TUTTI VOGLIONO L’AMNISTIA MA NESSUNO VUOLE APPARIRE…
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Ecco l’ultima furbata: Cartabia frena il Csm che la vuole criticare
La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, subissata di critiche degli addetti ai lavori per la riforma penale che garantirebbe l’impunità a mafiosi e corrotti (e non solo), ha fatto una mossa last minute ed è riuscita così a far saltare un dibattito di fuoco al plenum del Csm di mercoledì prossimo. Un appuntamento che l’avrebbe messa in grave difficoltà, dato che si sarebbe dovuto discutere e votare il parere-stroncatura licenziato due giorni fa dalla Sesta commissione del Consiglio. Proprio l’altroieri, il giorno in cui la Sesta ha deliberato la bocciatura della norma sulla prescrizione-improcedibilità, Cartabia ha sentito la necessità improvvisa di chiedere il parere del Consiglio “sull’intera” riforma penale: così, il presidente Sergio Mattarella ha deciso che, di fronte alla richiesta della Guardasigilli, non sarebbe stato istituzionalmente corretto inserire nell’ordine del giorno quel parere stilato solo sulla prescrizione-improcedibilità e non sull’intera riforma.
La mossa della ministra arriva nel momento in cui è ormai lampante che, non solo i togati, ma pure la maggioranza dei laici al Csm ritenga che la riforma sia dannosa. Diversi consiglieri in conversazioni fuori registrazione, bollano la richiesta di Cartabia come “evidentemente strumentale”, data la tempistica, avanzata solo per evitare critiche del Consiglio in giorni politicamente difficili.
Un fatto è certo, fino a giovedì la ministra aveva ignorato il Csm e dal ministero non era neppure arrivato il testo della riforma all’ufficio studi del Consiglio. Della richiesta della ministra, il presidente della Sesta, Fulvio Gigliotti, laico M5S, è stato informato quando ormai il parere era stato votato dalla commissione ed era già stato inoltrato, come da regolamento, al vicepresidente David Ermini, per chiedere al presidente Mattarella, l’unico titolato a firmare gli ordini del giorno (come capo del Csm), di inserirlo in quello di mercoledì.
Ed è Ermini, con una nota, a riportare la decisione di Mattarella e la sua motivazione, dopo la mossa della ministra che spera, nel frattempo, in un accordo politico: “È necessario – motiva il rinvio Mattarella – che il Consiglio non ometta di esprimersi su tutti gli aspetti della proposta del governo, circostanza che potrebbe assumere il significato di valutazione di ridotta importanza o di implicito consenso su tutti gli altri temi non trattati nel parere sull’improcedibilità” e quindi, riferisce sempre Ermini, il presidente ha ritenuto opportuno che “sia posticipata, anche solo di pochi giorni” la discussione in plenum.
In realtà, nel parere della Sesta si specificava che i consiglieri, per motivi di tempo (data la stretta agenda parlamentare) si erano concentrati sulla questione più urgente, la norma che mette a rischio migliaia di processi: sul resto della riforma ci sarebbero tornati. Inoltre – spiegano dal Csm – in plenum ci sarebbero stati consiglieri che avrebbero presentato emendamenti su altri punti critici, come le linee generali ai pm dettate dal Parlamento.
Sul rinvio del plenum interviene Eugenio Albamonte, segretario di Area, la corrente progressista delle toghe: “Trovo singolare che proprio nel momento nel quale il ministro annuncia che la riforma del processo penale verrà votata con la fiducia e sostanzialmente l’Aula sarà privata della possibilità di fare emendamenti, si impedisca o comunque si ritardi un parere del Csm che era già pronto e poteva essere votato velocemente offrendo il contributo che il Csm istituzionalmente è tenuto a rendere al governo e al Parlamento su riforme che riguardano il funzionamento della giustizia”. I consiglieri, comunque, sono tutti d’accordo che ora più che mai questo plenum “s’ha da fare”, anche a costo di fissarne uno straordinario ai primi di agosto. Ma chissà se ormai sarà fuori tempo massimo.
