacque, undicesimo di dodici figli maschi, in Terra di Lavoro, forse in S.Angelo di Ravecanina, presso Alife, tra il 1209 ed il 1210. Suo padre, Angelerio, era un ricco borghese, forse appaltatore degli interessi della vicina abbazia della Ferraria, e sua madre, Maria Leone, doveva essere di nobile origine: è indicata infatti col suo cognome, cosa che a quel tempo era riservata solo alle donne nobili. Per curare gli interessi dell’abbazia intorno al 1228, Angelerio si trasferì con la famiglia ad Isernia dove l’Abbazia possedeva ricche proprietà. In questa città Pietro abitò con i genitori , tanto da essere definito patria iserniensis e civis , e continuarono a risiedervi i suoi familiari. Studiò e fece il noviziato presso l’Abbazia di Santa Maria della Ferrara, in diocesi di Teano, vicina al castrum S.Angeli , sua patri di origine.Li apprese la regola cistercense e la devozione allo Spirito Santo e intorno al 1230 vestì l’abito.”
Tommaso da Sulmona, però, scrive:
“Tra l’altro, il santo padre prese un monastero allora diruto e quasi distrutto, che si chiamava S.Maria in Faifoli, esso si trovava nella provincia della quale egli era originario, e il cui abate a lui aveva concesso di indossare per la prima volta l’abito della santa religione.” (Vita C, par.15)
Può bastare questa unica affermazione, a cui si sono riportati tutti quelli che hanno scritto su Pietro degli Angeleri a stabilire il luogo di nascita con “La provincia di cui era originario?
La cancelleria vaticana poteva scrivere fesserie visto che ha materialmente scritto la Bolla di Canonizzazione nella quale ha citato il Castrum Sancti Angeli in Terra de Noe nel Reame di Napoli quale luogo di nascita?
E gli scritti del dr. Giuseppe Grossi da Avezzano e del dr. Giancaterino Gualtieri da S.Benedetto in Perillis sul punto che concordano con la tesi del Caiazzo.

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