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Per ogni donna/Una storia vera di violenza domestica

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Salve a tutti i lettori di Belvederenews e  della rubrica “ Per ogni donna e …non solo”, diretta dal Professor Pasquale Vitale e curata dall’avvocato Giulio Amandola e dalla dottoressa Speranza Anzia Cardillo. Dedicheremo questo nostro appuntamento alla violenza psicologica, ai danni da questa procurati e ai rimedi da adottare in casi simili. Abbiamo preso lo spunto per trattare l’argomento sulla base di una storia raccontata da una nostra lettrice che ha illustrato particolari davvero raccapriccianti della sua relazione con un uomo che faceva di tutto per manipolarla .

Racconto della donna vittima di violenze psicologiche

“All’inizio della nostra storia sembrava un uomo dolce e dai modi garbati, ma l’incanto durò soltanto pochi mesi. Dopo un po’ di tempo, infatti, colui che sembrava affettuoso e presente si manifestò apertamente come un uomo ossessivo e malfidato. Chiamava continuamente per sapere dove fossi e con chi, non credendo mai alle mie parole. Poneva nella mia vita delle limitazioni come quella di non frequentare amiche e addirittura mi impediva di lavorare. Se mi spostavo dovevo dar prova dei luoghi o delle persone che avevo visto. Ogni volta che parlavo con lui dovevo fare una battaglia per riuscire a fargli capire che non poteva permettersi di vietarmi qualunque cosa e di costringermi ad isolarmi. Purtroppo tutto questo cominciò a gravare sulla mia serenità. Cominciavo ad avere dei disturbi, a dormire male, ad avere tachicardia, ad ingrassare o a piangere senza sosta. Sentivo la mia voglia di esprimermi e di comunicare con il resto del mondo, fortemente compromessa. La mia stessa personalità sembrava sacrificata in nome di un amore che era sempre più tossico e malato. Dopo circa un anno dall’inizio della nostra storia le persone che mi conoscevano già da prima avevamo ormai un lontano e sbiadito ricordo di me stessa. Sì, perché ormai ero una persona completamente diversa da quella che ero prima di conoscerlo. Fu allora che decisi di andare da uno specialista che mi aiutò a capire quanto questa persona e la storia che avevamo fossero dannose per me. Fu così che decisi di allontanarmi da lui e di porre rimedio, con una terapia appropriata, ai danni psicologici che mi aveva procurato”