In ogni caso, martedì pomeriggio c’è un plenum straordinario sul parere che riguarda la riforma civile: in quell’occasione non è detto che alcuni consiglieri non vogliano dire la loro anche sulle norme del processo penale su
Giustizia, così si lasciano impuniti i colletti bianchi
Il progetto della ministra Marta Cartabia di revisione del processo penale ha indotto taluni esponenti della politica e della magistratura a chiedere di associarlo a un’amnistia che liberi gli uffici giudiziari dalla zavorra di un arretrato insostenibile, a pena altrimenti dell’insuccesso della riforma.
Nulla di nuovo né di scandaloso. Anche l’ultima amnistia, risalente al 1990, era stata concessa poco dopo l’entrata in vigore del codice Pisapia del 1989 per fare partire il nuovo rito senza il carico dei procedimenti allora pendenti. La sicumera che da allora in poi tutto sarebbe andato per il meglio e i processi si sarebbero celebrati in tempi ragionevoli aveva poi indotto nel 1992 a modificare la Costituzione, prevedendo che l’amnistia sia deliberata dal Parlamento con la maggioranza qualificata di due terzi dei suoi componenti, per rendere più difficile il ricorso a un istituto che per sua natura dovrebbe essere eccezionale e non finalizzato a svuotare le carceri o gli armadi dai fascicoli arretrati. Oggi, però, con un governo che gode del sostegno di un ampio arco di forze politiche, la maggioranza parlamentare dei due terzi potrebbe essere raggiunta.
Gli appelli levatisi a favore di un’amnistia non mirano a “colpi di spugna” generalizzati che assicurino l’impunità ai grandi criminali, perché essa dovrebbe avere a oggetto i reati con un limite massimo di pena di quattro/cinque anni di reclusione, con l’aggiunta – come è avvenuto anche in passato – di altri reati minori specificamente indicati e l’esclusione di quelli socialmente più invisi. In questo modo, pubblici ministeri e giudici potrebbero ricominciare a concentrarsi nella repressione dei delitti di maggiore spessore, senza disperdere energie inseguendo illeciti destinati a sicura prescrizione. Però, al di là delle buone intenzioni, c’è il rischio che si cancellino, insieme a episodi di microcriminalità datati e che destano poco allarme sociale, fatti di reato gravi che meritano invece di essere perseguiti anche a distanza di tempo. Per evitare che l’amnistia diventi lo strumento per lasciare indenni comportamenti altamente lesivi, occorre infatti una attenta selezione degli illeciti, ma questa operazione appare oggi molto complicata perché il nostro sistema repressivo ha perso ogni razionalità. Per inseguire il consenso popolare, da anni si assiste a inutili duplicazioni di figure criminose, alla introduzione di nuovi reati e, soprattutto, a un continuo rialzo dei minimi e dei massimi edittali che ha interessato sia molti tradizionali delitti dei “colletti bianchi” prima sottostimati, come quelli fiscali e contro la Pubblica amministrazione, sia i reati di strada, rispetto ai quali le sanzioni paiono abnormi. Il risultato è che le pene sono sempre più livellate verso l’alto e che la loro entità spesso non è significativa della obiettiva gravità dell’illecito.
Queste degenerazioni della politica criminale incidono negativamente anche sulla prospettiva di un diverso modello di giustizia penale, non più incentrata sulla reclusione ma maggiormente articolata e orientata al recupero del reo. A fronte di un sistema sanzionatorio squilibrato, un ampliamento del ventaglio e della sfera di applicazione delle misure alternative alle pene detentive, da comminare in caso di condanne contenute entro certi limiti, non farebbe che accentuare le disparità già attualmente esistenti fra le tipologie di delinquenti: coloro per i quali il carcere costituisce l’approdo pressoché obbligato e quelli che in qualche modo se la cavano sempre.
Per decongestionare tribunali e strutture penitenziarie, molto più utile sarebbe allora, oltre a snellire le regole processuali, procedere a una coraggiosa e complessiva opera di revisione che riconduca le pene alla effettiva offensività dei reati, mantenendole alte per chi attenta ai beni collettivi e ridimensionandole per quei fatti che ledono interessi patrimoniali individuali di modico valore. Altrimenti a finire dietro le sbarre, amnistia o meno, saranno i soliti noti.
*Sostituto procuratore
della Repubblica a Torino
Elisa Pazé*
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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