Ruviano. Lo storico Michele Russo si cimenta ai fornelli proponendoci un alimento del passato: il ‘quinto quarto’
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Non si offenderanno i miei cari amici Dottori della Carne se da non addetto ai lavori, ma appassionato di cucina antica e tipica, mi incammino in un discorso di loro competenza.
Voglio parlarvi del quinto quarto dell’agnello e del suo uso più gustoso: ‘u zuffitt.
Le parti dell’animale che costituiscono tutto ciò che non rientra nei quattro tagli principali (anteriori e posteriori) dell’animale) vengono chiamate “quinto quarto”, costituito in gran parte dagli organi interni.
Sono le cosiddette frattaglie che, un tempo, erano consumate prevalentemente da coloro che non potevano permettersi i tagli pregiati e, data la deperibilità, in assenza di frigorifero, venivano vendute a basso prezzo o addirittura regalate perché in alternativa sarebbero state buttate.
Nel quinto quarto rientrano la trippa, i rognoni o reni, il cuore, i polmoni, il fegato, la milza, le animelle, l’intestino tenue, i testicoli, le mammella, il cervello, la lingua, e le zampe.
Nella lingua napoletana il quinto quarto o frattaglie vengono chiamate zendraglie.
E tra le zendraglie il principe è sicuramente ‘u zuffritt: il soffritto.
Anche qui va fatta una differenziazione: a Napoli ‘u zuffritt per antonomasia è quello di maiale mentre nelle zone rurali, dove il maiale in casa si ammazzava una volta l’anno, era più consumato quello di agnello, animale più spesso macellato.
Per preparare ‘u zuffritt di agnello si usa quello che in alcune parti è detto campanaro, composto da polmone, cuore, fegato, trachea e milza, che a Roma viene indicato col termine coratella.
Ippolito Cavalcanti nel suo libro “Cucina teorico – pratica” del 1839 così descrive la preparazione del soffritto di maiale rigorosamente nella sua lingua napoletana.
“Zuppa de Zoffritto.
Pe 12 pérzone piglia no prommone, o curatella de’ puorco co lo core, e li rugnuni, farraje ogne ncosa pezzul pezzul, e lavarraje chiù vote Co l’acqua fresca , e po farraje scolà; piglia no terzo de nzogna la ferraio zoffriere dint a no tiano, o cazzarola , co tutti chilli pezzulli , e nce miettarraje purzì no mazzetiello de rosamarina, fronne de lauro, petrosino, e majurana, buono attaccato; quanno se sarrà buono zoffritto ncè miettarraje la conserva de pommadore, e puparuoli duci, nce miette lo sale, e polvere de puparuoli forti, e zoffrienno zoffrienno nce mietterraje lo brodo; doppo piglia le pagnotte, le faje felle felle, l’arruste senza farle abbruscià, le miette dinto a na zoppiera, e ncoppa nce miette tutto cbillo brodo co lo zoffritto“.
Ovviamente il procedimento antico è lo stesso per il soffritto di agnello.
Un tempo si serviva comunemente nelle cantine, dove si abbonda a di sale e peperoncino per aumentare l’uso del vino.
Di rilievo era la proposta nelle cantine di Alife durante la festa di San Sisto ma io ricordo anche quello cucinato nella cantina durante la festa di San Domenico a Ruviano.
Una pietanza oggi divenuta pregiata, da ristorante tipico, sia perché la materia prima è diventata di difficile reperimento, in quanto le macellerie acquistano gli animali già in quarti, sia per la tendenza al ritorno ai cibi della tradizione.
Nel periodo natalizio ed in quello pasquale è più facile trovare le frattaglie di agnello e poter preparare anche a casa questa prelibatezza che ben si sposa col nostro corposo vino pallagrello rosso.
Da provare.
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