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PER SEMPLIFICARE COMPLICANO TUTTO/ARRESTATO IL CAPO DELLA BANDA DEGLI ONESTI/

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Ecco la task force per semplificare le leggi: è l’ottava…

Ecco la task force per semplificare le leggi: è l’ottava…

Sarà a Chigi, dove ce n’è già una. Il decreto alla Camera

Semplificare, semplificare tutto: d’altronde arriva il Piano di ripresa e non vuoi semplificare? E siccome la prima semplificazione è quella che riguarda la qualità delle leggi non si può che salutare con enorme piacere l’istituzione – all’articolo 5 del decreto non a caso intitolato alle Semplificazioni – della Unità di missione per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione e Ufficio per la semplificazione che aiuterà nell’arduo compito di rendere scorrevole l’attuazione del Pnrr il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi, per gli amici Dagl.

Una splendida idea davvero, degna di un quasi premio Nobel come il ministro Renato Brunetta, di un giurista di vaglia come il sottosegretario alla presidenza Roberto Garofoli, a non dire del dante causa Mario Draghi, che non ha bisogno di presentazioni: per 400mila euro l’anno è un affare, diciamolo.

Ecco, forse l’unica pecca è che l’idea è splendida, ma non proprio originale, tanto è vero che era venuta in mente a qualcuno già sette volte, l’ultima nel 2019: questo sarà dunque l’ottavo ente che dovrà elaborare “proposte per superare le disfunzioni derivanti dalla normativa vigente e dalle relative misure attuative, al fine di garantire maggiore coerenza ed efficacia della normazione”, oltre a “curare l’elaborazione di un programma di azioni prioritarie ai fini della razionalizzazione e revisione normativa”, il che – va detto – non è un gran complimento per gli altri sette, che pure non vengono abrogati.

L’elenco è, a suo modo, istruttivo della via italiana alla semplificazione. Ad esempio al ministero della Funzione pubblica esiste, da anni, una bella direzione generale detta Ufficio per la semplificazione e la sburocratizzazione e che dunque si occupa di garantire l’efficacia e la qualità della normazione, potendo peraltro avvalersi di due servizi dirigenziali di seconda fascia: uno si occupa di “Semplificazione, misurazione e relazioni coi cittadini”, l’altro di “Rafforzamento della capacità amministrativa in materia di semplificazione, la semplificazione (sic) e la standardizzazione delle procedure”.

Se Brunetta, però, trovasse che questi tre organismi non semplificano abbastanza, potrebbe rivolgersi a un quarto ente del suo dicastero: esiste infatti una Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione, istituita dal decreto 181/2006, costituita da ben 4 dirigenti, anche esterni alla pubblica amministrazione, da sei dipendenti di supporto tecnico-amministrativo e dotata di un Comitato dei Garanti di cinque membri, tutti semplificatori di vaglia. Com’è evidente, però, mica si può semplificare solo alla Funzione pubblica e per questo il decreto 4/2006 ha istituito il Comitato interministeriale per l’indirizzo e la guida strategica delle politiche di semplificazione e di qualità della regolazione, che viene nominato con apposito Dpcm dall’inquilino pro tempore di Palazzo Chigi e fa le stesse identiche cose che dovrà fare l’unità di missione appena creata.

Per chi si fosse perso, siamo a cinque strutture di semplificatori della legislazione, ma non è finita. A Palazzo Chigi, dove è in arrivo la nuova struttura, opera già il Dipartimento per la programmazione economica. Dirà il lettore: e che c’entra? C’entra perché, dal 2008, a supporto di quel dipartimento è operativo il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, nel cui ambito – per supportare proprio il mitico Dagl – opera un Pool di esperti in materia di qualità della regolazione: ora si raddoppia perché in tema di semplificazioni, è fatto noto, è sempre meglio abbondare.

Uno potrebbe domandarsi: ma non è che il problema sarà che questi pool poi non vanno sul concreto? Niente paura, perché il penultimo arrivato, il settimo organismo, parto geniale del governo Conte-1 nel 2019, è nato proprio per risolvere questo problema: è il Nucleo delle azioni concrete di miglioramento dell’efficienza amministrativa, denominato con tipica inventiva grillina “Nucleo della Concretezza” e composto da 53 unità di personale (tra cui 1 dg e 2 dirigenti di seconda fascia). Compito: redigere un “Piano triennale delle azioni concrete per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni” e per “garantire la corretta applicazione della normativa”. E dove sta? Ma sempre alla Funzione pubblica, ovviamente, per evitare che gli altri quattro si sentano soli.

