Cinque nuovi Cardinali per l’America Latina: “Colpiti dalla lettera del Papa”
Cinque nuovi cardinali. Mai così folto, durante il pontificato di Papa Francesco, il gruppo di nuovi cardinali latinoamericani. C’è il presidente del Celam, il Consiglio episcopale dell’America Latina e Caraibi, il brasiliano dom Jaime Spengler, francescano dei frati minori, arcivescovo di Porto Alegre e presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Ci sono, poi, i vescovi titolari di importanti metropoli: mons. Carlos Castillo Mattasoglio, arcivescovo di Lima e primate del Perù; mons. Fernando Chomali Garib, arcivescovo di Santiago e primate del Cile; mons. Luis Gerardo Cabrera Herrera, frate minore, arcivescovo di Guayaquil, la città più popolosa dell’Ecuador; infine, un connazionale di Papa Francesco, mons. Vicente Bokalic Iglic, della congregazione della Missione, arcivescovo di Santiago del Estero, da poco elevata dal Papa arcidiocesi primaziale d’Argentina, al posto di Buenos Aires. Nel collegio cardinalizio, compresi i non elettori, sono, oggi, rappresentati 19 episcopati su 22 del subcontinente, 13 su 22 tra i cardinali che entrerebbero in conclave. Ecco come i cinque nuovi cardinali, in gran parte contattati direttamente dal Sir, si sono avvicinati a questo appuntamento, e quale, a loro avviso, può essere il contributo della Chiesa latinoamericana nel peculiare ruolo di collaborazione con il Papa, che è proprio di ogni cardinale.
Tutti si dicono molto colpiti dalla lettera che il Papa ha inviato loro, nuovi cardinali, raccomandando tre atteggiamenti: “occhi in alto”, “mani unite”, nella preghiera, e “piedi nudi”.
Spengler: “Dall’America Latina indicazioni preziose”. Dom Jaime Spengler spiega al Sir di aver accolto la notizia della creazione a cardinale, “da un lato, con grande sorpresa; dall’altro, come un’indicazione a continuare a collaborare ancora più intensamente per promuovere la collegialità e a collaborare diligentemente con il Romano Pontefice”. Una collaborazione che parte “dallo spirito di comunione che deve esistere all’interno del collegio episcopale”. Allo stesso tempo, “a ciascuno è chiesto di offrire la propria collaborazione su questioni importanti quando viene consultato dal Santo Padre. Credo sia necessario coltivare una costante attenzione ai segni dei tempi. Durante il recente processo sinodale è stata posta molta enfasi sulla necessità di coltivare la dimensione dell’ascolto”. In quanto presidente del Celam, dom Spengler ha uno sguardo privilegiato sul cammino della Chiesa del continente: “Dal Concilio Vaticano II, la Chiesa in America Latina ha sviluppato iniziative vigorose, non solo per rispondere ai suoi orientamenti, ma anche per cooperare affinché le iniziative sviluppate trovino eco oltre i suoi confini. Nel tempo ci sono state alcune esagerazioni – dobbiamo riconoscerlo! – ma anche tanti successi! La Conferenza di Aparecida, alla quale Papa Francesco ha partecipato intensamente, ha offerto indicazioni preziose per la promozione dell’evangelizzazione nel continente. C’è un impegno da parte delle varie Chiese locali a promuovere piccole comunità, favorendo uno spirito di comunione e di partecipazione in vista della missione. Queste comunità sono spesso guidate da donne! In esse si svolgono vari servizi”.
Castillo: “Sfidato ad aiutare il Papa nel suo servizio al mondo, in uno scenario di distruzione”. Mons. Carlos Castillo, alla guida della immensa diocesi di Lima, è al tempo stesso pastore e riconosciuto teologo e uomo di pensiero “lungo”, maturato fin dalla giovanile conoscenza con padre Gustavo Gutiérrez, recentemente deceduto. “Sento che è un onore e un dovere collaborare alla missione della Chiesa e del Papa – spiega al Sir -. Mi sento sfidato e interpellato, come quando sono stato nominato vescovo. In quel caso mi ero sentito come nuovamente fecondato dalla mia diocesi, qui c’è una completa apertura alla missione del Papa e della Chiesa mondiale. In effetti, l’incorporazione di vescovi residenziali dalle diverse parti del mondo dà un ulteriore respiro alla Chiesa, integra la sua universalità”. Il Papa, nella sua lettera ai cardinali, chiede di guardare in alto, e mons. Castillo si interroga su “ciò che suggerisce lo Spirito per guardare lontano nel mondo”, e su questo aiutare il Papa nella sua missione. “La Chiesa è chiamata a confermare la sua missione, e questo in uno scenario di distruzione generale, di ulteriore rischio di guerre, di pazzeschi interessi economici, di crisi della modernità e distruzione della democrazia. In tutto questo, è importante la prospettiva evangelica che il Papa esprime in Fratelli tutti. È una sfida anche per noi cristiani, c’è chi sogna comunità chiuse. Invece, la religione vuole andare al fondo dell’umanità”.Se il Papa chiede “mani unite” e “piedi nudi”, mons. Castillo va subito alla straordinaria esperienza di preghiera e cammino da parte del popolo peruviano, durante il Mese “viola” del Signore dei Miracoli, che a Lima è stato vissuto poche settimane fa: “Nella processione che abbiamo vissuto da poco si manifesta una religiosità profonda, un germe di cristianesimo popolare libero, di una comunità che centra tutto in Gesù, con un comune appello a camminare insieme, a essere fratelli. Siamo di fronte a una sfida di vivere la fraternità che è anche sinodale, ed è al tempo stesso espressione di fede di un popolo povero e sofferente. Il mio sogno è, durante il Giubileo del 2025 una processione che si svolga in contemporanea in tutto il mondo”.
