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CANE NON MORDE CANE: Il Csm salva dal trasferimento il magistrato denunciato dalla moglie per lesioni

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Nel giorno in cui il vicepresidente David Ermini invoca «una incisiva riforma», il Csm inscena un altro psicodramma. Sempre sulle pratiche di trasferimento per incompatibilità ambientale istruite in punta di scimitarra dalla prima commissione, ormai diventata il Checkpoint Pasta di quello che è pur sempre l’organo di governo autonomo della magistratura, benché ridotto negli ultimi due anni – Ermini dixit – a «palcoscenico mediatico della sua decadenza etica».

Il caso del giorno è quello del sostituto procuratore di Cassazione, Mario Fresa. Un magistrato sconosciuto al grande pubblico, ma di prim’ordine per diverse ragioni. Esponente storico della corrente Movimenti per la Giustizia poi confluita nel cartello progressista Area, ex membro del Csm, ex dirigente dell’Anm, in Cassazione nel pool che si occupava dei procedimenti disciplinari a carico degli altri magistrati. Tra gli ultimi, quello contro il pm napoletano Henry John Woodcock per la gestione dell’inchiesta Consip.

La fama di acuto e inflessibile accusatore, cristallizzata da non simpatizzanti colleghi del Palazzaccio nel soprannome «Torquemada del disciplinare», sfonda il muro della cronaca un anno fa. Quando il suo nome finisce sulle pagine dei giornali per motivi non legati alla toga. Una sera di marzo, la moglie Sarah Urbanetz finisce in ambulanza in ospedale. Ferite ed ematomi, dice il referto: una settimana di prognosi. Denuncia di essere stata picchiata da lui, va via di casa e si rifugia a Viterbo, dalla madre.

Tra fogliettone e cronaca nera, la storia, ça va sans dire, è ghiotta. L’alto magistrato. La bella e giovane moglie (tra i due ci sono 27 anni di differenza) che insegna ricette brasiliane su YouTube. La denuncia per lesioni. Il selfie con l’occhio pesto. Il soccorso di una vicina di casa. L’assistenza di un centro anti-violenza. L’inchiesta della Procura di Roma.

«È stato un incidente domestico», si difende Fresa, secondo cui il colpo allo zigomo della moglie non era un cazzotto, ma l’esito involontario di un tentativo di recuperare il cellulare che lei aveva impugnato a caccia di prove di un presunto tradimento. Perché, inesorabilmente, la storia riserva il retrogusto piccante dell’apparizione, prima giudiziaria poi mediatica, di un’altra donna. Brasiliana, giovane, bella, amica della coppia. E «rivale». Che finisce nei verbali, riportati dal quotidiano “La Verità”, in cui la moglie di Fresa, oltre a ripercorrere le tappe della crisi coniugale, racconta di essere stata costretta dal marito, un anno prima, a rinchiudersi in un centro specializzato per perdere peso dopo la gravidanza: «Il mio compagno mi recava continue offese a causa del mio peso che all’epoca risultava essere di circa 103 chilogrammi, tanto che ero costretta mangiare di nascosto».

E così via per qualche settimana. Fino all’inizio di aprile, quando a sorpresa (ma forse neanche tanto) un comunicato congiunto degli avvocati dei due coniugi spiega che «la moglie del consigliere Mario Fresa è rientrata volontariamente presso la propria abitazione, unitamente al figlioletto di due anni della coppia. I coniugi hanno avviato un percorso comune a salvaguardia dell’unità e armonia familiare nell’interesse specifico anche del minore».

Insomma a distanza di tre settimana la donna ritira la denuncia, torna a casa e vissero felici e contenti.

Il ritiro della denuncia estingue l’inchiesta penale per lesioni e maltrattamenti. E in parallelo anche di quella disciplinare, affidata alla stessa Procura generale della Cassazione di cui Fresa fa parte, si perdono le tracce. Fresa viene immediatamente sollevato dalle funzioni di pubblica accusa disciplinare nei confronti degli altri magistrati e destinato a occuparsi di pratiche ordinarie.

Anche al Csm la vicenda sembra destinata a spegnersi. In prima commissione, infatti, gli atti vengono segretati e l’istruttoria si conclude con una proposta di archiviazione, fondata su tre motivi. Primo: la Procura di Roma ha ritenuto «non certa l’intenzionalità del gesto» di Fresa. Secondo: quest’anno il Consiglio direttivo della Cassazione ha espresso parere positivo sulla sua professionalità. Terzo: dopo la sospensione, non si occupa ora di cause di famiglia e processi disciplinari, per cui «si ritiene che non vi siano motivi di incompatibilità ambientale». Quarto: «la divulgazione sulla stampa dei conflitti familiari non ha compromesso la credibilità professionale e personale del magistrato che può continuare a svolgere le funzioni in quell’ufficio con indipendenza e imparzialità».

Come spesso capita, è Nino Di Matteo a mettersi di traverso. Prima chiedendo (e ottenendo) la pubblicità della seduta, poi sostenendo la necessità di trasferire d’ufficio Fresa dalla Cassazione, perché «l’indagine penale non sancisce in alcun modo l’inattendibilità delle dichiarazioni consacrate nella denuncia» e soprattutto «non possiamo pensare che l’appannamento dell’immagine del magistrato sia venuto meno perché è stato sospeso dall’esercizio delle funzioni disciplinari».

Il voto è stato molto contrastato. L’archiviazione è passata, ma per un solo voto. Nove i favorevoli: i cinque consiglieri di Area (Cascini, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro), due di Magistratura Indipendente (Micciché e Braggion), quella di Autonomia&Indipendenza Pepe, il laico Cerabona. Otto i contrari: i pm Di Matteo e Ardita (che ormai, per mille motivi, fanno gruppo a sé), gli altri due consiglieri di Magistratura Indipendente D’Amato e Balduini, i laici Benedetti, Gigliotti, Basile e Cavanna. Otto anche gli astenuti: i tre consiglieri di Unicost Ciambellini, Grillo e Celentano (indipendente), Marra di Autonomia&Indipendenza, i laici Donati e Lanzi, i vertici della Cassazione Curzio e Salvi.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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