Introduzione della dottoressa Speranza Cardillo

“La storia che abbiamo pubblicato oggi è quella di una donna che purtroppo ha sopportato per un certo periodo una serie di violenze psicologiche che l’hanno portata ad avere dei problemi tali da dover ricorrere ad un supporto di tipo psicologico. Riflettendo su questo punto, appare evidente che la vittima ha dato prova della consapevolezza della sua situazione quando ha ammesso di aver bisogno di un aiuto. Questo perché, evidentemente, già soltanto con i suoi sforzi e la sua volontà voleva uscire da questa forma di violenza. Anche se storie di questo tipo non si verificano raramente, fortunatamente sono molto più rare rispetto al passato, quando la soggezione all’uomo, in tanti contesti, era accettata in maniera passiva dalla donna. L’informazione che oggi esiste rispetto a tante forme di violenza rende le donne meno esposte al rischio di vivere storie al limite del paradossale come questa. Se davvero, poi, alcune di loro si dovessero trovare a vivere in questo modo, senza rendersi conto fino in fondo della propria situazione, per fortuna possono ricorrere a centri d’ascolto e sportelli di associazioni a tutela dei diritti delle donne, o ancora validi specialisti che diano un valido aiuto. Spesso, ad esempio, le associazioni che ho citato, offrono un aiuto a tutti i livelli. Non solo forniscono un’assistenza legale con la quale si cerca di reintegrare il danno, ma anche di tipo psicologico. Questo affinché la vittima di violenze psicologiche possa riacquistare la propria autostima e riprendere in mano la propria vita che si è vista sfuggire dalle mani poco a poco. Talvolta il percorso può essere lungo, altre volte più breve. In ogni caso, però, ci sarà sempre un percorso da affrontare per cercare di curare i danni causati da storie come quella che abbiamo reso nota.
Sul tema, abbiamo chiesto l’intervento della nostra cara Lucia di Bello, Avvocato e dottoressa in psicologia, autrice di pubblicazioni giuridiche, di opere monografiche e collettanee per riviste e case editrici di rilievo nazionale. Relatrice in convegni su temi giuridici e sociali.
Intervento dell’avvocato e dottoressa in psicologia Lucia di Bello.
“La violenza psicologica consiste in una serie di manipolazioni attuate attraverso azioni, parole, minacce, ricatti, intimidazioni ed alterazioni della verità, finalizzate a portare l’altro a fare qualcosa contro la propria volontà, ad assoggettarsi all’abusante, a perdere gradualmente la propria libertà ed il controllo della propria vita. In buona sostanza, il fine della violenza psicologica è il controllo, l’assoggettamento pressoché totale della volontà della vittima a quella dell’oppressore attraverso comportamenti che sembrano seguire un copione: apertura della fiducia e della progettualità attraverso il love bombing, graduale isolamento sociale e familiare, dipendenza economica, punizioni aleatorie, imprevedibilità degli scatti di rabbia, rinforzo intermittente, gaslighting, controllo (dei movimenti, delle frequentazioni, del vestiario e del comportamento, delle finanze, delle idee, del tempo, dello spazio fisico, della comunicazione ecc…). Più la vittima soffre a causa di tutto ciò, più è spaventata e sola “… più sarà tentata di attaccarsi all’unico rapporto che le è permesso: il rapporto con il persecutore. In assenza di ogni altro legame umano la vittima cercherà di trovare un po’ di umanità in chi la tiene prigioniera e inevitabilmente, in assenza di ogni altro punto di vista, essa arriverà persino a vedere il mondo attraverso gli occhi di lui” (J. Herman, Guarire dal trauma, pag. 111). Queste brucianti parole ci rendono con chiarezza il senso del legame apparentemente paradossale che spesso riscontriamo nelle relazioni abusanti.
Nel suo libro “Guarire dall’abuso nascosto”, l’autrice Shannon Thomas definisce la violenza psicologica un “abuso nascosto”, proprio perché le sue manifestazioni avvengono nella privatezza di una relazione di fiducia e sono difficilmente identificabili da attori esterni ad essa. Chi la perpetra, ci tiene a restare “pulito” ed integerrimo agli occhi degli altri, così da poter continuare ad agire indisturbato senza perdere l’appoggio della rete sociale.
L’autrice propone un percorso di guarigione in sei tappe che viene di seguito riportato, perché vi sia la spinta ad aprire gli occhi e a cercare aiuto, con la consapevolezza che si può “guarire”, chiamandosi fuori dalle dinamiche e relazioni malsane e imparando a prendersi cura di sé e delle proprie scelte.
