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Abolita la pena di morte, l’ergastolo rimane in vigore nel nostro sistema giudiziario. Solo che non viene scontato per intero, perché la Costituzione prevede che la sua funzione sia quella di rieducare: termine un po’ moraleggiante che i giuristi moderni tendono a interpretare in senso laico, come reinserimento nella società.

A scontare per intero l’ergastolo sono solo i condannati per alcuni reati gravissimi (come mafia e terrorismo): in questo caso l’ergastolo si chiama perpetuo o ostativo (ci torniamo sotto).

Fine pena mai, a meno che non collaborino. Non basta un pentimento (altro termine di natura etica, usato giornalisticamente ma fuorviante): serve che forniscano ai magistrati elementi utili per far luce sulle indagini. È il caso di Brusca. Lo hanno ricordato in molti, compresa la sorella di Giovanni Falcone, Maria: «È la legge che ha voluto mio fratello e va rispettata».

Il riepilogo può essere utile a Paola Taverna, la pasionaria dei 5 Stelle, che nonostante da tempo abbia abbandonato le terzine borgatare in romanesco per riconvertirsi in donna delle istituzioni, conferma una sua frase geniale usata qualche annetto fa, per sentirsi più affine al popolo: “Ahò, io nun so’ un politico”. La sua reazione a caldo sulla questione Brusca è questa: «La sua liberazione è una vergogna senza pari, un insulto alla memoria di chi è caduto per difendere lo Stato. Serve subito una nuova legge sull’ergastolo ostativo. Nessun passo indietro davanti alla Mafia».

Non si capisce cosa c’entri l’ergastolo ostativo, visto che la collaborazione lo ha fatto uscire da questa fattispecie. A meno che la vicepresidente del Senato non voglia riconfermare il fine pena mai anche per i collaboratori di giustizia. Che in quel caso, naturalmente, smetterebbero di collaborare. E la mafia (minuscolo, senatrice) farebbe un passo avanti. Lo hanno spiegato perfino i suoi colleghi nella Commissione Antimafia, pur ribadendo il no all’ergastolo ostativo. Poi, certo, Nicola Morra, che è il presidente della Commissione in quota M5S (anche se va spesso per conto suo) alla Stampa racconta una posizione ancora diversa, una sorta di terza via: vanno bene i vantaggi concessi in caso di collaborazione, ma non devono essere «assoluti».

Ma eccoci alla questione ergastolo ostativo. Di Lello la inquadra giuridicamente. Il «fine pena mai» contrasta con l’articolo 27 della Costituzione. Che non solo spiega come le pene debbano avere come fine la «rieducazione». Ma anche che non possono consistere «in trattamenti contrari al senso di umanità». Tanto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito la norma non conforme alla Convenzione. E la Corte costituzionale è intervenuta per dichiarare l’incostituzionalità “condizionata” dell’ergastolo ostativo. Dando un anno di tempo al legislatore italiano per intervenire.

Come? A sentire gli umori, i parlamentari non sembrano intenzionati ad adeguarsi. Il magistrato Nino Di Matteo, consigliere del Csm, ha spiegato che la decisione della Corte che boccia l’ergastolo ostativo è in consonanza con le richieste del famoso «papello» di Riina. Commenta Di Lello: «Un quasi concorso esterno in trattativa dei giudici di Strasburgo e della Corte Costituzionale?».

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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