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Attualità

Il Racconto, Questione di forma

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Un nuovo racconto con le considerazioni del nostro autore: considerazioni sulla forma, ovvero ciò che appare, che a Culonia va a discapito della sostanza…

di Giovanni Renella

Fra le tante emergenze che si dovettero affrontare a Culonia ai tempi della pandemia ci furono anche gli esami di Stato.

E sì, perché mentre il mondo era scosso fin nelle fondamenta da uno dei virus più tremendamente democratici che la storia dell’uomo ricordi, il ministro della scuola di Culonia fremeva alla disperata ricerca dei suoi quindici minuti di celebrità, che l’anonimato della sua figura non riusciva a garantirgli.

Non è che fino ad allora quel membro del governo non si fosse fatto notare: fra rocamboleschi ripescaggi elettorali e contestazioni per la tempistica e le modalità di vari traguardi curriculari raggiunti, i riflettori si erano accesi non poche volte sulla sua figura, palesando, però, più ombre che luci.

Ma ora quegli esami cadevano a proposito, perché gli avrebbero dato la possibilità di restare sulla cresta dell’onda da aprile a luglio: bastava solo concepire un decreto che procedesse secondo la tempistica del contagio e il gioco era fatto.

Il raggiungimento dei vari step temporali gli avrebbe garantito la visibilità mediatica fino all’estate.

Il dramma, però, si trasformò subito in farsa, allorché fu messa in preventivo anche  l’eventualità di una riapertura delle scuole durante il mese di maggio!

Ovviamente neanche lo scemo del villaggio avrebbe preso in minima considerazione la possibilità di una ripresa delle lezioni in aula durante quell’anno scolastico; ma lo scemo del villaggio non era un consulente del ministro, ci mancherebbe!

Chi capì da subito che era andato tutto in gloria, furono i docenti e gli studenti, profondi conoscitori del mondo della scuola, che in quei giorni avevano visto sgretolarsi l’insieme delle relazioni umane che da sempre costituisce l’essenza stessa dell’istituzione scolastica.

Niente classe, niente contatto, niente crescita: era questo il rischio.

E allora la buona volontà dei professori e degli alunni, dopo un attimo di smarrimento,  trovò la soluzione nella didattica a distanza, resa possibile solo grazie agli strumenti informatici acquistati personalmente dai docenti e dalle famiglie degli studenti.

A Culonia, però, non tutti potevano permettersi un computer o un iPad e così capitò che gli effetti del virus fossero un po’ meno democratici del virus stesso.

I più creativi fra i docenti mantennero i contatti telefonici con quei loro studenti che sapevano essere già deboli, per non perderli del tutto; e fu un fiorire di lezioni alternative alla normale didattica che fino ad allora aveva visto il professore dietro la cattedra e gli alunni nei banchi.

Il fine restava quello della trasmissione della conoscenza, e poco importava il mezzo per realizzarlo.

Nelle remote stanze del ministero, badando più alla forma che alla sostanza, si lavorava invece alla stesura di un copione per  concludere quel particolarissimo anno scolastico con una prova ”che non fosse una farsa”.

Su quest’ultima si stava impegnando il ministro, personalmente, ripetendo in continuazione l’unica battuta che le era stata assegnata: «Sarà un esame di maturità serio!»

Nella stesura del canovaccio il capo del dicastero della pubblica istruzione aveva relegato a comparse della sua messa in scena quelli che invece avrebbero dovuto essere i protagonisti di una più degna rappresentazione: i ragazzi!

Giovani uomini e donne che avevano accettato con grande disciplina le restrizioni imposte dalla pandemia e che avrebbero di gran lunga  preferito andare a scuola, incontrarsi con gli amici e beccarsi pure qualche insufficienza ai compiti o alle interrogazioni, pur di non dover subire la quarantena in cui erano confinati.

A quei ragazzi il virus stava negando la quotidianità delle risate in classe, degli abbracci con gli amici, dei baci appassionati dei primi amori, ipotecando anche ogni promiscuità del loro immediato futuro.

Ma il ministro neanche riusciva a immaginare quanto  quello sbandamento improvviso del percorso dei loro studi, e soprattutto della vita delle loro famiglie, avrebbe potuto condizionare l’esistenza dei ragazzi del 2001, chiamati di lì a poco a fare scelte per un domani ricco solo di incognite.

Vecchio dentro, perché ancorato allo spauracchio dell’esame da imporre come ineludibile rito di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, con il suo richiamo alla serietà delle verifiche finali, il ministro della scuola di Culonia proprio non riusciva a comprendere che, nell’anno scolastico 2019/2020, il destino aveva riservato ai maturandi ben altre prove da superare.

E non capiva che quei ragazzi stavano perdendo una stagione irripetibile e formativa della loro vita: per il sommo burocrate della scuola di Culonia contava solo salvare la forma e dimostrare di saper garantire la serietà dell’esame di maturità!

 

Giovanni Renella, nato a Napoli nel ‘63, vive a Portici. Agli inizi degli anni ’90 ha lavorato come giornalista per i servizi radiofonici esteri della RAI. Ha pubblicato una prima raccolta di short stories, intitolata  “Don Terzino e altri racconti” (Graus ed. 2017), con cui ha vinto il premio internazionale di letteratura “Enrico Bonino” (2017), ha ricevuto una menzione speciale al premio “Scriviamo insieme” (2017) ed è stato fra i finalisti del premio “Giovane Holden” (2017). Nel 2017 con il racconto “Bellezza d’antan” ha vinto il premio “A… Bi… Ci… Zeta” e nel 2018 è stato fra i finalisti della prima edizione del Premio Letterario Cavea con il racconto “Sovrapposizioni”. Altri suoi racconti sono stati inseriti nelle antologie “Sette son le note” (Alcheringa ed. 2018) e “Ti racconto una favola” (Kimerik ed. 2018). Nel 2019 ha pubblicato la raccolta di racconti “Punti di vista”, Giovane Holden Edizioni. Il libro ha meritato il Premio Speciale della Giuria al Premio Letterario Internazionale Città di Latina.

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