L’Italia tra povertà e ricchezza degli uomini di potere
di Biagio Maimone
Non si può nascondere, né si deve farlo per senso etico e civiltà, che nella nostra Italia, definita artisticamente “Il Bel Paese”, terra di cultura, di umanità e amore, il tasso della povertà sia molto alto, soprattutto nel mezzogiorno, in cui si constata l’esistenza di un numero ingente di famiglie le quali vivono in condizioni di estremo disagio, simile, per molti aspetti, a quello del terzo mondo. Fa male prendere atto del fatto che proliferino nel nostro Paese fenomeni e situazioni di depressione socio-economica.
La nostra Italia, che reclama “a gran voce” asilo politico per i migranti, non ha ancora assicurato asilo politico e diritto di cittadinanza a tanti connazionali. E’ questa la contraddizione più dolorosa e drammatica di una nazione ritenuta culla della civiltà, che salta subito agli occhi, anzi che ferisce gli occhi di chi sa ancora amare.
Fa male vedere anziani rovistare nei cassonetti della spazzatura per trovarvi cibo e vestiario, rovistare tra gli scarti nei mercati per cercarvi frutta e verdura, fa male leggere gli importi delle pensioni di tantissimi, anzi troppi, anziani e giovani che percepiscono retribuzioni talmente esigue da non garantire assolutamente la sopravvivenza. E che dire delle famiglie senza alcun reddito? Cosa dire, inoltre, degli anziani ammalati ed indifesi, degli anziani preda di badanti senza scrupoli. Cosa dire della malasanità perpetrata nei confronti dei poveri, di chi non è sorretto dal potere. Cosa dire delle donne vittime della violenza e della crudeltà di uomini senza scrupoli, nonostante le battaglie e le conquiste dei movimenti femminili?
Il ghetto che avrebbe dovuto essere un fenomeno superato, dilaga sempre più?
Troppi italiani vivono il disagio sociale a causa delle poche risorse economiche in loro possesso, che non bastano a garantire neanche il pagamento delle bollette del gas e della luce, che non vengono più loro erogati, quasi fossero un lusso e non bene primario.
E che dire delle condizioni igieniche in cui vivono interi quartieri, ai bordi della decenza umana. Non si può negare che in tante periferie dei grandi centri pulluli la delinquenza e la morte.
Si chiama miseria tale fenomeno, che prende piede sempre più in Italia. Certo definire la miseria non serve a nulla, tuttavia fa male constatarla e vedere che quasi nessuno se ne prenda cura.
Quel che colpisce di più è che in Italia le grandi opere, i magnifici grattacieli, l’eleganza, la ricchezza trovano spazi espressivi altamente qualificati e talmente ampi. Ciò significa che il contrasto tra ricchezza e povertà si acuisce sempre più: c’è chi non ha un tetto che lo ripari e c’è chi vive nel lusso più sfrenato. Tale divario è sinonimo di ingiustizia sociale e di ingiustizia politica. E pensare che i politici sono eletti dal popolo!
Ne deriva, altresì, una triste verità storica, ossia che le classi sociali non esistono più e che, al loro posto, esistono solo due mondi: quello della povertà e quello della ricchezza detenuta dal potere e dalle varie espressioni del potere .
Vi è, inoltre, il potere dei colletti bianchi, figli di un potere sotterraneo, espressione di corruzione e prepotenza, che si esplica in alcuni appalti, nelle assunzioni facili , negli avanzamenti di carriera e, perché no, in politica.
E’ quest’ultimo un potere più cruento e spietato della cosiddetta “mafia”, proprio in quanto uccide il sistema economico e sociale del nostro Paese.
E’ molto triste e fa riflettere il fatto che la maggior parte dei giornali, delle televisioni e dei mezzi di comunicazione siano poco propensi a porre in luce le crepe apertesi nel tessuto socio-economico della nostra Italia.
Non si può negare che la vocazione di chi si occupa di comunicazione dovrebbe essere far conoscere cosa si annidi tra le pieghe della nostra società.
Si osserva, invece, che spegnere il fuoco della ribellione sembra essere il mestiere di molti uomini della comunicazione che, per deontologia professionale, dovrebbero privilegiare la verità e dare spazio al diritto di comunicare, che connota la missione di chi si occupa di giornalismo.
La povertà e le mafie possono essere combattute se noi che ci occupiamo di comunicazione sapremo collocare al primo posto il dovere di informare, tralasciando paure e schierandoci dalla parte della giustizia e della verità.
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