Millesimo giornoMillesimo giornoMillesimo giornoMillesimo giorno
Mentre scriviamo (martedì 19 novembre) si contano mille giorni dall’inizio dell’infame invasione dell’Ucraina da parte dell’armata rossa di Putin. In tanti hanno evocato la ricorrenza con bilanci discutibili, riflessioni di ogni genere, ipotesi di prospettive, giudizi e consigli… Di fatto, si tratta di mille giorni di vigliaccheria del più forte sul più debole, di violenza portata all’ennesima potenza, di distruzione senza remore, di uccisioni indiscriminate, di umiliazioni perpetrate ad ogni livello, di totale disumanità. Per la “martoriata” Ucraina sono stati e sono – senza contare quelli che verranno – mille giorni di terrore e di morte, di buio, di freddo, di paura, di disperazione quotidiana, di autodifesa e di orgoglio nazionale, di sete di libertà e di – per ora inutile – speranza di pace e di sicurezza. Sappiamo meno di cosa siano stati e siano questi mille giorni per l’altra parte: o meglio, lo sappiamo chiaramente per chi ha dato e dà gli ordini – cioè volontà di sopraffazione e di trionfo ad ogni costo, spregio di ogni regola umanitaria, giuridica e persino bellica… -; meno per quelli che li eseguono. Anche di là forse ci sarà, ben instillato dai gerarchi, l’orgoglio nazionale, una volontà di potenza nei russi o una volontà di rivalsa nei filorussi; ma, sicuramente, anche di là ci sarà il desiderio di finirla questa sporca guerra che eufemisticamente e ipocritamente sono costretti a chiamare “operazione militare speciale”. E chi non vorrebbe finirla Persino lo zar che siede tronfio al Cremlino vorrebbe finirla; anzi, voleva finirla per primo, subito, dopo due-tre giorni di un’azione-lampo. Poi si è dovuto accontentare di proclamare – con i suoi yes man – che “tutti gli obiettivi saranno raggiunti”…: il primo dei quali la distruzione di un popolo. Anzi potremmo chiamarla, da qualche punto di vista, persino “genocidio”, senza tanto sottilizzare. E che altro è se non “genocidio” da parte dell’orso russo sterminare un popolo perché non sia più popolo? Che altro è decimare una nazione costringendo all’esilio (tra sfollati fuori e dentro il Paese) 10 milioni di ucraini in quanto ucraini? Rapire decine di miglia di bambini per cambiare loro i connotati, eliminare deliberatamente migliaia di civili e centinaia di migliaia di militari, radere al suolo scuole e ospedali e centrali elettriche per costringere un popolo ad inginocchiarsi al moloch della Grande Russia Voler “denazificare” (ridicola espressione di un nazista doc quale si è ridotto ad essere il comandante in capo della piazza rossa) una nazione che chiede solo libertà? Ma, venendo a noi, sono stati e sono anche 1000 giorni di ansia e di angoscia, di solidarietà e di soccorso, di scelte difficili; anche di qualche tenue protesta (nulla al confronto delle proteste anti-israeliane…), di ripercussioni dannose e di sanzioni spesso solo dimostrative, di doverose e scontate richieste di dialogo e di pace… Anche mille giorni di preghiere, sì: queste probabilmente da tutte le parti – almeno per i credenti che a quanto pare sono ancora molti: in Europa e nel mondo e, ahimè, nei due popoli che si affrontano e negli stessi campi di battaglia, per la stessa “vittoria”, di sopruso o di liberazione – ; per le popolazioni in guerra, per i prigionieri, per i feriti, per i morenti; per i bombardati e per i seviziati; per gli anziani, i bambini, le donne; per chi deve fuggire e per chi cerca di rimanere… Mille giorni di preghiere anche da parte nostra che ogni giorno eleviamo la supplica per la pace, senza vederci esauditi. Ma, si sa, “mille giorni”- o “mille anni” come cantava il salmista e come ci ricorda S. Pietro – per il Signore del tempo e dell’eternità sono come “un giorno solo”. I suoi tempi non sono i nostri, né i suoi pensieri sono i nostri pensieri. Dunque? Continuiamo a pregare, nell’attesa che egli renda giustizia “prontamente” a chi lo invoca. Sicuramente egli dovrebbe sapere meglio di noi chi soccorrere, anche se per ora sembra essere lontano dal fragore delle armi e da questa come dalle tante altre spietate guerre che si combattono nel mondo. Già, egli è “lontano” quando l’uomo si scatena nella violenza; ma si fa vicino a chi soffre e più vicino ancora quando si nutrono davvero pensieri e discorsi di pace. E’ questo che purtroppo ci manca: manca là soprattutto, dove l’unica parola che risuona e si materializza da mille giorni è, anche se camuffata da altre parole, “guerra”. Mentre anche i nervi degli ucraini stanno cedendo e tra loro aumentano comprensibilmente quanti chiedono la fine delle ostilità anche cedendo terre o addirittura preferendo la vita alla libertà, qualcosa nel frattempo è cambiato, ma non in meglio: arrivano persino i nordcoreani a dar man forte ai colleghi e Biden concede (tardivamente?) l’uso dei missili a lungo raggio… Qualcuno telefona inutilmente… Altri ribadiscono il sostegno all’Ucraina “finché sarà necessario”… E cosa farà Trump? Tutti sappiamo che la guerra deve finire col negoziato; ma – come ricordava il card. Parolin – esso non può iniziare se non c’è un minimo di fiducia tra le parti. Siamo, purtroppo, ancora a questo punto! E varrà la pena aver combattuto, se il più forte, come dichiara di volere ad ogni costo, alla fine prevarrà? Questa è la domanda cruciale che ancora moltissimi ucraini si pongono e, con loro, quanti li hanno sostenuti. Ma certo, consoliamoci, la pace – chissà se vera e giusta – verrà!
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