Napoli. Gli acquedotti dell’antica Partenope: retrospettiva storico-culturale di Lucio Sandon
Il nostro autore oggi ci trasporta sui tracciati degli antichi acquedotti,
che fornivano acqua potabile ed energia per i mulini.
La storia di Napoli e della sua provincia è strettamente legata al passaggio di tre acquedotti, che a partire dal IV secolo avanti Cristo hanno avuto la funzione di fornire acqua potabile alle abitazioni e alle attività produttive che sorgevano sulla costa.
L’Acquedotto della Bolla
L’acquedotto più antico è quello cosiddetto della Bolla: tale opera deve il suo nome alla forza che l’acqua aveva al suo sgorgare, quasi come se bollisse. L’acqua proveniva dalle sorgenti situate sul monte Somma in una grotta detta le Fontanelle del Cancellaro, e dopo un percorso sotterraneo attraverso un sistema di pozzi e di cisterne atte a sfruttare anche il deposito delle acque piovane, affiorava in superficie presso la cosiddetta Casa dell’Acqua o Casa della Bolla, che aveva il compito di convogliare le acque in diversi canali detti formali, tutt’oggi presenti. Da qui iniziava anche il percorso del fiume Sebeto, il quale dopo aver raccolto le acque di altri canali, alimentava le macchine dei mulini e andava infine a sfociare al Ponte della Maddalena.
La città di Napoli, sin dalla colonizzazione greca, ha sempre avuto uno stretto rapporto con il Sebeto tanto da dedicargli un culto, ma il fiume deve la sua rinomanza alle celebrazioni di poeti quali Virgilio, che nell’Eneide lo chiama Sebethide Ninpha. Nel primo secolo, Stazio scrisse della sirena Partenope, sepolta presso la foce del Sebeto. Boccaccio parlò del Rubeolo, mentre Petrarca descrisse il Sebeto durante il maremoto del 1343. Giovanni Pontano nella Lepidina, vede il giovane Sebeto mutato in dio dell’acqua, mentre Jacopo Sannazaro, nell’Arcadia, scrive del fiume che trasforma in paradiso terrestre i territori che attraversa.
Nel 1635 il vicerè Manuel Zuñiga y Fonseca commissionò a Cosimo Fanzago la costruzione di una fontana dedicata al Sebeto, raffigurato come un maestoso vecchio disteso su un fianco.
Carlo Celano affermava che dopo una violenta eruzione del Vesuvio gli argini del fiume si ruppero, rendendo paludose le zone della pianura di Volla, Ponticelli e Poggioreale. Secondo altri invece, il Sebeto non è mai scomparso e scorre ancora oggi nelle viscere di Napoli. Nel 2007 i lavori di costruzione della linea ferroviaria TAV hanno ostruito la falda acquifera, facendo risalire in superficie il mitico fiume.
Non tutte le acque della sorgente della Bolla erano convogliate nell’acquedotto, poiché parte di esse fluivano in dei canali lungo i quali vi erano alcuni mulini: tale attività contendeva l’acqua a vantaggio dei potenti feudatari e dei ricchi ordini religiosi proprietari dei mulini. Nel Cinquecento, per risolvere tale problema venne costruita la Casa dell’Acqua dove un blocco di marmo separava l’acqua in due distinti canali, uno per i mulini, e l’altro per la popolazione di Napoli.
L’Acquedotto Augusteo, detto anche acquedotto Claudio
Nel periodo imperiale venne costruito l’acquedotto del Serino, il cui percorso si snodava dalle sorgenti dell’Acquara sul Monte Terminio fino alle enormi cisterne della Piscina Mirabilis e della Dragonara a Bacoli, dove l’acquedotto termina dopo aver percorso quasi cento chilometri. L’uso principale di tale opera era di rifornire la Classis Praetoria Misenensis, la più grande flotta militare del Mediterraneo. Per buona parte del suo percorso l’acqua correva all’aperto, sulle caratteristiche arcate in laterizio delle quali resta ancora traccia a Napoli, presso l’attuale zona dei Ponti Rossi. Il percorso dell’acquedotto augusteo si diramava in diverse direzioni: uno dei rami più importanti era quello che da Palma Campania procedeva nei pressi di Pomigliano d’Arco, che proprio da tali grandi archi prende il suo nome, poi con un percorso sotterraneo attraversava la collina di Capodichino e giungeva infine sui Ponti Rossi.
Nel 537 i napoletani si dovettero arrendere all’assedio del generale Belisario comandante dell’esercito di Giustiniano, solo dopo che questi ebbe distrutto parte dell’acquedotto Augusteo. Alfonso I d’Aragona sconfisse gli angioini e conquistò la città, utilizzando lo stesso stratagemma. Nel 1592, il viceré Pedro d’Ossuna chiese all’architetto Domenico Fontana di creare un’opera idraulica di canalizzazione, con l’obiettivo sia di impedire le continue inondazioni del fiume Clanio, detto volgarmente Lagno, sia di allacciare le acque potabili in modo da rafforzare l’acquedotto della Bolla. I canali progettati da Fontana (nomen omen) vennero ampliati in epoca borbonica dando luogo ai Regi Lagni.
L’Acquedotto del Carmignano
Nella prima metà del XVII secolo la città di Napoli visse una nuova fase di esplosione demografica, registrando un rapidissimo incremento della popolazione fino a sfiorare il mezzo milione di abitanti, per cui nel 1627 il viceré spagnolo duca d’Alba Fernando Álvarez de Toledo, affidò all’ingegnere Cesare Carmignano il compito di progettare una condotta per le acque delle sorgenti del monte Taburno: si stabilì che l’acquedotto sarebbe stato costruito a spese del Carmignano fino a Casalnuovo, per poi proseguire fino a Napoli a spese della città, e che il guadagno dovuto all’attività di tre mulini sarebbe stato equamente diviso tra costruttore e committenti. Dopo solo due anni di lavori l’acqua, che fu chiamata del Carmignano, confluì nell’acquedotto della Bolla, giungendo fino a Napoli. Purtroppo il 16 gennaio 1631, a seguito di una violenta eruzione del Vesuvio, gran parte dell’acquedotto venne ad essere distrutto. Nel 1774, per ordine di re Ferdinando IV di Borbone, le acque dell’acquedotto Carolino che alimentava le cascate della Reggia di Caserta, dopo aver assolto il loro compito, vennero immesse nelle condotte del Carmignano.
Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019. Sempre nel 2019, il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia” è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109. Nel 2020 il libro “Cuore di Ragno” è stato premiato come:
- Vincitore per la sezione Narrativo al “Premio Talenti Vesuviani”;
- Miglior romanzo storico al prestigioso XI “Concorso Letterario Grottammare”;
- Best Seller al “Premio Approdi d’Autore” della Graus Edizioni;
- Vincitore alla sezione Romanzo Storico al “Premio Nazionale Alberoandronico”;
- Vincitore per la sezione Romanzo Storico all‘IX “Premio Letterario “Cologna Spiaggia”.
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