PRIMO PASSO: DISPERAZIONE
Quando i sopravvissuti chiedono aiuto lo fanno perché hanno raggiunto un livello insostenibile di malessere psicologico e spesso anche fisico, con la comparsa o l’acuirsi di diversi sintomi organici quali cefalee, malattie
legate all’abbassamento delle difese immunitarie o malattie psicosomatiche.
Alcune di queste persone spesso neanche sanno di essere vittime di abuso psicologico e sono talmente sofferenti, confuse e disorientate da non saper più cosa fare né quale sia la vera causa di tanta sofferenza. Spesso arrivano con la richiesta di capire cosa non vada in loro perché la relazione non funziona, e cosa devono fare per far andar bene le cose. In questa fase la sofferenza è intensa, anche dal punto di vista fisico, e spesso le persone non hanno la forza di affrontare la realtà dell’abuso, non riconoscendolo; è in questa fase che l’autrice si trova a chiedere in modo molto diretto: “sceglierai te stesso o chi ti abusa?”, ricevendo come risposta spesso un “non lo so”, dovuto alla condizione di sudditanza e dolore provocato dalle relazioni tossiche. Il punto importante di questa prima fase è la consapevolezza della sofferenza, che porta a chiedere sostegno e aiuto.
SECONDO PASSO: EDUCARSI
L’abuso psicologico è un fenomeno subdolo e difficilmente identificabile, sia dall’interno che dall’esterno, soprattutto quando non se ne riconoscono le caratteristiche e le modalità. È dunque davvero difficile non solo rendersi conto di ciò che sta accadendo, ma anche narrarlo, descriverlo, dargli il giusto nome perché quando non abbiamo né parole né riferimenti concettuali per descrivere un fenomeno, è molto difficile sapere cosa sta succedendo e ancor più difficile raccontarlo.
A rendere le cose ancora più complicate e confuse, inoltre, sta il fatto che spesso all’esterno questa forma di
abuso è del tutto invisibile; anzi, chi lo perpetra, tende a dare di sé un’immagine molto gradevole e positiva cosicché familiari, amici e rete sociale non crederanno possibile che accadano le cose che la “vittima” racconta. Diventa molto importante quindi che avvenga una educazione su ciò che è l’abuso psicologico e sulle forme principali che assume nelle relazioni. Questa conoscenza passa inevitabilmente attraverso l’apprendimento dei termini giusti per riordinare e raccontare l’esperienza destabilizzante che si sta vivendo.
I concetti che l’autrice indica sono i seguenti: a) gaslighting: è un termine tratto dal titolo di un famoso film di George Cukor degli anni ’40, ed indica “quando un abusante orchestra situazioni tali da far dubitare la vittima della propria memoria e delle proprie percezioni” (S. Thomas, Guarire dall’abuso nascosto, pag. 76); b) campagna diffamatoria: finalizzata ad isolare la vittima dalla sua rete sociale screditando e denigrando la stessa in modo solitamente subdolo e indiretto; c) scimmie volanti: mutuato dal film “Il mago di Oz”, questo termine si riferisce a tutte quelle persone vicine all’abusante che, consapevolmente o inconsapevolmente, perpetrano il suo “gioco sporco” di denigrazione e discredito nei confronti dell’abusato; d) ferita narcisistica: quella che si rivela nel momento i cui gli abusanti (che l’autrice considera affetti da disturbi della personalità narcisistico e/o, antisociale o da psicopatia) subiscono un torto o un’offesa reagendo in maniera del tutto fuori misura. La considerazione della ferita narcisistica nell’abusante induce l’abusato, spesso per sua natura molto empatico e tollerante, a giustificarne i comportamenti offensivi e disfunzionali sulla base delle sue presunte difficoltà e della sua “ferita”. Un grosso errore questo, che porta a giustificare e tollerare comportamenti sempre più gravi e disfunzionali da parte dell’abusante, come se questi non fosse davvero consapevole del male che produce; e) rinforzo intermittente; f) fase di idealizzazione, svalutazione e scarto: le fasi che caratterizzano il ciclo dell’abuso nelle relazioni, in cui ad una prima fase di love bombing e idealizzazione seguono ciclicamente fasi di svalutazione profonda e infine scarto e chiusura brusca, e spesso violenta, della relazione.
TERZO PASSO: RISVEGLIO