Cabrera: “Nella lettera del Papa un programma di vita”. “Con il passare dei giorni, ho compreso più chiaramente le metafore che Papa Francesco ci ha proposto nella sua lettera ai nuovi cardinali: gli occhi alzati per guardare oltre, le mani unite per pregare e i piedi nudi per sentire il dolore e la sofferenza della gente. Come potete vedere, si tratta di un intero programma di vita”,confida mons. Luis Cabrera.
La Chiesa in America Latina, aggiunge l’arcivescovo di Guayaquil, “sta offrendo alla Chiesa universale un nuovo impulso missionario; basta ricordare il documento di Aparecida, su cui Papa Francesco ha lavorato molto intensamente. Infatti, la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium è un programma di missione evangelizzatrice per tutta la Chiesa nelle diverse culture. Come Ecuador, potremmo condividere il nostro ricco patrimonio spirituale e culturale. Storicamente, è il primo Paese a essere consacrato al Sacro Cuore di Gesù, motivo per cui Papa Francesco lo ha scelto come sede del 53° Congresso eucaristico internazionale. Dal punto di vista sinodale, ci sono in America Latina tante esperienze pastorali che rendono credibile la presenza della Chiesa in tutti i livelli della società, specialmente in quelli più vulnerabili e poveri”.
Bokalic: “Già a Buenos Aires ho visto la Chiesa di Francesco in stato di missione”. La collaborazione con Papa Francesco, per certi aspetti, non è una novità per mons. Vicente Bokalic, che è stato vescovo ausiliare del cardinale Jorge Mario Bergoglio, a Buenos Aires, anche se oggi, naturalmente, essa si svolge su un altro livello. Ma le priorità sono le stesse. “Ho collaborato per molti anni con il cardinale Bergoglio – racconta al Sir – e sono stato suo ausiliare per quattro anni. Ci sono aspetti che ho conosciuto in quel periodo, e poi sono proseguiti, dopo essere stato eletto Papa. In primo luogo, voglio sottolineare il suo spirito missionario, ha dato impulso a una Chiesa aperta, in stato di missione, che esca dal tempio e vada verso le periferie, sia geografiche che esistenziali. Lo sottolineava continuamente, e dava il suo personale esempio. Poi, ricordo la promozione dei laici, la valorizzazione delle donne, e sempre questa vicinanza reale ai poveri, la priorità alla missione, che sono tratti della stessa Chiesa latinoamericana”.
Aggiunge mons. Bokalic: “Mi ha colpito la lettera che ci ha inviato, chiedendoci di essere uomini di preghiera, con uno sguardo ampio, che comprenda tutto il mondo, la realtà universale, un vero e proprio sguardo universale; ancora, camminare ‘a piedi scalzi’, vicini al dolore e alla sofferenza. Aiutare a una Chiesa missionaria e sinodale, che il Sinodale si converta in stile di vita di una Chiesa decentrata, che riconosca i carismi che Dio dona a ogni battezzato, una Chiesa che promuova i ministeri e la promozione del laicato, sempre più maturo e partecipativo”.
Chomali: “Quella senza cultura è una fede morta”. La nomina al cardinalato è un bel modo di sentirsi “legati al Papa, alla Chiesa universale, che è bene per noi sapere che non siamo soli. Ed è una grande responsabilità”, afferma mons. Fernando Chomali. L’arcivescovo di Santiago è noto per la sua continua attenzione e dialogo con la società e il mondo della cultura. Negli anni scorsi, ha anche scritto dei testi teatrali, che sono stati rappresentati. Una fede che non diventa cultura, spiega è una fede morta e “siamo chiamati a essere la cultura della nostra fede. È la cultura della solidarietà, della fraternità, che è così carente in Cile, è la cultura della fiducia ed è la cultura che cerca la giustizia”.
*giornalista de “La vita del popolo”
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