Il porto di Portici e il fortino fantasma
Storie di una piccola città stretta tra il Vesuvio e mare, antiche vestigia dimenticate e in parte scomparse: il nostro autore ci parla di Portici
di Lucio Sandon
Tramonto a Puortece
D’ ‘a cchiesia ‘e san Pascale/ ‘a campana ca sona/ cu nu suono argentino/ a mmatutino/ a poppa e a prora/ sceta chi dorme ancora/ ncopp’ ‘o vuzzo e ‘o vasciello/ d’ ‘o Granatiello
E tutto nzieme, se sente na voce:/ “Ccà sta Teresenella ‘a purticesa!/ Ddoie pe nu rano ‘e purtualle doce!/E so’ meglio d’ ‘e fravule ‘e cerase!”
A campana d’ ‘a cchiesa/ mo sona cu nu suono/ l’avummaria.
Sciso è ‘int’ a ll’onne/ o sole e s’annasconne/ ‘a vela ‘e nu vasciello/ pare ca luce, ncopp’ ‘o cielo d’oro/d’ ‘o Granatiello/ E, ‘int’ ‘o silenzio, se sente na voce:/ “Ccà sta Teresenella ‘a purticesa!/ Ddoie pe nu rano ‘e purtualle doce!/ E so’ meglio d’ ‘e fravule ‘e cerase!” (Salvatore di Giacomo)
«Il Granatello fu così nominato per le molte piante di meligranati che ivi vi erano, prima che lo coprisse quella spaziosa ed alta lava che in esso si vede. Coloro che hanno descritto gli incendi del Vesuvio non dicono in che anno il suddetto ardente monte versasse la poco anzi mentovata lava. Ella però vi discese prima del secolo XIII imperocchè nel tale secolo sopra la medesima v’era un bosco, e dove al presente è posto il monistero dè Frati Conventuali, accanto alla strada regia dalla parte del mare, vi era un casino della famiglia Carafa, che nel suddetto secolo fu aggiustato e ridotto in forma di convento.»
Dopo la costruzione del palazzo reale, si sentì la necessità di avere un porto sicuro per il naviglio reale, peschereccio e commerciale, quindi nel 1773 sotto la direzione dell’architetto Giovanni Buonpiede, ebbero inizio dei colossali lavori per togliere grandi massi di lava vulcanica e gettare le basi di un molo che si spingeva in mare aperto. Si trasportarono allora numerosissimi ed enormi massi di pietra già squadrati dalla vicina cava, che furono buttati in mare e cementati con calce e pozzolana. Ne risultò una maestrosa opera d’arte: un molo lungo 1.200 piedi, difeso dalla furia dei marosi da grosse muraglie di scogli e grossi blocchi di pietra lavica. all’estremità vi è un faro e al lato sinistro dell’imbocco del porto, un fabbricato adibito alla capitaneria.
«Non lungi dalla Città di Napoli è posto sulla riva del mare, in un luogo del territorio di Portici detto il Granatello, un Fortino, che ha le principali sue batterie al mare stesso dirette, e che in un gomito fatto ad angolo ottuso si ha un’opera dentata, che domina tutto il lembo d’arena, che le sta vicino, accetto quel lido, che dopo il Ponte di Jace continua fino al Baraccone; poichè si avvalla. Questo lido termina in una punta formata da un’antica vesuviana lava, e dopo un piccol seno sporge in fuora con un’altra punta consimile, sopra la quale è situato un altro Fortino di mare, detto la Batteria di Calastro. La torre di questa Fortezza fu fatta sotto Carlo V nel secolo XV, in cui furon fatte dell’altre simili in varie parti del lido di questo Regno conforme raccontano i nostri Storici. I muri, che la chiudono, il fosso, e lo spalto le furono aggiunti, quando l’anno 1702 Filippo V dimorò in Napoli, come si sa per costante tradizione. Intorno all’anno 1743 mentre qui regnava il gloriosissimo Re Cattolico, si aggiunsero alla medesima Fortezza, colla, direzione dell’ingegnere militare D. Pietro Bardet, il rivellino, è la controgguardia. Dopo un tratto di non più di quattro cento passi, o circa viene la Torre del Greco, di cui un vecchio grand’edificio, chiamato volgarmente il Castello, signoreggia l’anzidetto Fortino di Calastro, come quello, ch’è posto sopra un’eminenza. Questa è la situazione dei luoghi; che formano le pertinenze del Granatello, i quali luoghi comunicano per un braccio d’arena, che il mare frangendovi lambisce, e che posson anche comunicare per la strada regia, nella quale si monta per un dolce pendio pieno di strette, alcune delle quali mettono capo in una di mezzo, che porta al largo del Granatello medesimo.»
Matteo Scalfati, generale borbonico, 1774.
Alle spalle dell’ex macello comunale, ora Centro Ricerche Tartarughe Marine della Stazione Zoologica Anton Dohrn, nel luogo cosiddetto Capo del Fico, sorgeva il Forte del Granatello, del quale non sono visibili più nemmeno i ruderi che resistevano fino al secolo scorso, tranne un residuo di torretta, nascosto in corrispondenza dell’ultima curva della strada che porta alla spiaggia delle Mortelle. I lavori per la costruzione del forte iniziarono nel 1738, contemporaneamente a quelli per la costruzione del palazzo reale, distante circa un miglio nell’entroterra, e terminarono poco più di un anno dopo. Il progetto del Forte del Granatello venne affidato all’ingegnere spagnolo Don Francesco Lopez Barrios, che all’epoca dirigeva il Genio Militare: la struttura aveva forma triangolare con un rivellino, cioè una struttura murale a punta, che si ergeva davanti all’ingresso principale, per ulteriore difesa.
Ma già prima di erigere il forte del Granatello, era stato eretto nel 1520, alle Mortelle, dove poi fu costruito il nuovo forte, un castelletto per proteggere Portici dalle incursioni dei saraceni e degli arabi; ed un’altra torre fu eretta, per la stessa ragione, nel 1720, in riva al mare, per proteggere il palazzo Bagnara. A quest’ultima torre, prima di essere completamente distrutta, al principio di questo Secolo era stata adattata nell’interno una calcara. Un’altra batteria era piazzata sulla rada di Pietrarsa e a proposito di questa batteria, si legge: «Comunica collo stabilimento un sporto sul mare dove è piazzata una batteria di 22 pezzi da costa da 36 e 2 da 12 a difesa di possibili ostili insulti nella nostra rada, batteria di gran lunga migliorata e sostituita a quella che già fortificò Pietrarsa. Alle spalle della batteria sono istallati i magazzini blindati per munizioni.»
Lo Scalfati dice anche che, prima della costruzione del forte alle Mortelle, in quel luogo si lavorava per estrarre la lava per la costruzione dei porti d’Ischia, Procida, Miseno e Napoli.
Nel 1873 il fortino del Granatello fu distrutto a colpi di cannone e mediante lo scoppio di mine e le sue macerie furono trasportate a Napoli, via mare, per essere adibite alle fondamenta dell’allora costruenda scogliera di via Caracciolo di Napoli.
(Le notizie sono tratte dal libro di Beniamino Ascione Portici, 1968)
Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019.
Sempre nel 2019, il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia” è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.
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(Tonia Ferraro – http://www.lospeakerscorner.eu – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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