È il momento in cui, forse per la prima volta, alla luce della consapevolezza di ciò che è accaduto davvero, si prova rabbia. L’abusato si concede finalmente di provare rabbia e disappunto, manifestando se stesso senza filtri al posto di quella sottomessa e sofferente “versione edulcorata (di se stessi ndr) per non offendere la fragile sensibilità degli abusanti” (S. Thomas, Guarire dall’abuso nascosto, pag. 95). A questo punto si smette di giustificare i comportamenti tossici dell’abusante e li si vede per quello che sono realmente: comportamenti
patologici, dannosi, inadeguati, inutilmente offensivi, fuori luogo e fonte di profondo dolore nella relazione. In questa fase è di fondamentale importanza avere del sostegno, da ricercare sia in una terapia individuale con qualcuno che sia ben a conoscenza di queste dinamiche, sia in gruppi di autoaiuto formati sul tema dell’abuso psicologico, che in letture specifiche.
QUARTO PASSO: PALETTI
Mettere paletti e stabilire sani confini interpersonali è il lavoro che caratterizza questa fase. Quello di imparare a definire e far rispettare sani confini interpersonali è un lavoro di fondamentale importanza per l’abusato, spesso molto difficile da fare poiché probabilmente questi non ha mai imparato a farlo, o ha smesso di farlo a causa di ciò che avveniva durante l’abuso. Mettere paletti significa stabilire la giusta distanza emotiva dall’abusante, che consenta di disintossicarsi dalle vecchie dinamiche velenose e di creare uno spazio
all’interno del quale ricostruire la propria fiducia in se stessi e nel mondo, la propria forza, entrare nuovamente in contatto con se stessi (con il dolore e le proprie ferite, ma anche con le proprie risorse) e re-imparare ad esprimere se stessi. In questa fase sono di fondamentale importanza le tecniche di no-contact o low- contact, che andranno valutate attentamente ed applicate con fermezza solamente dopo averne valutato le possibili conseguenze personali, lavorative e familiari.
QUINTO PASSO: RESTAURAZIONE
La fase della restaurazione prevede il recupero fisico, simbolico ed emotivo, di tutto ciò che è andato distrutto durante la relazione tossica: oggetti, salute fisica e psichica, forza interiore, ricordi, stabilità economica, progetti, e ogni altra perdita subita durante l’abuso. È una fase che può richiedere anche molto tempo e pazienza
e presuppone di aver attraversato le fasi precedenti. Ora è importante ricordare che le macerie che esistono dentro di noi (e a volte anche fuori) non devono diventare il mausoleo eterno della sofferenza vissuta ma un monito costante: che renda più attenti e rispettosi di se stessi, del proprio tempo, spazio, della propria dignità e dei propri bisogni e desideri. In questa fase si impara nuovamente ad avere cura di sé, a concedendosi ciò che piace e nutre profondamente: amicizie, vacanze, passatempi, letture e tutto ciò che può servire a ricostruire la propria vita. Probabilmente per molti andranno ricostruite anche le finanze laddove l’abusante abbia attaccato anche quelle. Ci vorrà del tempo. Occorre entrare nell’ottica di una ricostruzione graduale ma costante a partire dalle piccole cose, stando attenti a non cadere nel perfezionismo o nella pretesa di risolvere tutto subito. Occorre restaurare tutto ciò che è possibile, ma ci saranno oggetti che resteranno distrutti per sempre; in questo caso, la realistica accettazione di ciò che non può essere recuperato, sarà di aiuto per andare
avanti.
SESTO PASSO: MANTENIMENTO
Questa fase è la più lunga e quella che richiede maggior costanza e determinazione. Ora che è passata la tempesta e le acque si sono chetate, ora che sono state ricostruite un po’ di pace e di tranquillità, probabilmente si riaffacceranno le nostalgie, i ricordi piacevoli, i momenti belli trascorsi con l’abusante e il legame di affetto che legava a questi. Occorre restare saldi nei propri propositi e nel rispetto di tutto il lavoro che fino ad ora è stato faticosamente portato avanti. Quando i ricordi si riaffacciano con il loro carico di tristezza e nostalgia, bisogna pazientemente ricordare a se stessi tutto ciò che di brutto e spiacevole è accaduto: le denigrazioni, le svalutazioni, il dolore, la distanza emotiva, la solitudine e le perdite subite. Occorre tornare al centro, alla guida della propria vita. Imparare a scegliere persone, relazioni e attività sane, basate su rispetto di sé e reciprocità. Mantenere i paletti. Portare avanti la cura di sé. Coltivare la consapevolezza di ciò che è nutriente.

Video Dott. Amandola

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