Cammino sinodale. Griffini (Pres. Servizio naz. tutela minori): “Si inizia a saldare un debito di ascolto”
“Parlare di ambienti sicuri nella Chiesa è essere fedeli al Vangelo e all’uomo, è rendere possibile per ciascuno, non solo per i minori, quelle parole di Gesù “Lasciate che i piccoli vengano a me”, perché la comunità sia luogo di prossimità e di missione”, così Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, ripercorre per il Sir il cammino della Chiesa in Italia e l’importanza del momento di preghiera per le vittime durante la prima Assemblea sinodale.
Giunti alla “fase profetica” del Cammino sinodale, possiamo dire che non ci si è sottratti al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Quali sono stati i passi sviluppati in questa direzione per arrivare ad oggi?
I passaggi partono dall’inizio in una duplice direzione. Anzitutto valorizzare quanto emerso nella fase narrativa, dove nelle sintesi diocesane tra i debiti di ascolto veniva evidenziato quello verso le vittime e tra le proposte per una maggiore rendicontazione e trasparenza proprio il tema degli abusi negli ambienti ecclesiali. L’indicazione della presenza di un membro del servizio nazionale nella presidenza del Comitato sinodale è segno di una attenzione al tema. Sino ad arrivare ai lineamenti dove, in tre macroaree, il tema viene esplicitamente richiamato e alla preghiera che sarà vissuta sabato sera, quasi alla vigilia della Giornata nazionale del 18 novembre.
Qual è il punto nodale che possiamo sottolineare? E in quale direzione orienta la riflessione futura
Il punto nodale è anzitutto la collocazione di un riferimento esplicito al tema quando si parla di rendicontazione, cosi come è poi avvenuto nel documento finale del Sinodo universale. Solo una Chiesa che sa rendicontare a se stessa con trasparenza – e quindi a tutti – quanto sta facendo e quali sono ancora le criticità da affrontare potrà essere credibile e ritessere fiducia. Se si sente l’urgenza di rendere conto, significa che se ne avverte la priorità in termine di custodia della comunione, perché l’abuso rompe al cuore l’essenza della Chiesa con la rottura che genera quando accade in ciascuna delle sue forme. Deflagra per vittima e autore la finalità della loro umanità, esseri in relazione. Per i primi compromettendo in modo traumatico la tensione alla fiducia e all’incontro con l’altro, per i secondi annullando la loro affidabilità come espressione di responsabilità, che investa anche la comunità nel suo farsi annebbiare e poi dividere. La direzione quindi è quella di promuovere la relazione nelle comunità come bene non solo da curare per educare alla vita e alla fede attraverso di essa, ma da salvaguardare in un processo condiviso e partecipato all’insegna della co-costruzione e corresponsabilità, per cui nessuno possa più essere lasciato solo quando accade l’imprevisto, per cui tutta la comunità vive ordinariamente il rispetto e la responsabilità come beni da promuovere e salvaguardare.
Le proposte elaborate su questo tema troveranno seguito nella pastorale ordinaria
E’ l’auspicio. Al n. 61 è detto chiaramente di consultare e coinvolgere i Servizi tutela minori e adulti vulnerabili. Tale coinvolgimento si esplicita poi nella formazione dei formatori e di tutto il popolo di Dio, dove si riconosce il rischio dell’annidarsi di abusi spirituali, di coscienza, di potere, rispetto ai quali è bene mettere ciascuno nella propria posizione di formatore o formando – e non solo questo vale per i sacerdoti e chi abbraccia la vita religiosa, ma anche per i laici- di conoscere tale rischio e di promuovere tutte le forme possibili di protezione mediante buone prassi personali e comunitarie. Parlare di ambienti sicuri nella Chiesa è essere fedeli al Vangelo e all’uomo, è rendere possibile per ciascuno, non solo per i minori, quelle parole di Gesù “ Lasciate che i piccoli vengano a me”, perché la comunità sia luogo di prossimità e di missione, come dono per spezzare le catene di sofferenza e di ingiustizia e aprire a percorsi di libertà e crescita.
