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Le voci dei delegati: “Ecco il nostro impegno perché la Chiesa torni a parlare la lingua degli uomini”

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Nella basilica di San Paolo fuori le mura palpita il cuore della Chiesa italiana. I delegati, giunti da tutta Italia, sono al lavoro nei tavoli dell’Assemblea sinodale. Ciascun gruppo riflette su un tema, dalla cultura alla pace, passando per il ruolo delle donne. Tra una scheda e un pensiero, la riflessione si estende al cammino condotto e agli impegni da portare avanti.
Un filo conduttore lega le varie fasi di questo percorso. “Emerge la preziosità di un metodo che è stato avviato nella fase narrativa e che si sta consolidando in quella dell’ascolto, la condivisione dei vissuti”, spiega Giovanni Berera, giunto a Roma in rappresentanza della diocesi di Bergamo. Il tavolo in cui lavora è quello che si concentra sui temi della cultura, del linguaggio, della comunicazione. “I lineamenti hanno messo a fuoco anche queste due categorie, la profezia e la cultura. Quindi, il tema culturale diventa dialogo col mondo e la capacità della mediazione culturale della fede che è una delle scommesse. Dal lavoro del nostro tavolo sul tema culturale – aggiunge – emerge la necessità di assumere l’alfabeto dell’umano”.

“Quindi, di riconoscere la vita di tutti i giorni come un luogo dove c’è Dio, un luogo teologico, e reimparare a parlare la lingua degli uomini, riguadagnare curiosità, passione, fame della vita degli uomini. C’è un lavoro da fare proprio di riavvicinamento”.

(Foto Calvarese/SIR)

Francesca Cintori, dalla diocesi di Modena, è al lavoro sul tema della partecipazione delle donne alla vita ecclesiale. “Stiamo rimettendo un po’ in discussione quelle che sono state fino a oggi le certezze di una Chiesa anche molto maschile in modo da rispondere meglio alle prerogative dei giorni di oggi”. Il suo auspicio corrisponde a quello di tanti altri delegati: “Una Chiesa in missione, una Chiesa attenta alle peculiarità delle persone, di quello che vivono nella loro quotidianità, in modo tale da rendere sempre più vicine e meno scollate la realtà e la dimensione ecclesiale e religiosa”.

“Una Chiesa che sappia aprirsi a tutti, coinvolgere tutti, senza rimanere arroccata sulle sue certezze, sulle sue cose consolidate, sul ‘si è sempre fatto così’. Ma che sappia abbandonare le paure per abbracciare le sfide del quotidiano e dei tempi attuali, per saperne leggere al meglio le esigenze”.

Domenico Paganelli, dall’arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, considera il lavoro ai tavoli “un’esperienza di cammino”. E, nel suo caso, parlando di dialogo e pace, di cammino verso l’altro. “Unire la cultura del dialogo con la pace di questi tempi è un discorso molto impegnativo, come trovarne le strategie. Cultura del dialogo non è solamente sui massimi sistemi, ma incide anche nel locale e nel quotidiano. Come Chiesa possiamo fare tantissimo, ma semplicemente partendo da quelli che sono gli insegnamenti di Gesù, quindi partendo proprio dalle radici, dalle basi. Possiamo lavorare sui linguaggi, sulla vicinanza, sull’immersione anche nelle realtà locali”.
Giunti nella fase “profetica” del Cammino, la profezia indicata è quella della “bellezza”. “Proprio in un’ottica di pace, in un tempo con tante guerre, abbiamo bisogno di una profezia di bellezza, con la B maiuscola. Perché se c’è bellezza e si è consapevoli della bellezza, quella con la B maiuscola, a quel punto tutti i muri crollano”. “L’esperienza dell’Assemblea sinodale è proprio un’esperienza di dialogo, di accoglienza – chiosa Silvia Piras, della diocesi di Cagliari -. Un tentativo di lavorare in uno stile che per noi, come sta emergendo anche in questo tavolo, è uno dei presupposti essenziali per una convivenza pacifica, senza atteggiamenti di aggressività, di scarto, di esclusione o anche di presunzione di avere la verità”.

“Al termine del Cammino sinodale speriamo che ci possa essere una grande opportunità di rinascere da una crisi, attraversandola, per giungere a qualcosa di più grande, più bello, grazie alla presenza di Gesù e, quindi, con la sua grazia”.

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