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Sanità. Arriva il medico di base anche per i senza dimora. Rosina (Cnoas): “Molti aspetti positivi, ma preoccupa impostazione in via sperimentale”

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Garantire l’assistenza sanitaria ai più fragili e agli invisibili, svincolandola dalla residenza anagrafica, è l’obiettivo del disegno di legge approvato definitivamente in via sperimentale lo scorso 7 novembre dal Senato (dopo l’approvazione, sempre all’unanimità, alla Camera lo scorso 25 giugno). Il primo dei tre articoli che costituiscono il provvedimento istituisce un fondo di un milione di euro per ciascuno degli anni 2025 e 2026, per finanziare un programma sperimentale da avviarsi a inizio 2025 in 14 città metropolitane: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia. Obiettivo,

“assicurare progressivamente il diritto all’assistenza sanitaria” ai senza dimora e consentire loro di iscriversi nelle liste degli assistiti delle Asl, di scegliersi un medico e di accedere ai Lea.

Il fondo sarà ripartito tra le Regioni, “sulla base della popolazione residente nelle città metropolitane presenti nei rispettivi territori”, con un decreto ministeriale da adottare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, previa intesa in Conferenza Stato–Regioni e sentite le associazioni di volontariato e di assistenza sociale “più rappresentative”. L’art. 2 prevede che, a partire dall’anno successivo a quello di entrata in vigore della legge, entro il 30 giugno di ogni anno il Governo presenti alle Camere una relazione sullo stato di attuazione del provvedimento, con particolare riferimento al numero dei senza dimora iscritti negli elenchi delle Asl di ogni Regione, al numero e alla tipologia delle prestazioni erogate in loro favore, alle eventuali criticità emerse, ai costi effettivamente sostenuti. L’art. 3 riguarda le modalità di finanziamento del fondo.

Una legge attesa a lungo, che colma un vuoto di tutela.

Ne parliamo con Barbara Rosina, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali (Cnoas), che parla di “un provvedimento di civiltà che realizza, se pure in modo progressivo, un diritto sancito dalla Costituzione”.

Foto da screenshot Facebook

Come avete accolto questa legge?
L’abbiamo accolta positivamente, vista l’importanza, anche per i progetti di inclusione sociale, per l’assistenza sanitaria e il coinvolgimento del medico di medicina generale. Molte persone senza fissa dimora presentano bisogni sanitari che fino ad oggi venivano affrontati grazie all’intervento di associazioni, professionisti volontari attivati dai servizi sociali dei Comuni che, al di là della presenza di una residenza, intervengono comunque. Pensiamo agli effetti positivi che avrà sui minorenni che potranno finalmente entrare nei programmi di prevenzione e di screening, mentre fino ad oggi ci si occupava della loro salute prevalentemente in situazioni di malattie acute, spesso in regime di ricovero ospedaliero.

Quali i punti di forza, e gli eventuali nodi da sciogliere?
Per poterci esprimere, al di là di quanto già sottolineato, attendiamo di vedere il decreto previsto dalla norma per l’attuazione del programma sperimentale. Aspettiamo anche la definizione delle modalità di realizzazione nel rispetto del limite delle disponibilità del fondo.

Ci preoccupa il fatto che s’imposti l’intervento in via sperimentale, soltanto in 14 grandi città dove certo il disagio è più grave e più evidente, e che i fondi siano previsti soltanto per i prossimi due anni.

Vogliamo sperare che questo tempo si usi al meglio, per verificare a livello locale, regionale e nazionale, in collaborazione con le associazioni di volontariato e di assistenza sociale, con i servizi e i professionisti del sistema sociosanitario, cosa e quanto serva davvero. La sperimentazione dovrà consentire di aprire la riflessione anche ai cosiddetti percorsi di “continuità assistenziale”, cioè a quando le persone possono essere dimesse dall’ospedale ma non hanno una casa, un reddito o una rete familiare, e necessitano di ulteriori percorsi in strutture temporanee di ricovero per stabilizzare il quadro sanitario.

Nei primi mesi del 2025 dovrebbe partire la sperimentazione: quali saranno in concreto i primi passi?
Le Asl dovranno iscrivere le persone, su loro richiesta, nelle liste degli assistiti, e per questo definire ed attivare procedure interne per l’allocazione delle risorse e la gestione delle richieste. Contemporaneamente sarà necessaria un’adeguata campagna informativa rivolta in particolare a chi è più prossimo alle persone che non hanno una residenza: operatori e volontari delle associazioni, dei servizi di emergenza/urgenza, assistenti sociali, medici ed infermieri, ma anche forze dell’ordine. Un passaggio da non sottovalutare per riuscire a informare e indirizzare le persone che fino ad oggi pensavano di non avere possibilità di accedere alle cure sanitarie.

Nelle periferie urbane – e non solo – la povertà si fa sempre più dura. L’Istat e la Caritas certificano 5,7 milioni di poveri “assoluti”, indice mai registrato prima. Ma riguarda anche persone che per un evento avverso rimangono prive di un tetto: soggetti che perdono il lavoro, padri di famiglia separati che dormono in macchina, donne vittime di violenza costrette a fuggire da casa, tanti “invisibili”, insomma… È possibile avere un’idea dell’entità numerica di questa platea
Noi non abbiamo i numeri, ma abbiamo segnalato più volte queste situazioni.

Chiunque, in qualsiasi momento, può diventare invisibile! 

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Con il duplice voto all’unanimità di Camera e Senato, la politica ha finalmente dato un segnale positivo di convergenza, senza sterili polemiche, su un tema cruciale di civiltà e giustizia. Qual è il vostro auspicio?
Avremmo ogni giorno bisogno di segnali di questo tipo. Purtroppo, aldilà di qualche importante episodio, la sterile polemica, le distinzioni a fini elettorali, non ci fanno ben sperare. Guardiamo ai migranti…

In qualità di assistenti sociali operativi sul campo, che spazio ha la povertà nel dibattito pubblico, e quali misure organiche e strutturali di contrasto sarebbero necessarie?
In questi anni abbiamo gestito tutte le misure di contrasto alla povertà: Reddito di inclusione, Reddito di cittadinanza, ora Assegno di inclusione. Sono cambiati nel tempo non soltanto i nomi, ma anche le regole di accesso e i vincoli. I dati dell’Osservatorio Cnel ci dicono che

ci sono Comuni che investono per la spesa sociale meno di dieci euro a cittadino, contro altri che ne investono fino a 583.

Al di là della misura economica, occorre quindi capire quali servizi siano garantiti sui territori, perché sono questi a poter cambiare il risultato garantendo davvero alle persone servizi e diritti.

Servono risorse, persone, competenze.

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