Curti (CE)-Napoli. Toccante ricordo di Gioacchino Mellucci: l’uomo che sapeva far cantare il cemento
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Come capita sovente, i nomi degli artisti che restano impressi nella memoria collettiva sono quelli dei rinomati designer, architetti, attori protagonisti, compositori, scultori, pittori o progettisti.
Molti di quelli che lavorano a stretto contatto con loro, però, spesso vengono dimenticati o semplicemente eclissati dalla fama dell’ideatore; nonostante essi abbiano eseguito manualmente l’opera, corretto o interpretato il progetto dell’artefice.
È rassicurante sapere che ci sono cultori, autori e studiosi che tengono viva la memoria di questi personaggi che lavorano “dietro le quinte”: raccontando ai posteri le loro imprese, scrivendo saggi in merito, narrandoli in documentari o film.
Uno tra questi magistrali uomini, degno di nota e pioniere nel suo campo, fu senz’altro Luigi Gioacchino Mellucci. Un ingegnere apprezzato per la sua professionalità in tutta Italia ed anche all’estero.
Egli nacque a Curti, un piccolo comune nel casertano, il giorno 11 gennaio 1874. La sua era una famiglia nobile oltre che colta: Pasquale, suo padre, divenne legale nonché sindaco di Curti e sposò la nobildonna Adele Gaudiosi.
Assieme ai suoi fratelli, Cristina e Alberto, Gioacchino crebbe tra letterati e persone influenti nel palzzo secolare di Napoli. Tale dimora è situata a via Stella 45 ed è appartenuta alla famiglia Mellucci sin dagli inizi del 1700, quando vi si stabilirono gli antenati provenienti dalla Toscana.
Studiò presso l’Istituto Tecnico, nella sezione Fisico – Matematica di Napoli, e fu già chiaro da subito quale sarebbe stato il suo futuro. Infatti, tra calcoli elaborati ed equazioni strutturali, nel 1899 si laureò a pieni voti nella Real Scuola di Applicazione degli Ingegneri con sede nel complesso di Santa Maria Donnaromita a Napoli.
Viaggiò molto per l’Italia, acquisendo nuove tecniche edilizie oltre che il gusto ricercato del Liberty, che andava diffondendosi nei primi decenni del Novecento a macchia d’olio. Era una corrente artistica che promuoveva linee morbide, allineate con la natura e la sinuosità di elementi riccamente decorati. Oltre che nella pittura, scultura, gioielleria o tessuti, il Liberty trovava applicazione anche nell’architettura ed in ogni singolo componente di essa: per quanto apparentemente usuale fossero un abbaìno, una ringhiera o portone… diventavano vere opere d’arte.
Tornato a Napoli iniziò il periodo più florido per il Mellucci. Nel 1904 sposò la baronessa Magnifica Francesca Ridola, figlia dell’avvocato, patriota e poeta Alfonso, il quale era in corrispondenza con letterati dal calibro di Manzoni e Poerio.
La felice unione dette alla luce, negli anni che seguirono, sette eredi: Vittorio, Cesare, Elena, Teresa, Ada, Guido e Giorgio.
Lavorativamente si occupò dapprima di perizie per la Società Risanamento di Napoli. Un ente nato con lo scopo di risolvere problemi igienico-sanitari oltre che riqualificare l’assetto urbano della città. Questa iniziativa fu promossa dall’allor sindaco Nicola Amore e dai ministri Agostino Depretis e Pasquale Stanislao Mancini, dopo che una gravissima epidemia di colera si diffuse in tutta Italia ed arrivò anche al sud nel 1884.
A quell’epoca, Napoli era un ammasso di case secolari e di bettole, senza una rete fognaria adeguata e senza un piano urbanistico preciso. Vennero “sventrati” diversi quartieri e molti ne nacquero. Ben 63 complessi religiosi furono demoliti ed altri subirono una trasformazione o rimpicciolimento a favore di strade principali più larghe ed illuminate a gas.
Nei palazzoni neoclassici dei nuovi corsi stradali, che facevano da “paravento” per coprire le aree rimaste nel loro degrado, trovarono posto la borghesia napoletana. Questi abbienti lasciarono le residenze monumentali nelle strette stradine del centro storico per accaparrarsi i nuovi appartamenti o per vivere nelle villette e condomini raffinati, sorti sulle colline finora abitate da contadini. Stavano nascendo quartieri e vie aristocratiche a modello di quelli parigini o milanesi: zone raffinate come quella del Vomero, di Chiaia, del Corso Vittorio Emanuele, del Corso Umberto, di Piazza Nicola Amore ed altre.
Proprio in questo periodo, figure competenti ed artistiche come il Mellucci emersero in tutto in loro genio. Il suo talento divenne ben noto in poco tempo e lavorò con diverse imprese, ma è possibile affermare che il sodalizio professionale raggiunse il culmine con la collaborazione Ricciardi, Borrelli & Mannajuolo e con Giulio Arata. Eleganti costruzioni con elementi decorativi sorsero per il ceto medio-alto.
Oltre all’aspetto estetico classico e sofisticato con richiami al gusto francese, la vera innovazione apportata dall’ingegnere Mellucci fu quella del calcestruzzo. Con questa soluzione edile era possibile costruire edifici con un numero maggiore di piani ma più slanciati e meno imponenti, come vincolava fino ad allora l’utilizzo del sol mattone di tufo.
Il Mellucci e la sua famiglia si trasferirono da via Stella al Petraio di Napoli, dove progettò lui stesso un villino grazioso. Nei mesi estivi invece, si spostavano nella proprietà della Torre ad Albori: una torre d’avvistamento del XVI secolo posta a picco sul mare ed incastonata tra terrazze e giardini che a gradoni conduce ad una spiagggetta privata.
Le altre opere architettoniche che Gioacchino Mellucci creò a Napoli oltre a quelle abitative, furono a favore della collettività come la Funicolare centrale, il Teatro Augusteo, le Terme di Agnano, la Circumvesuviana linea Napoli-Pompei-Poggiomarino e diverse strutture alberghiere. Ma l’ingegnere lasciò il segno anche in altre città italiane ed estere: tra cui Bologna, Firenze, Palermo, Ravenna, Milano, Roma, Salerno, Ischia, Capri, Venafro e per la citta di Colonia in Germania… un Padiglione del Werkbund per l’Esposizione, spalleggiando Walter Gropius e Adolf Meyer.
Il periodo fascista vide la realizzazione delle sue ultime opere, alcune promosse dal regime, però molte rimasero solo progetti perché Mellucci venne a mancare il 30 aprile 1942, all’età di 68 anni.
Finita la guerra e con le città italiane devastate dai danni iniziò, come detto, il declino della fama per alcuni fautori della raffinatezza edile.
Incominciò per l’Italia un periodo di ricostruzione, senza più l’esigenza di abitazioni eleganti, uniche, e con i fondi che scarseggiavano, le imprese innalzavano o restauravano gli edifici in modo “semplice” e pratico.
E così, dopo 150 anni dalla nascita di Mellucci, è giusto e doveroso non far perdere la memoria di un ingegnere che ha lavorato per diffondere la bellezza e l’innovazione: figlio di un secolo diverso ma promotore del rispetto per la tradizione e del luogo in cui operava… regole che dovrebbero sempre rispettare i costruttori a lui posteri.
(Giacomo Tammaro, Fashion designer – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)
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