Ora, come detto, arriva l’ottavo nucleo, il secondo a Palazzo Chigi, che di certo risolverà il problema una volta per tutte essendo diretta emanazione di Mario Draghi, il cui tocco – com’era per certi re medievali – guarisce dalla scrofola e dalla burocrazia. Se non funziona neanche stavolta, c’è comunque sempre tempo a crearne un nono, un decimo e via semplificando…

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Politici&toghe Ecco la rete del “sistema Amara”

Politici&toghe Ecco la rete del “sistema Amara”

“Per gli amici i favori, per gli altri la legge”, sintetizza il gip di Potenza, autorizzando l’arresto di Piero Amara, del suo complice Filippo Paradiso e disponendo l’obbligo di dimora per l’ex procuratore di Taranto, Carlo Capristo. E ad applicare il sistema binario dei “favori” e della “legge” era proprio Capristo per il quale, sponsorizzando la sua nomina a Taranto, Amara e Paradiso si erano spesi parecchio. Per comprendere la pervasività e la pericolosità del “sistema” Amara – e anche la capacità della magistratura di sfoderare i suoi anticorpi – la lettura dell’ordinanza d’arresto è senza dubbio illuminante. Amara, ex legale esterno dell’Eni e anche dell’Ilva, l’uomo che ha rivelato alla Procura di Milano l’esistenza di una (per ora presunta) loggia massonica coperta denominata “Ungheria”, dedita a inquinare l’attività della magistratura e condizionarne le nomine, ieri è stato arrestato con l’accusa (ancora una volta) di corruzione in atti giudiziari. Il magistrato corrotto, secondo l’accusa, è Capristo, la cui nomina a Taranto fu sponsorizzata da Amara e Paradiso, funzionario del ministero dell’Interno dedito a “curare, previa retribuzione, le relazioni pubbliche di Amara” (con il suo stipendio ministeriale ha un “conto gestione da 2 milioni di euro”).

Secondo l’accusa “Paradiso” aveva “una vasta rete di conoscenze e amicizie” in “ambito politico e istituzionale, anche di altissimo livello, che spaziavano dalla Presidenza del Senato (Elisabetta Casellati, ndr), ad appartenenti alla Carnera dei deputati, da ministri (fra cui l’onorevole Francesco Boccia) ed ex ministri, congiunti di importanti politici, imprenditori di rilievo (…) e molteplici conoscenze nel mondo della magistratura e dei servizi di sicurezza e informazione”. Un dato “neutro”, secondo il gip, ma “importante tassello del mosaico indiziario”. Nella sponsorizzazione di Capristo viene coinvolto anche Boccia (non indagato, ndr) che interrogato spiega: “…mi venne richiesto da Capristo o forse da Paradiso di avere informazioni sulla procedura di nomina da parte del Csm per il Procuratore di Taranto (…) . Chiesi informazioni a Paola Balducci” dalla quale “appresi che Capristo era uno dei papabili per la nomina. Ben mi sono guardato (…) di fare pressioni o altro (…)”. Il gip chiosa che “la richiesta di Boccia a Balducci, pur non consistita in pressioni, era essa stessa manifestazione della circostanza che Boccia potesse essere persona vicina al Capristo e quindi ne appoggiasse la nomina…”. Paradiso conosce bene anche l’ex consigliera del Csm Casellati. “Fu Gianni Letta a chiedermi se potevo accoglierlo nel mio staff”, spiega la presidente del Senato interrogata come persona informata sui fatti, che però precisa di non aver mai interloquito con il funzionario sulla nomina di Capristo e ieri ha smentito di aver mai incontrato Amara. Persino Luca Palamara, il ras delle nomine, si trova “schiacciato” nella nomina di Capristo a Taranto. Il gip menziona un suo scambio di chat con il collega del Csm Francesco Cananzi: “I due commentano (…) la figura di Capristo di cui si direbbero ‘cose pessime’ e Palamara proseguendo scrive: “Purtroppo troppe cose mi hanno schiacciato”. Il sistema “Amara – Paradiso” è in grado di “schiacciare” il sistema Palamara.

