Il grande inganno. Controstoria della Seconda Repubblica”, ultima fatica letteraria dell’ex ministro Paolo Cirino Pomicino
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“Il grande inganno. Controstoria della Seconda Repubblica”, ultima fatica letteraria dell’ex ministro Paolo Cirino Pomicino
Manfredi Bosco, Paolo Cirino Pomicino, Alfredo Pozzi, Prisco Zibella e Nicola Di Muro – Un convegno per le basi del casello dell’Autostrada a Santa Maria Capua Vetere –
«Segretario ad honorem di Rifondazione democristiana”: così Ferruccio de Bortoli
proclama “’O ministro” per eccellenza nella sua prefazione a Paolo Cirino Pomicino, “Il grande inganno. Controstoria della Seconda Repubblica”, edito da Lindau (presentato all’albergo Vesuvio: con l’autore Conchita Sannino, inviata di “Repubblica”, Federico Monga e Marco Demarco). Più fantasioso e favolistico l’autore si autodefinisce “Biancaneve”. Egli cerca di riunire, per cominciare una nuova vita, i Dc della Seconda Repubblica che “hanno messo in scena, catturati dal cancro del personalismo autoritario che ha colpito tutti i partiti, una grande compagnia di viaggio che vagabonda ora qua ora più in là, prima unita poi sempre più sparpagliata, composta da nani in cerca di una Biancaneve”.
L’ultima fatica letteraria di Geronimo – Paolo Cirino Pomicino, che ha già prodotto altre opere con questo pseudonimo, si compone di due parti: la prima, come recitano titolo e sottotitolo, è la demistificazione del “grande inganno” attraverso la “controstoria della Seconda Repubblica”; l’altra parte tende a gettare le basi per una “nuova politica”. Pomicino denuncia il complotto dei “poteri forti”, le nuove élite finanziarie, che hanno distrutto le élite politiche professionali: è “l’Italia dei vinti”, le oligarchie del capitalismo internazionale, che ha soppiantato “l’Italia dei vincitori”, quelli cioè che l’avevano creata dopo la guerra e la ricostruzione del paese, cioè democristiani, liberali, socialisti, repubblicani.
Franco La Manna, Mandredi Bosco e Pomicino
Il bilancio dei “traditori della democrazia italiana” nell’ultimo trentennio è, senza appello, negativo: uno “spaccato di follie” che vanno dalla svendita di eccellenze al capitalismo internazionale come Unicredit, alle privatizzazioni come “Autostrade per l’Italia”, ai processi infiniti e ai proscioglimenti tardivi. Il corollario è un attacco senza attenuanti al Pci e ai suoi eredi, al loro legame con i procuratori della Repubblica, grandi inquisitori dei politici, firmatari delle autorizzazioni a procedere per Scotti, Gava, Pomicino: i Melillo, i Roberti, i Mancuso che, secondo l’autore, hanno fatto tutti carriera.
“Il vecchio Pci ha minato la democrazia repubblicana”, scrive Pomicino. La sinistra comunista avrebbe frantumato lo Stato di diritto, si sarebbe mostrata subalterna alle élite finanziarie, avrebbe favorito la narrazione falsa della storia del paese e addirittura i depistaggi relativi alla trattativa Stato-mafia. I grandi banchieri della “borghesia azionista”, da Ciampi a Draghi, hanno surrogato la “scomparsa delle grandi élite politiche” dopo il 1993, anno che è all’origine del disastro italiano: “I signori del salotto buono del capitalismo eliminarono una classe dirigente autorevole, lasciando in vita le decime file e un pezzo della sinistra democristiana, la Base, fondata da Giovanni Marcora e sostenuta da Enrico Mattei negli anni ’50 del secolo scorso”.
Il progetto di Pomicino è quello di offrire al lettore “un’operazione di verità”. In realtà il risultato è ben altro. Le pagine non contengono nessuna autocritica sulla pratica politica del beniamino di Andreotti. Sono piuttosto un violento atto d’accusa fondato sulla sindrome complottista, che non rivela alcunché di controstorico, ma che indulge piuttosto a ipotesi inquietanti, prive di fondamento documentario, sulla trattativa Stato-mafia.
Certo lo stile è accattivante, il linguaggio è immediato, forse troppo, perché assai spesso sceglie il registro della dicotomia, dell’opposizione nero-bianco, piuttosto che quello dell’argomentazione. Il libro non è privo di alcune tesi condivisibili: l’analisi della frammentazione attuale del sistema politico italiano; la sua smisurata personalizzazione; i processi lunghi che, dopo il potere arbitrario di pubblici ministeri e sofferenze pesanti per gli inquisiti, si sono conclusi con la loro assoluzione; l’assenza di culture politiche capaci di sostituire quelle entrate in crisi.
La “pars construens” è assai debole. L’alternativa proposta da Pomicino è “una nuova rivoluzione borghese” in Italia contro l’aristocrazia della finanza e dell’informazione, trainata dal popolarismo cattolico, dalla massoneria (?), dall’alleanza fra imprenditori e sindacati. La proposta è quella di una Unione europea più forte, un nuovo ordine monetario, un nuovo pensiero. Assai più convincente è l’autore quando ricorda, alla fine, la sua solitudine, i contraccolpi umani e psicologici della sua vicenda giudiziaria conclusasi tardivamente con l’assoluzione. Soprattutto si apprezza la passione politica del Pomicino dalle sette vite, fatta di “pensiero e sentimento, prima che azione”.
Fonte: di Aurelio Musi da “La Repubblica” di sabato 14 maggio 22
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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