Nel corso della prima assemblea sinodale ci sarà un momento appositamente dedicato alla preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi: perché è importante?
E’ iniziare a saldare il debito di ascolto. Per questa giornata le riflessioni sono frutto di un cammino con vittime e loro familiari, è portare simbolicamente la loro voce nell’assemblea, per una Chiesa che riconferma il cammino intrapreso nel 2019 con le Linee guida, dove si dice che l’ascolto di chi è stato ferito è la prima forma di prevenzione. Riconferma e vuole riconoscere la centralità della persona da promuovere nella sua soggettività, da accompagnare sempre con rispetto in ordine alle diverse fasi evolutive e vulnerabilità a cui la vita espone.
E’ segno del dell’impegno a fermarsi per ricucire lo strappo della ferita con il filo d’oro della prossimità e della cura. E’ richiesta di perdono da offrire come frutto di un percorso di conversione, perché la domanda straziante delle vittime e dei loro familiari “A chi ho dato fiducia” generi nella Chiesa una rinnovata spinta ad investire in percorsi formativi all’affidabilità e di una reazione agli accadimenti sempre più tempestiva e decisa.
E’ anche preghiera per chi ha ferito, per un suo serio pentimento verso l’assunzione di responsabilità e la riabilitazione.
Come si interseca questo nel cammino svolto dalla Chiesa in Italia dal 2019 a oggi?
Direi che si interseca ampiamente. A partire dalla centralità dalla modalità di lavoro. Nei Servizi non vi è solo il referente, ma un’équipe di competenze diverse, espressione delle diverse componenti del popolo di Dio, dei diversi ambiti pastorali di servizio con minori e vulnerabili, uno stile sinodale di lavoro nei metodi e nei contenuti per un approccio globale , integrato e propositivo. Una rete su più livelli, come lo stesso cammino sinodale. La cura della formazione è stata la cifra di questi cinque anni del servizio, con sussidi e percorsi. La formazione missionaria dei battezzati alla fede e alla vita è il tema al centro del documento dei Lineamenti che segna lo snodo tra la prossimità e la missione e la corresponsabilità nella missione e guida della comunità. Anche nel Servizio il primo sussidio è stato dedicato alla conoscenza delle ferite e il secondo alle buone prassi di tutela. Partire dalla vita, da conoscere nelle sue dinamiche relazionali, per generare vigilanza evangelica.
In un punto, però, abbiamo anticipato quanto si sta portando avanti in questo cammino sinodale: le rilevazioni periodiche sui Servizi e Centri di ascolto, una rendicontazione trasparente, rigorosa, con il metodo della valutazione partecipativa di quanto si sta facendo e di quanto ancora manca, di risorse attivate e di resistenze e inerzie. Pur dentro tutto la perfettibilità possibile, in fondo rispecchia quanto si chiede nel documento finale del Sinodo.
Infine, si è parlato molto anche di ruolo della donna nella Chiesa: vivendo questa esperienza dall’interno, qual è la percezione del punto a cui siamo?
La percezione è che dal punto di vista del servizio tutela vi sia stata una scelta consapevole nel riconoscere il valore anzitutto dei laici e delle competenze di cui sono portatori, della donna come persona capace di ascolto e custodia di strappi laceranti non solo su chi li ha subiti, molto grave, ma anche verso chi rispetto a ciò come autorità deve intervenire, altrettanto ferito nel tradimento della fiducia. Le rilevazioni ci dicono che le donne sono pari al 75% dei responsabili nei Centri di ascolto e al 51, 5% nei servizi diocesani.
La presenza della donna in questo servizio sta e potrà fare la differenza nel sostenere la cura di tutti i coinvolti, nessuno escluso, cosi come nella tenacia di non procrastinare interventi di messa in sicurezza per il bene di tutti e nella ricerca quanto prima della verità e della giustizia, come valore supremo la prima, virtù da riscoprire ed esercitare la seconda, perché entrambe nutrite dalla fiducia e dal rispetto di cui la funzione materna è portatrice non come “angelo del focolare”, ma con l’operosità della tessitrice di legami generativi, che hanno quindi sempre e solo la finalità di dare al mondo.
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