GIORGIA MELONI:FEMMINISMO E PARADOSSI PATRIOTTICI
La nostra Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha dichiarato apertamente di non essere femminista. Una posizione curiosa, quasi pittoresca, considerando che occupa la poltrona più alta della politica italiana proprio grazie ai diritti e alle battaglie conquistate da quelle stesse femministe che lei sembra liquidare con tanta leggerezza. Vera Gheno, sociolinguista di spicco, non si è lasciata sfuggire l’occasione per sottolineare questa contraddizione, ricordando al pubblico che, senza le generazioni di donne che si sono “fatte un sedere così” per garantire uguaglianza e opportunità, la Meloni probabilmente sarebbe rimasta confinata in ruoli assai meno ambiziosi.
Il sarcasmo di Gheno, pungente e chirurgico, serve a mettere in luce l’ironia di una premier che, pur essendo il simbolo del progresso femminile, lo rinnega con orgoglio. Una sorta di bizzarra autodistruzione ideologica che rispecchia perfettamente il modus operandi di un governo che, a conti fatti, sembra combattere non solo contro le donne, ma anche contro il buon senso.
Meloni contro le donne: un’alleanza con il patriarcato
Se c’è una cosa che Meloni sa fare bene, è recitare il ruolo di anti-femminista con convinzione. Eppure, il suo rifiuto del femminismo tradisce una profonda incomprensione del contesto storico che le ha permesso di arrivare dove si trova oggi. Per decenni, donne coraggiose hanno combattuto per il diritto al voto, per l’accesso all’istruzione, per la parità salariale, per il riconoscimento della violenza di genere. E ora, la prima donna premier in Italia si presenta come la paladina di un sistema che storicamente ha oppresso le donne.
Gheno, nel suo intervento, ha saputo esprimere con un’elegante ironia questo paradosso. “Petulante, lei,” sembra quasi dire tra le righe, nel descrivere la coerenza di una leader che celebra l’essere donna al potere mentre sminuisce le lotte che lo hanno reso possibile. In altre parole, Meloni non solo sputa nel piatto dove mangia: ci costruisce sopra una campagna elettorale.
L’attacco alla patria: il patriottismo a senso unico
Ma il problema non si ferma al femminismo. Meloni ama presentarsi come la paladina della patria, la custode dei sacri valori italiani. Tuttavia, in un curioso twist di sceneggiatura, la sua visione di patria sembra includere solo una ristretta fetta della popolazione: uomini eterosessuali, conservatori e, preferibilmente, nostalgici di un passato pre-diritti civili. Il resto — donne, minoranze, giovani progressisti — viene relegato al ruolo di fastidiosa opposizione, nonostante sia anch’esso parte integrante di quella stessa patria che Meloni pretende di rappresentare.
Vera Gheno, al contrario, incarna un’idea di Italia che abbraccia la complessità, che riconosce il valore delle differenze e che comprende che la forza di un paese risiede nella capacità di includere, non di escludere. Le sue parole sono un richiamo a un patriottismo autentico, non a quello a senso unico che Meloni brandisce come un’arma contro chiunque osi dissentire.
Un esempio da seguire
Il confronto tra Gheno e Meloni non potrebbe essere più emblematico. Da un lato, una leader politica che sembra voler riportare indietro le lancette dell’orologio, negando non solo il femminismo ma anche la realtà di un’Italia che cambia e si evolve. Dall’altro, una sociolinguista che usa le parole come strumento di emancipazione e dialogo, dimostrando che il progresso è possibile solo attraverso la comprensione e il rispetto reciproco.
In un paese in cui la classe dirigente è spesso intrappolata in visioni antiquate e autolesioniste, figure come Vera Gheno rappresentano una boccata d’aria fresca. Non perché dicano cose straordinarie, ma perché hanno il coraggio di dire la verità, anche quando è scomoda. E in un mondo in cui il potere è spesso sinonimo di silenzio o di complicità, questa è forse la forma più pura di rivoluzione.
Anche se rivoluzione non é la parola giusta, alla fine siamo tutti sani, siamo di destra.
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