Ma c’è molto di più. Il procuratore Curcio svela in che modo Amara, collaborando a rate con le procure di mezza Italia, è riuscito sinora a ottenere patteggiamenti e, nello stesso tempo, ha potuto continuare a tutelare i propri interessi. L’indagine di Potenza riprende una vicenda che i lettori del Fatto Quotidiano conoscono bene: il fascicolo farlocco sul (falso) complotto ai danni dell’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, istruito a Siracusa nel 2016 dal pm Giancarlo Longo (condannato, con Amara, per corruzione in atti giudiziari). Descalzi “all’epoca – scrive la procura era implicato in un’indagine per corruzione internazionale coordinata dalla Procura di Milano” (dalla quale è stato assolto in primo grado). Il fascicolo sul finto complotto – continua l’accusa – aveva lo scopo di “depistare le indagini milanesi”. Il primo magistrato a occuparsi della vicenda non fu Longo, ma proprio Capristo, a Trani, sulla base di un esposto anonimo nato proprio da Amara. Poi Longo chiede a Capristo di inviargli gli atti. E Capristo glieli invia. Secondo Longo la trasmissione degli atti era legata a un obiettivo di Capristo. Longo, che dice di averlo saputo da Giuseppe Calafiore, avvocato e socio di Amara, spiega che Capristo era “molto interessato al posto di Procuratore Generale di Firenze. Verdini aveva un problema processuale lì. Calafiore mi dice che Capristo avrebbe fatto questa attività di trasmissione in cambio della sua nomina a Procuratore Generale di Firenze dove si sarebbe occupato dei problemi di Verdini”. E il gip aggiunge: “Si tratta di vicenda che, all’epoca, si fondava sulle sole parole di Calafiore ma che è stata puntualmente riscontrata da questo Ufficio con la acquisizione di inequivoci messaggi”.

Torniamo ad Amara: l’avvocato confessa il proprio ruolo dinanzi alla Procura di Messina. Ma Curcio scopre che ha “inquinato la ricerca della verità processuale”: non ha riferito della consegna del plico a mano, in procura di Trani, e l’ha fatto “per evitare che (…) sulla base delle sue stesse dichiarazioni, si arrivasse a illuminare i suoi rapporti con persone (…) inserite in contesti relazionali e politici, in posizioni di potere particolarmente significative…” Quali? A parte Paradiso e Capristo, il gip cita “la struttura commissariale dell’llva” con la quale Amara “aveva rapporti intensi” e altri soggetti “non indagati in questo procedimento” ma “componenti” della “rete di relazioni” utilizzata “per sponsorizzare (…) in vista di incarichi e favori (…) e per raggiungere scopi propri o dei propri clienti”. Il gip menziona “Denis Verdini, Luca Lotti, Andrea Bacci (imprenditore vicino alla famiglia Renzi), Luca Palamara e Cosimo Ferri. Dagli atti si scopre che, per un caso fortuito, riesce anche a conoscere Tiziano Renzi, papà di Matteo, che gli viene occasionalmente presentato in un bar.

Sponsor al Csm: peggio del caso Palamara

Lo scenario emerso dall’inchiesta di Potenza è persino peggiore di quello rivelato dall’indagine perugina su Luca Palamara. E ancora una volta è necessario far luce sul rapporto distorto tra politica e magistratura. La notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 Palamara viene sorpreso a discutere del futuro della procura di Roma con Luca Lotti e Cosimo Ferri. Entrambi erano all’epoca parlamentari del Pd (il primo imputato di favoreggiamento e rivelazione del segreto, proprio a Roma, nel processo Consip) e non avevano titolo (peraltro neanche Palamara era più al Csm) per discutere della nomina di Marcello Viola, procuratore generale di Firenze, alla guida di piazzale Clodio. Le indagini hanno dimostrato che Viola nulla sapeva delle strategie di Palamara, Lotti e Ferri, e ne fu addirittura danneggiato. L’inchiesta condotta dal procuratore di Potenza Francesco Curcio sulla nomina a Taranto di Carlo Maria Capristo dimostra cosa può accadere – secondo l’accusa: corruzione e favori nella conduzione stessa delle indagini, condotte in nome di Piero Amara, invece che del popolo italiano – quando un procuratore deve la sua nomina a qualcuno (e non al rispetto delle norme). Anche nel caso di Capristo c’è un politico che si interessa alla sua nomina. Si chiama Francesco Boccia (Pd, ex ministro degli Affari Regionali fino al febbraio scorso). Lo ha fatto – spiega Boccia interrogato – su invito del funzionario del Viminale Filippo Paradiso oppure (non ricorda bene) dello stesso Capristo. Ma non fece pressioni, puntualizza. E ci mancherebbe. S’informò soltanto, attraverso la consigliera del Csm Paola Balducci, che gli rispose: Capristo è tra i papabili. Il gip negli atti spiega l’ovvio: lo stesso interessamento dimostra che Boccia era vicino a Capristo e che, quindi, “ne appoggiasse la nomina”. Aggiungiamo che Boccia non aveva alcun titolo né interesse a informarsi sulla nomina di Capristo. A maggior ragione, possiamo dirlo oggi, a giudicare dal risultato.

FONTE :

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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